Come e perché sostenere la difesa dell’Ucraina

La recente approvazione da parte della Camera statunitense del pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, da 61 miliardi di dollari, segna una svolta fondamentale che si comprende meglio alla luce di questi 26 mesi di conflitto, e rende sostenibile la difesa ucraina a patto che cambi la strategia di Kyiv e che l’Europa faccia la sua parte.

La situazione sul fronte orientale e su quello euro-atlantico

Due anni fa in questo periodo l’Ucraina respingeva le forze di invasione russe alle porte di Kyiv. A fine 2022 gli ucraini liberavano la città occupata di Kherson e l’area intorno a Kharkiv, mentre nel 2023 la controffensiva è purtroppo fallita di fronte alle difese allestite dai russi nei territori occupati. Da più di otto mesi il fronte è relativamente stabile nonostante furiosi combattimenti, con un’avanzata russa di pochi chilometri ad Avdiivka che è costata alte perdite a entrambe le parti.

Rispetto al 23 febbraio 2022, l’Ucraina ha salvato circa l’80% del suo territorio da un’invasione su larga scala, su tre direttrici nord-est-sud, volta a controllare l’intero Paese tramite annessione diretta – poi attuata nell’area intorno al Mar d’Azov – e/o un governo fantoccio al posto di quello democraticamente eletto in uno stato sovrano. La società ucraina a ovest del fronte continua a funzionare nonostante gli enormi sacrifici e i continui bombardamenti aerei, riuscendo anche a esportare i propri prodotti attraverso il Mar Nero.

La Russia prepara una nuova offensiva, facendo leva su un bacino demografico più ampio di quello ucraino e che non ha possibilità di protestare, e su un’economia di guerra che da la priorità alla produzione bellica fino al punto di punire come un crimine il mancato raggiungimento degli obiettivi di produzione. Offensiva da svolgersi questa estate, oppure da giocarsi con una eventuale presidenza Trump decisamente propensa ad abbandonare Kyiv a Mosca, magari in cambio di possibili contro-partite nel suo scontro con la Cina. Per far fronte alla massa russa l’Ucraina ha preso la sofferta decisione di abbassare l’età di reclutamento a 25 anni senza darsi una scadenza temporale rigida per la smobilitazione, dimostrando come una democrazia possa e debba cercare di difendere la propria stessa esistenza da una guerra di invasione rinegoziando il patto sociale alla sua base.

Il pacchetto di aiuti ormai quasi approvato al Congresso prevede 23 miliardi per donare munizioni e mezzi come quelli già dati, 14 miliardi per nuovi sistemi più avanzati, 8 miliardi per pagare il personale militare e civile ucraino, e 11 miliardi per finanziare le attività militari relative alla guerra, dall’addestramento alla fornitura di intelligence. Gli europei potrebbero e, in alcuni casi, vorrebbero donare di più all’Ucraina, ma in molti altri hanno già raschiato il fondo del barile dei propri stock di equipaggiamenti: in più di due anni di guerra non c’è stato un cambio di passo dell’industria europea della difesa, che purtroppo continua a lavorare a ritmi e su volumi da tempo di pace e non per un’economia di emergenza.

Perché è nell’interesse dell’Europa aiutare l’Ucraina

Questo è per sommi capi il difficile quadro strategico in cui molti in Italia si pongono due domande: 1) che interesse ha l’Europa a continuare a sostenere l’Ucraina; 2) come farlo nelle circostanze attuali e prevedibilmente future, che sono parzialmente diverse rispetto sia al 2022 sia al 2023.

La risposta alla prima domanda è che abbandonare l’Ucraina alla Russia molto probabilmente non porterà la pace perché Putin trarrà da una sua eventuale vittoria una lezione molto semplice: che se invade un Paese confinante dopo qualche anno gli occidentali gettano la spugna, ed è quindi giunto il momento di ri-sottomettere prima la piccola e neutrale Moldavia – obiettivo a portata di mano ricongiungendo le truppe russe in Transnistria con quelle occupanti l’Ucraina – e poi i Paesi Baltici, ripristinando così gli agognati confini dell’Unione Sovietica. Poiché le Repubbliche Baltiche sono da 20 anni membri di Nato e Ue, una loro occupazione militare russa, anche parziale, comporta due scenari: o una guerra tra la Russia e tutti o alcuni alleati Nato, oppure la distruzione politica sia dell’Alleanza atlantica che dell’Unione europea, a beneficio dell’influenza russa su un’Europa divisa e con conseguenze negative enormi per l’economia, la sicurezza e la stabilità di tutti gli stati membri – Italia inclusa.

