Gli equilibri tra Nato e Russia dopo tre mesi di guerra in Ucraina

La guerra della Russia contro l’Ucraina in corso ha prodotto cambiamenti storici e inattesi sul quadro strategico europeo, in primis l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, che a loro volta potrebbero riverberarsi sull’andamento del conflitto a seconda della posizione dell’occidente nei confronti di Mosca.

Gli obiettivi disattesi della campagna russa

Da tre mesi il ritorno in Europa di una guerra convenzionale – prevalentemente terrestre e aerea, con importanti dimensioni marittima, spaziale e cibernetica – tra due popolosi Paesi europei ha visto l’impiego sul campo di battaglia di oltre mezzo milione di soldati:il maggiore e più tragico evento bellico in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

Tra la sorpresa di molti ma non di tutti, è fallito il tentativo russo di prendere Kyiv prima attaccando direttamente dalla Bielorussia, e poi bombardando pesantemente le maggiori città ucraine per piegarne la resistenza. A tre mesi dall’inizio dell’invasione, la straordinaria resistenza ucraina e il massiccio aiuto militare occidentale hanno salvato dall’occupazione russa più del 85% del territorio e della popolazione sotto attacco, comprese grandi città del nord come Kharkiv e importanti porti sul Mar Nero quali Odessa.

L’impiego nel conflitto di oltre 220.000 unità militari da parte di Mosca, e l’uso dell’intero arsenale convenzionale (non nucleare) russo fino ai missili ipersonici, in termini militari ha ottenuto solo l’occupazione della fascia costiera del Mar d’Azov, da Kherson a Mariupol – quest’ultima dopo una lunga resistenza – e alcune province del Donbass dove il fronte di guerra è sostanzialmente in stallo da settimane.

Ben poca cosa rispetto all’obiettivo iniziale di rovesciare le libere istituzioni di uno stato sovrano da 44 milioni di abitanti, instaurare un governo fantoccio, e controllare così indirettamente  o direttamente – tramite annessioni forzate stile Crimea – il secondo Paese europeo per estensione dopo la Russia. La campagna militare non ha raggiunto gli obiettivi politici prefissati, ed in questo senso è stata finora un fallimento.

Fallimento costato la perdita, secondo diverse stime ancora da verificare, di oltre 50 mila unità russe tra morti, feriti e prigionieri, tra cui quelle migliori in termini di formazione. A queste si aggiunge la distruzione di molte centinaia di piattaforme tra carri armati, elicotteri, mezzi blindati e pezzi di artiglieria delle forze russe, nonché alcune decine di aerei e la nave ammiraglia della flotta nel Mar Nero. Per non parlare delle perdite economiche dello stato e del PIL russo dovute a sanzioni senza precedenti da parte dei Paesi occidentali.

Le debolezze di un avversario temibile

Tre mesi di conflitto hanno evidenziato diverse debolezze dell’apparato militare russo: la sottovalutazione delle forze ucraine che ha portato ad un fallimentare attacco disperso su tre fronti (Bielorussia, Donbass e Crimea) e alla conseguente ritirata da Kyiv e Kharkiv; lo scarso addestramento di parte delle truppe e degli ufficiali; le carenze in termini di logistica e rifornimenti.

Debolezze che tuttavia non fanno delle forze armate di Mosca una tigre di carta. Fattori come la potenza di fuoco, la massa di uomini e mezzi impiegabili, il valore di determinate unità, la rapidità nella conduzione delle offensive, si sono rivelati elementi vincenti nelle invasioni russe della Giorgia nel 2008 e della stessa Ucraina nel 2014, a fronte però di obiettivi politici molto più limitati per la campagna militare.

Nel conflitto in corso, posta di fronte a forze armate numerose anche per l’impiego di riserve e volontari, discretamente organizzate, bene equipaggiate anche grazie ai massicci aiuti occidentali – in primo luogo mezzi e finanziamenti, ma anche in una certa misura intelligence e training –  e che combattono con la fortissima motivazione di difendere la propria casa dall’invasore, la Russia è stata fermata. Dopo essere stata respinta ad aprile da tutto il nord Ucraina, anche il concentramento delle forze e della potenza di fuoco russa nel Donbass – in particolare intorno a Izyum e Severodonetsk – non ha prodotto finora lo sfondamento delle linee ucraine, che anzi hanno contrattaccato in più punti.

