Von der Leyen ci riprova

Il congresso straordinario del PPE, svoltosi a Bucarest il 7 Marzo, ha designato Ursula von der Leyen come candidata ufficiale (“spitzenkandidat”) del Partito Popolare europeo per la presidenza della Commissione europea. Una decisione secondo le previsioni anche perché erano note da tempo le aspirazioni dell’attuale Presidente per un secondo mandato. Ha sorpreso, invece, che la decisione sia stata più sofferta del previsto (con 400 voti a favore e ben 89 contrari).

I trattati prevedono che il/la Presidente della Commissione sia designato dal Consiglio europeo (con una decisione a maggioranza qualificata e “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo”) e successivamente eletto dal Parlamento. Si tratta di una disposizione assai generica, ma che, nel corso degli anni, è stata intrepretata nel senso che alla presidenza della Commissione venga eletto un esponente del partito che alle elezioni del Parlamento europeo risulti il più votato e con il maggior numero di seggi.

Lo scenario post-elettorale

Se i dati dei sondaggi saranno confermati, e malgrado una avanzata generalizzata di partiti appartenenti alle famiglie politiche della destra, il PPE dovrebbe confermarsi come partito di maggioranza relativa nel prossimo Parlamento. Inoltre, almeno per l’elezione del Presidente della Commissione, salvo sorprese, dovrebbe potersi ricostituire (anche se con margini più risicati rispetto all’attuale composizione del PE) una maggioranza composta da PPE, Socialisti e Democratici e liberali di Renew Europe, magari insieme ai Verdi. A questa maggioranza potrebbero aggiungersi i conservatori di ECR, se ce ne saranno le condizioni politiche. Mentre appare da escludere un allargamento ai gruppi di Identità e Democrazia e della Sinistra europea.

Ad oggi quindi von der Leyen resta la candidata più gettonata per la Presidenza della Commissione, anche perché finora non sono emerse candidature alternative credibili. Il percorso potrebbe però rivelarsi più complicato del previsto, anche perché non sono mancate critiche all’operato della Presidente uscente, proprio in occasione della sua designazione come candidata. Per ottenere la rielezione, dovrà assicurarsi il sostegno di un numero di governi che rappresentino almeno la maggioranza nel Consiglio europeo. Successivamente, dovrà trovare il sostegno di una maggioranza che la voti in Parlamento, sulla base di un programma di lavoro che dovrà essere condiviso da forze politiche in alcuni casi caratterizzate da sensibilità e obiettivi programmatici diversi.

In Consiglio europeo von der Leyen in principio non dovrebbe avere problemi a trovare una maggioranza disposta a votarla, anche perché vari capi di governo si sono già pronunciati in questo senso. Ma altri hanno già manifestato riserve (Orban prevedibilmente, ma anche Macron non sembra pienamente convinto). La sua vera forza, al momento, resta comunque la mancanza di alternative spendibili.

Più complessa, ma pur sempre affrontabile, appare la situazione al Parlamento, dove von der Leyen, che dovrebbe poter contare sul sostegno del PPE, dovrà convincere i Socialisti e Democratici e i liberali. E poi decidere, e se quanto, allargare la maggioranza ai conservatori di ECR, e soprattutto a quali condizioni.

L’agenda europea di von der Leyen

Su alcuni temi del suo possibile programma von der Leyen ha già dichiarato di non essere disposta a trattare o a fare concessioni. Certamente sulla linea del sostegno all’Ucraina e dell’isolamento della Russia – su cui ha fortemente scommesso fin dall’inizio del conflitto – e sul rilancio del processo di allargamento dell’Ue, su cui ha ugualmente puntato anche per rafforzare la dimensione geopolitica dell’Unione. Verosimilmente anche sull’impegno ad accelerare lo sviluppo di una dimensione di difesa dell’Ue e, infine, sulla difesa dello stato di diritto e della rule of law, tema che la Presidente uscente ha più volte confermato di considerare una priorità anche in vista di future nuove adesioni.

Su altri temi, se vorrà garantirsi una maggioranza in Parlamento, dovrà probabilmente fare alcune concessioni o prestarsi a qualche esercizio di equilibrismo. È quindi probabile che qualche apertura debba essere annunciata sul tema di tempi, modalità e condizioni della transizione energetica rispetto alle ambizioni originarie del Green Deal. È questo, infatti, un aspetto su cui numerose forze politiche (compreso il PPE) stanno chiedendo alla Commissione un ripensamento e una maggiore presa in considerazione dei costi economici e sociali.

Dovrà poi muoversi con abilità sul tema di una politica industriale comune, che non si limiti a definire standard e regole ma che preveda anche investimenti; sul sostegno a interventi per il rafforzamento della competitività dell’economia europea; e sul finanziamento dei costi della transizione energetica e digitale, o di altri beni pubblici europei, con fondi comuni. Difficile però che possa esporsi troppo sull’ipotesi di replicare il modello del NextGenerationEU, con un nuovo ricorso a fondi da finanziare con debito comune garantito dal bilancio dell’Ue, senza mettere in allarme i governi e i partiti rigoristi.

Infine, dovrà muoversi con grande cautela sul tema della gestione dei flussi migratori, cercando di conciliare le richieste di maggiori controlli delle frontiere esterne e maggiore efficacia nella gestione dei rimpatri di migranti irregolari con le esigenze di un mercato del lavoro che ha bisogno di lavoratori stranieri e di flussi di migranti regolari.

Sono questi solo alcuni dei temi dell’agenda europea sui quali sensibilità di governi e gruppi politici fanno registrare le divergenze più evidenti. E sui quali la candidata Presidente dovrà fornire indicazioni programmatiche per quanto possibile inclusive e tali da garantirle un ampio sostegno in Parlamento, preferibilmente senza cadere in un eccesso di genericità. Nella gestione del mandato che sta per scadere, la Presidente uscente ha dato prova di visione strategica e insospettabili capacità tattiche. Sono doti che dovrebbero consentirle una più che probabile rielezione.

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