Chi ritiene questi due scenari improbabili o impossibili dovrebbe ricordarsi come nel dibattito pubblico italiano si riteneva un’invasione russa dell’Ucraina improbabile o impossibile fino al 23 febbraio 2022, appena 26 mesi fa. L’attuale leadership a Mosca ha dimostrato di essere così propensa al rischio, così solida, e così in grado di far sopportare alla propria nazione sacrifici impensabili in Europa occidentale, da rendere lo scenario di un attacco ai Paesi Baltici possibile una volta che le truppe di Mosca arrivassero ai confini (ex) ucraini con la Polonia.

Dissuadere un attacco russo a Paesi Ue e Nato è, quindi, il principale motivo per sostenere l’Ucraina, ma ovviamente non l’unico se si attribuisce valore al rispetto del diritto internazionale e soprattutto all’effetto destabilizzante di una vittoria russa su altri quadranti quali l’Indo-Pacifico, dove di fronte alla resa di Kyiv il ragionamento di Pechino sarebbe simile a quello di Mosca: si può invadere Taiwan perché, dopo qualche anno di sanzioni all’invasore e aiuti militari all’invaso, l’Occidente abbandonerà i taiwanesi come fatto con gli ucraini. E così via con un potenziale effetto domino di aggressioni a partire dalla Corea del Nord.

In una prospettiva storica, niente di particolarmente nuovo, piuttosto un ritorno a quella che è stata la normalità in Europa per circa 15 secoli dalla fine dell’impero romano all’istituzione di Nato e Ue – proprio le due istituzioni nel mirino di Putin. Un ritorno al passato contro cui vale la pena fare tutto il possibile.

Come rendere la difesa ucraina sostenibile negli anni

Fare cosa è la seconda domanda chiave sulla quale regna una certa confusione in Italia, specie alla luce delle dichiarazioni francesi dei mesi scorsi su un eventuale invio di forze armate europee in Ucraina. La riflessione su come aiutare al meglio possibile Kyiv deve partire dal realistico presupposto che non è più possibile liberare militarmente i territori oggi occupati, né in Donbas, a Zaporizhzhia o Kherson, né in Crimea.

Ma è possibile proteggere quel 80% di territorio ucraino che il Paese ha salvato a caro prezzo respingendo l’invasione russa nel primo anno di guerra. Occorre, quindi, concentrare tutte le risorse sia ucraine che dei partner internazionali nel fortificare in profondità la linea del fronte meglio difendibile in termini operativi, evacuando se serve centri abitati, allestendo difese stratificate basate su estesi campi minati, bunker, trincee, sistemi di sorveglianza, e tutte le misure adottate con successo, purtroppo, dagli occupanti russi nel 2023. Per difendere il territorio ucraino servono anche e soprattutto sistemi di difesa anti-aerea e anti-missile in grado di proteggere sia le infrastrutture critiche, in primis quelle energetiche, sia la linea del fronte, sia la popolazione civile. E servono artiglieria e missili a lunga gittata per colpire i nodi logistici, i centri di comando e controllo, e in generale le retrovie che alimentano l’offensiva russa al fronte. Infine, serve un costante flusso non solo di munizionamento ma anche di pezzi di ricambio per reggere l’usura di una guerra di attrito.

Commisurare il livello di ambizione della strategia militare ucraina alle risorse effettivamente disponibili, sia interne che internazionali, è il primo passo per evitare il successo della prossima offensiva russa. Nelle condizioni attuali, lo scenario più positivo per l’Ucraina nel breve termine è una situazione paragonabile alla penisola coreana, con chilometri di confine militarizzato come avviene da decenni sul 38° parallelo. Solo se l’attuale leadership russa non avrà più alcuna speranza o illusione di poter sfondare quel fronte fortificato, allora prenderà in seria considerazione una trattativa diplomatica con l’Ucraina e i suoi alleati. Fino a quando ciò non si verificherà, l’obiettivo di Putin resterà sempre e comunque il controllo diretto o indiretto su tutta l’Ucraina, e quindi uno scenario di minaccia imminente per la Moldova e per i Paesi Baltici membri di Nato e Ue.