Guerra senza soluzione o armistizio?

Una feroce guerra di logoramento si combatte così lungo il fronte sud-orientale, con piccole avanzate russe ma senza cambiamenti radicali. Gli scenari tratteggiati un mese fa su AffarInternazionali sono ancora validi, e due in particolare sono più probabili.

Da un lato un conflitto che non finisce tra forze in campo che sostanzialmente si equivalgono, per motivi diversi e con differenti punti di forza e di debolezza, e che continuano quindi a combattere a livelli variabili di intensità sul fronte del Donbass mentre il resto dell’Ucraina, da Kyiv a Odessa a Leopoli, è fuori pericolo.

Dall’altro lato una sorta di armistizio, cercato da Putin nel momento in cui lo ritenesse più conveniente per la sua leadership stante l’impossibilità di ulteriori successi militari, e accettato da Zelensky come male minore rispetto a un conflitto sanguinoso da cui anche l’Ucraina avrebbe poco da guadagnare. Il fatto che anche in occasione della ricorrenza del 9 maggio, il miglior momento possibile per far passare politicamente in Russia una escalation militare, Putin non abbia annunciato cambiamenti sostanziali alla condotta della guerra, lascia pensare che Mosca non abbia le risorse convenzionali per prevalere in Ucraina, fermo restando l’astensione dall’uso dell’arma atomica se non sotto diretto attacco – un’ipotesi che resta estremamente remota.

I due scenari – conflitto contenuto o armistizio – restano determinati dai rapporti di forza sul campo di battaglia, ri-bilanciati a favore di Kiev rispetto a tre mesi fa grazie agli aiuti militari occidentali. Ma a incidere sulla scelta di Mosca tra le due opzioni sarà anche il contesto regionale euro-atlantico.

Gli effetti della storica decisione di Finlandia e Svezia

Un contesto in cui il conflitto russo-ucraino ha prodotto diversi importanti cambiamenti sono i rapporti della Nato. Il primo e più lampante è la fine della neutralità per Helsinki dopo 82 anni dall’ultima guerra combattuta (proprio contro Mosca) e per Stoccolma dopo oltre due secoli di pace neutrale. La domanda di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato è dunque una svolta storica per i due Paesi, che non era nei piani finlandesi o svedesi fino tre mesi fa.

L’adesione, che sarà probabilmente accettata dalla Nato già nei prossimi mesi, comporta molteplici effetti. In primo luogo, il consolidamento geografico e militare dell’Alleanza atlantica dal Baltico all’Artico passando per la Scandinavia, in termini di linee di comunicazione e rifornimento, controllo di gran parte delle coste baltiche e dello stesso accesso a questo mare nello stretto tra Danimarca e Svezia. Un consolidamento che darà profondità strategica e solidità alla difesa collettiva di Estonia, Lettonia e Lituania, le quali avranno “le spalle coperte” ben oltre il corridoio terrestre di Suwalki che collega Vilnius alla Polonia.

In secondo luogo, la Nato si rafforzerà tramite l’integrazione di forze armate nord europee bene addestrate, equipaggiate con mezzi tecnologicamente avanzati – specie in campo aeronautico ma non solo – con capacità specifiche per le operazioni a ridosso del circolo polare, e nel caso finlandese potenzialmente molto numerose grazie ai riservisti in un Paese che ha mantenuto la leva obbligatoria.

I due Paesi vantano inoltre un’avanzata cooperazione e integrazione civile-militare nel contrasto a forme di guerra ibrida che costituisce un altro valore aggiunto per la Nato rispetto alla Russia. Ultimo ma non per importanza, l’ingresso di altri due membri Ue nella Nato dovrebbe favorire la cooperazione tra quest’ultima e l’Alleanza atlantica.

In termini politico-strategici, l’ingresso di Svezia e Finlandia porterà ad un ulteriore concentrazione della postura militare Nato sulla difesa collettiva e sul fianco orientale, rafforzando un trend già in corso dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2014 e ovviamente accentuato da quella in corso. La Nato ha già infatti deciso di dispiegare quattro battaglioni multinazionali di circa 1.000 unità ciascuno in Romania, Bulgaria, Slovacchia e Ungheria, sulla falsariga di quanto fatto nelle Repubbliche Baltiche e in Polonia dopo l’annessione della Crimea. Il battaglione a Bucarest dovrebbe essere guidato dalla Francia e quello a Sofia dall’Italia, a testimoniare la solidarietà in campo occidentale e l’assunzione di responsabilità da parte europea per la sicurezza del proprio continente.

