Ue, una campagna elettorale con molte polemiche e poche idee

Con un’iniziativa che si proponeva di aprire un dibattito pubblico in vista delle elezioni del Parlamento europeo, qualche mese fa due autorevoli personalità italiane (Marco Buti e Marcello Messori) avevano pubblicato un manifesto sulle cose da fare in Europa e per l’Europa, poi sottoscritto da importanti esponenti europei.

Si trattava di proposte che miravano a rilanciare il mercato interno europeo,  a riformare il bilancio comune dell’Ue per finanziare beni pubblici europei (anche con un nuovo ricorso a prestiti comuni), a realizzare un’autentica politica industriale a livello europeo, a promuovere investimenti pubblici e privati a sostegno delle transizioni energetica e digitale, a completare l’unione bancaria e l’unione dei capitali, a mettere in cantiere una strategia comune per l’istruzione e la formazione come condizione per un’economia più competitiva, e infine a realizzare  un’autentica politica estera e di difesa comune.

Più di recente Enrico Letta ha presentato al Consiglio Europeo un articolato progetto di rilancio del mercato interno europeo. Mario Draghi, invece, ha fornito alcune anticipazioni sul rapporto sul rafforzamento della competitività dell’economia europea, che presenterà dopo le elezioni del Parlamento europeo. Due iniziative in qualche modo complementari e convergenti che si pongono l’obiettivo di individuare una strategia mirata a invertire il declino economico (e politico) dell’Europa e che chiamano in causa le responsabilità di governi nazionali e istituzioni comuni per la definizione di un’agenda per la prossima legislatura dell’Unione europea. Due strategie con obiettivi ambiziosi, la cui attuazione richiederà scelte coraggiose e non necessariamente consensuali.

I temi della campagna elettorale in Italia

Ebbene nessuna (o quasi) di queste idee, o altre misure che pure verosimilmente  saranno oggetto di discussione nel corso della prossima legislatura europea, è finora stata oggetto di attenzione nella campagna elettorale in Italia. Nessuna di quelle proposte sembra aver suscitato un minimo di dibattito nel nostro Paese, al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori o degli specialisti della materia, se si esclude qualche speculazione su un ipotetico futuro di Draghi in Europa.

Il confronto fra le forze politiche si sta quindi sviluppando, secondo un copione già sperimentato, più che sulle sfide per l’Europa, su questioni – e relative polemiche – che poco o nulla hanno a che vedere con il futuro dell’Europa. Da un recupero tardivo della questione morale in politica, a scontri su beghe localistiche, a surreali discussioni sulla composizione delle liste elettorali e su discutibili candidature. O tutt’al più attorno a temi distanti dalle sfide per l’Europa e dalle responsabilità del Parlamento europeo (e dalle sensibilità dei cittadini), come ad esempio la contestata revisione della forma di governo, una divisiva proposta per l’autonomia differenziata, o una controversa riforma della giustizia.

Certo non è un mistero che le elezioni del Parlamento europeo, anche quest’anno come in precedenti occasioni, si giocheranno su un duplice piano. Dovrebbero quindi costituire un’occasione di confronto fra le forze politiche su temi che hanno a che vedere con  l’agenda, le politiche e la collocazione internazionale dell’Ue. Ma saranno inevitabilmente anche un momento di verifica dei rapporti di forza fra i vari partiti nelle rispettive realtà nazionali, ovviamente anche all’interno di maggioranza e opposizione.

Questo perché, non essendo stato finora possibile trovare un accordo su una legge elettorale comune, queste elezioni si svolgeranno in ciascun Paese europeo secondo regole nazionali. E con leggi elettorali che sono generalmente organizzate su base proporzionale, con soglie di sbarramento più o meno alte, e con collegi elettorali più o meno grandi. Con il risultato che questa consultazione sarà l’occasione ideale per misurare il grado di consenso dei vari partiti, come una sorta di grande sondaggio, su scala europea, sulla rappresentatività della singole forze politiche. Di conseguenza la campagna elettorale non esige posizionamenti tattici funzionali rispetto a future ipotetiche coalizioni per governare (o per fare opposizione). Si presenta, anzi, come un’occasione irripetibile per esaltare i rispettivi profili identitari nella ricerca di consensi nei propri potenziali bacini elettorali.

È quindi per certi aspetti comprensibile che lo scontro fra i partiti si sia articolato finora su questioni sostanzialmente estranee ai programmi per il futuro dell’Europa, con dinamiche di contrapposizione che si sviluppano, sia fra maggioranza e opposizioni ma anche e soprattutto all’interno dei rispettivi schieramenti. Con il risultato che l’attenzione dei media e della politica si è concentrata sulla scelta dei candidati e la composizione delle liste o al massimo sulle dinamiche che si potranno sviluppare attorno all’elezione del prossimo presidente della Commissione.

La necessità di una visione del futuro del Paese in Europa e con l’Europa

Eppure mai come in questa congiuntura l’Ue si trova a fronteggiare un contesto interno e internazionale così complicato e sfidante. Mai come nei prossimi anni l’Europa si gioca la prospettiva di una progressiva irrilevanza in un sistema di relazioni internazionali dove sembra prevalere le logica del più forte. Mai come ora l’Europa rischia una strisciante marginalizzazione se non riuscirà a invertire la rotta sulla demografia, sulla competitività, sulla capacità di stare al passo dei suoi concorrenti su ricerca, innovazione e sviluppo di nuove tecnologie. Mai come ora all’Europa si dovrà chiedere di contribuire a una crescita inclusiva e sostenibile con provvedimenti che siano condivisi dai suoi cittadini.

È vero che non è facile mobilitare consensi elettorali su temi che rischiano di essere percepiti come astratti, o proiettati su scenari apparentemente remoti. Ma è proprio in vista di una scadenza di questo tipo che ci si dovrebbe attendere dalla classe politica (senza distinzioni fra maggioranza e opposizioni) la capacità di una visione proiettata sul futuro. La capacità di uscire dalla logica di fin troppo prevedibili polemiche di bottega per mobilitare gli elettori su una visione del futuro del Paese in Europa e con l’Europa.

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