Con i 61 miliardi di aiuti militari in dirittura di arrivo gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte, sebbene con un ritardo di sei mesi su quanto promesso che è costato vite ucraine sia al fronte che nelle città bombardate dalla Russia. In Europa, invece, mentre alcuni Paesi come la Finlandia aumentano e/o accelerano gli aiuti, molti altri tentennano, come nel caso della Germania. È adesso fondamentale che gli stati europei accelerino, aumentino e programmino in un’ottica pluriennale le forniture militari alla difesa ucraina, specie se vogliono evitare proprio lo scenario prospettato da Macron di un invio di loro truppe in Ucraina domani – o nei Paesi Baltici invasi dalla Russia dopodomani.

L’economia di emergenza in Europa

Realisticamente, e onestamente, aumentare e accelerare i trasferimenti a Kyiv comporta però assottigliare i propri stock vicino, o al di sotto, delle soglie minime per la deterrenza e difesa dei Paesi Nato. Ciò è possibile senza mettere a rischio la sicurezza nazionale solo se vengono immediatamente firmati contratti pluriennali con l’industria europea della difesa per riempire proprio quei magazzini che si stanno svuotando. Quindi non più solo “incentivi”, “coordinamento”, “strategie”, “roadmap” o meccanismi complessi con pochi fondi. Per produrre più artiglieria o più munizioni servono in primo luogo tre elementi: contratti; contratti; contratti. Ovvero degli impegni legalmente vincolanti firmati dai ministeri della difesa degli stati europei che allochino ogni anno per 5-10 anni centinaia di milioni di euro, vincolando così l’industria del settore a raggiungere determinate produzioni. Solo questo può portare grandi e medie imprese a costruire ex novo fabbriche, acquistare nuovi macchinari, componenti e materie prime, assumere e formare manodopera qualificata.

Per permettere tale salto l’Unione Europea dovrebbe fare la sua parte, aumentando gli stanziamenti dal bilancio comunitario per sostenere il passaggio da un’economia di pace ad un’economia di emergenza come è quella in cui dobbiamo abituarci a vivere per lo meno nel breve-medio periodo. Questo significa, fra l’altro: continuare a co-finanziare i programmi di cooperazione europea di ricerca e sviluppo; incentivare la cooperazione europea attraverso l’esenzione fiscale e l’utilizzo dei finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti; favorire gli investimenti industriali consentendone il diretto finanziamento pubblico; assumere l’onere e la gestione degli indennizzi nel caso di cancellazione o rinvio di esportazioni a Paesi terzi per far fronte alle esigenze europee; abbattere i costi indiretti provocati dalla mancata integrazione del mercato europeo della difesa; continuare a rimborsare gli stati membri che donano all’Ucraina secondo criteri semplici e stabili. Ma, anche, contribuire a far comprendere all’opinione pubblica che su queste scelte si sta giocando la sopravvivenza di quell’Unione che negli ultimi settant’anni ha consentito agli europei di raggiungere un benessere senza precedenti nella storia e nel mondo.

L’impossibile isolazionismo dell’Europa dall’Ucraina

Se il passaggio da una economia di pace a una economia di emergenza fosse stato avviato due anni fa, oggi se ne vedrebbero già i frutti. Farlo adesso vuol dire meglio tardi che mai, perché le necessità ucraine nel 2024 sono ben maggiori degli aiuti stanziati da Washington e perché gli europei devono prepararsi a sostenere l’Ucraina anche nel caso di un abbandono di Kyiv da parte di una eventuale presidenza Trump. Gli Stati Uniti possono forse permettersi un certo isolazionismo rispetto a una guerra in Europa ponendosi al riparo di due oceani – anche se due guerre mondiali provano il contrario – ma gli stati europei membri di Ue e Nato che confinano direttamente con Russia e Ucraina di certo no e, conseguentemente, nemmeno gli altri – Italia compresa.

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