In questa guerra né la Russia né l’Ucraina hanno ottenuto la superiorità aerea sull’intero teatro operativo e su base permanente. Mosca ha fatto molto affidamento sui missili balistici Iskander e su quelli da crociera Kalibr, lanciandone più di 900 solo nelle prime tre settimane di guerra, ma non ha condotto una campagna aerea prolungata e massiccia prima che le sue truppe attraversassero i confini ucraini. Ha così accettato il rischio di lanciare un’offensiva terrestre senza il controllo dei cieli, probabilmente confidando che l’Ucraina si sarebbe arresa in pochi giorni e che le infrastrutture locali potessero essere risparmiate. Ciò non è successo e le successive forniture occidentali di sistemi di difesa aerea e missilistica hanno reso impossibile per Mosca ottenere la superiorità aerea nel corso della guerra.
Allo stesso tempo, le forze ucraine non avevano e non hanno le capacità per superare le robuste difese aeree russe. Kyiv ha ripetutamente richiesto F-16 e altri caccia avanzati agli alleati, che non li hanno però forniti. Di fatto, l’Ucraina ha dovuto lanciare le proprie controffensive nel 2022 e 2023 senza adeguato supporto aereo. Secondo stime Nato, nel primo anno di conflitto Kyiv ha perso circa 60 aerei e Mosca più di 70, confermando una situazione di sostanziale parità nei cieli.
Il ruolo cruciale della supremazia aerea e del controllo dei cieli
Lo stallo nel dominio aereo ha fortemente contribuito a modellare le operazioni terrestri in modo profondamente diverso dai conflitti contemporanei tra Stati – come la prima Guerra del Golfo – spingendo verso una guerra di attrito e di logoramento. L’avanzata russa a Mariupol o Bakhmut è stata estremamente lenta e ha comportato un numero enorme di caduti. La controffensiva ucraina del 2023, che doveva essere lo sforzo decisivo per liberare parte dei territori occupati dalla Russia, si è infranta contro le linee difensive russe con forti perdite umane e materiali.
Questo conflitto a connotazione prevalentemente terrestre dimostra, in modo indiretto, l’importanza del potere aereo e della superiorità nei cieli: senza di essa, la vittoria diventa sul campo di battaglia molto più difficile da ottenere ed estremamente costosa in termini di mezzi e, soprattutto, di vite umane. In un ipotetico scenario di conflitto convenzionale tra Russia e Nato, perdite comparabili a quelle sofferte dall’Ucraina nel 2023 sarebbero estremamente difficili da sostenere in Europa occidentale e negli Stati Uniti per molto meno tempo senza indebolire il sostegno dell’opinione pubblica allo sforzo militare. Pertanto, la prima lezione da trarre dal conflitto ucraino è che raggiungere la superiorità aerea, almeno temporaneamente e/o su determinate aree, rimane un obiettivo cruciale per i Paesi Nato se vogliono dissuadere un attacco russo e respingerlo efficacemente qualora avvenisse. Non è un caso che dal 2022 i comandi e le forze aeree dell’Alleanza si concentrino sempre più sulle tattiche e risorse per raggiungere questo obiettivo nel quadro della difesa collettiva del continente europeo.
L’importanza dell’apparato di difesa aerea e missilistica
Un elemento collegato riguarda la Integrated Air and Missile Defence (IAMD) come fattore determinante della resistenza ucraina. Dopo che la guerra lampo prevista dal Cremlino è fallita, Mosca ha cercato sistematicamente di distruggere le infrastrutture critiche ucraine, prendendo di mira le centrali energetiche e le reti elettriche e, in seguito, di colpire le industrie della difesa ucraina, per piegare il Paese che non è riuscito a conquistare via terra. Finora, Mosca non è riuscita a raggiungere questo obiettivo grazie al fatto che gli alleati hanno progressivamente donato sistemi di difesa aerea più avanzati, efficaci e a lungo raggio, e che l’Ucraina ha compiuto progressi straordinari in termini di integrazione e utilizzo efficace dei mezzi. La combinazione di una varietà di assetti, dai sistemi di difesa aerea portatili ai missili Patriots e ai caccia MIG, ha consentito a Kyiv di neutralizzare la stragrande maggioranza degli attacchi russi. Nel complesso, l’Ucraina è riuscita a mantenere un livello sufficiente di funzionamento delle infrastrutture critiche che, a sua volta, ha consentito all’economia e alla società del Paese di resistere nonostante le vittime, gli sfollati, le sofferenze e i danni causati dalla guerra.
La seconda lezione è quindi che la difesa aerea e missilistica è stata vitale per lo sforzo difensivo del Paese, e lo sarebbe per qualsiasi Paese europeo in uno scenario di conflitto con la Russia. Innanzitutto, per negare la superiorità aerea all’avversario e poi per proteggere le infrastrutture critiche in quanto probabile centro di gravità della campagna aerea nemica. La Nato IAMD e il contributo italiano ad essa valgono il prezzo degli investimenti in capacità adeguate, avanzate e stratificate- comprese le operazioni nello spettro elettromagnetico. Allo stesso tempo, i Paesi Nato devono investire nel potere aereo per superare la IAMD avversaria e colpire obiettivi in territorio russo. Questa è giustamente una priorità per l’Alleanza atlantica, perché i vincoli specifici che l’Ucraina aveva nel non attaccare oltre i propri confini non si applicherebbero in un conflitto Nato-Russia. Il modo migliore per proteggere le infrastrutture e la popolazione in Europa non è distruggere le “frecce” del potere aereo russo quando ti cadono addosso – missili, bombe e droni –, ma gli “archi” in termini di aerei, sistemi missilistici, aeroporti, centri di comando e controllo, logistica e fabbriche: e questo richiede agli alleati di superare le difese aeree di Mosca.
Ultimo, ma non per importanza, vi è l’uso massiccio di una varietà di droni, non solo per sorveglianza e ricognizione ma per attacco al suolo, da parte prima ucraina o poi russa. La lezione da trarne è che la combinazione di assetti con e senza equipaggio moltiplica in modo significativo l’impatto delle campagne aeree, a livello tattico e operativo. Si registra quindi una forte spinta a livello mondiale per produrre droni armati di diverse dimensioni, costi e prestazioni da integrare in operazioni aeree, terrestri e navali. In Italia c’è ancora molto lavoro da fare per acquisire e integrare efficacemente i droni armati nelle forze armate, e per investire in futuri velivoli da combattimento senza equipaggio.
Questo articolo anticipa un capitolo dello studio IAI che sarà presentato in una conferenza pubblica a Roma il prossimo 20 febbraio.