Un effetto collaterale di questo trend, con cui l’Italia dovrà fare i conti, sarà la decrescente attenzione Nato al Mediterraneo allargato, e l’ancora minore propensione verso operazioni di gestione delle crisi e stabilizzazione, già ridotta ai minimi termini dalla fine dell’intervento in Afghanistan. Non si tratta però di un semplice ritorno alla Guerra fredda, perché un’alleanza atlantica rafforzata e rilanciata dall’allargamento a nord dovrà comunque adattarsi ad un contesto internazionale multipolare in cui la Cina è e resta la priorità degli Stati Uniti.

Più Europa della difesa 

La svolta di Finlandia e Svezia non è stato il solo cambiamento importante nel quadro strategico europeo prodotto dalla guerra. La Germania ha annunciato un fondo da 100 miliardi di euro dedicato agli investimenti per le sue forze armate e ha promesso di rispettare l’impegno di spendere il 2% del PIL nella difesa. Anche Belgio, Estonia, Lettonia, Lituania, Norvegia, Olanda, Italia, Polonia, Romania, Spagna e Svezia hanno annunciato piani per aumentare la spesa per la difesa fino alla stessa soglia – e in alcuni casi oltre.

L’Ue si è mostrata all’altezza della sfida geopolitica stanziando 1,8 miliardi di euro dal bilancio comunitario per finanziare gli aiuti militari donati dai Paesi membri all’Ucraina, istituendo appositi meccanismi di coordinamento, e ha deciso sanzioni senza precedenti. Accelerando un processo già in corso prima del conflitto, gli Stati Ue hanno adottato una Bussola strategica per la sicurezza e la difesa, e la Commissione Europea ha fatto ulteriori passi in avanti sull’approccio comunitario a questo settore, anche rispetto ad acquisizioni militari congiunte dei Paesi membri.

Gli Stati Uniti hanno esercitato una leadership ferma ma attenta ad evitare l’escalation, allargando il più possibile il campo occidentale a sostegno di Kyiv fino al vertice di Ramstein dello scorso aprile.

Recuperare lo spirito di Helsinki

Tutti questi sviluppi verso una Europa della difesa più forte nel quadro di un’alleanza transatlantica più coesa rispondono in primo luogo agli interessi di sicurezza dei Paesi dell’area euro-atlantica. Ma possono avere anche un effetto indiretto sull’esito del conflitto se sapientemente gestiti a livello diplomatico. Infatti, rafforzando il campo occidentale, nel medio periodo si ridimensiona e/o indebolisce il peso della Russia in Europa, ovvero l’effetto opposto alle ambizioni di Putin nell’invadere l’Ucraina.

Uno dei messaggi occidentali a Mosca oggi, a fronte dell’equilibrio militare sul campo che non lascia spazio a ulteriori avanzate russe, dovrebbe sottolineare che proseguendo il conflitto il Cremlino spingerà ulteriormente ali alleati a serrare i ranghi e rafforzarsi, e che quindi conviene anche a Mosca tentare un’alternativa diplomatica che le eviti di perdere ulteriore terreno nel resto d’Europa mentre si logora in Ucraina.

Tale azione diplomatica è quanto mai necessaria anche considerando che la percezione russa, sbagliata e infondata, di una Nato aggressiva nei confronti di Mosca, peggiora con l’ingresso di Svezia e Finlandia e la nuova situazione nel Mar Baltico.

Occorre quindi un ulteriore sforzo diplomatico e di comunicazione, coordinato tra Europa e nord America, per costruire un’alternativa al conflitto in corso, recuperando lo spirito della conferenza di Helsinki che nel 1975 segnò una tappa importante della distensione nelle Guerra Fredda. Un’alternativa che, sgombrando il campo da ogni ipotesi di adesione di Kyiv a Nato o Ue, potrebbe risultare per Mosca prima o poi più conveniente del vicolo cieco cui si è infilata da sola.

Foto di copertina EPA/JOHANNA GERON / POOL

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