Le missioni italiane all’estero oltre il ‘focus europeo’

Uno degli ultimi dossier affrontati dal Parlamento prima delle elezioni del 25 settembre riguarda le missioni internazionali cui partecipa l’Italia.

Le commissioni Esteri e Difesa delle due Camere hanno infatti avviato l’iter con cui i legislatori prenderanno in esame la deliberazione del Consiglio dei Ministri, approvata il 15 giugno, con la quale il governo chiede l’approvazione e il rinnovo delle missioni militari in cui sono impegnate le Forze Armate italiane.

Storicamente, le missioni all’estero rappresentano uno strumento versatile della politica estera italiana. La partecipazione di contingenti italiani a operazioni internazionali è un modo con cui Roma può contribuire alla stabilizzazione di Paesi o regioni prioritarie per l’Italia, soprattutto nel Mediterraneo allargato. Allo stesso tempo, la presenza di truppe italiane in missioni Nato o Ue permette all’Italia di avere un ruolo costruttivo nelle alleanze a cui partecipa e di mantenere uno stretto rapporto con i partner internazionali, soprattutto in tempi di crisi.

Vecchie e nuove missioni

Questo ultimo aspetto sembra essere preponderante se si considerano le nuove missioni deliberate dal governo e la rimodulazione di quelle già esistenti. Nel Decreto Missioni 2022 si registrano infatti alcuni cambiamenti, prima di tutto rispetto alla distribuzione globale delle forze armate italiane. Infatti, come nel 2021 l’Italia sarà impegnata in un totale di 40 missioni, ma a fronte da un disimpegno da tre Paesi (EUAM – European union advisory mission Ukraine, EUBAM Rafah e soprattutto Resolute Support in Afghanistan) e l’inizio di tre nuove missioni: schieramento sul fianco est della Nato, un supporto puntuale alle forze armate qatariane per la sicurezza dei mondiali di calcio 2022, e l’entrata in EUTM European union training mission Mozambico.

Il nuovo focus europeo

Sulla carta, l’Africa rimane il continente di maggior interesse per la Difesa italiana, con più di metà delle missioni (23) schierate sul continente. Lo svolgimento di alcune di queste è oggetto di dibattiti politici in corso da diversi anni. Sulla missione in Libia il governo si è ad esempio impegnato a rivalutare criticamente il proprio supporto alla guardia costiera libica, accusata di violenze e violazioni sistematiche dei diritti umani nella gestione dei confini marittimi. D’altro canto, guardando non al numero delle missioni ma al loro peso, il personale militare in Europa è più che raddoppiato rispetto al 2021, superando le 6.500 unità a scapito delle missioni in Asia e Africa. Il 55% del personale militare italiano è ad oggi schierato in Europa, un aumento del 22% rispetto al 2021.

Il maggior impegno sul continente europeo comporta anche un forte aumento complessivo delle unità schierate all’estero: il tetto massimo di unità autorizzate e dispiegabili nelle operazioni all’estero passa a 12.183 unità. Questo rappresenta una crescita ulteriore rispetto al 2020 e il 2021, che prevedeva un tetto massimo di 9.449 soldati schierati all’estero. Sul numero totale, 8.505 appartengono a missioni di cui si chiede la proroga, mentre il resto è suddiviso fra nuove missioni e il potenziamento di quelle esistenti.

In linea con lo spostamento dell’attenzione Nato e italiana verso i confini orientali dell’Alleanza atlantica alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina, la nuova missione più consistente prevede lo schieramento di mille soldati in Ungheria e Bulgaria; in quest’ultimo paese l’Italia farà da “Framework Nation” per gli altri contingenti Nato, assumendo il comando del battaglione multinazionale in via di dispiegamento. Un maggior impegno è previsto anche nella Nato Joint Enterprise nei Balcani. Anche la Marina sarà meno impegnata nel Mediterraneo Centrale e lungo le coste africane, spostando diversi assetti verso la sorveglianza marittima del fianco Sud dell’Alleanza. Al netto di tali spostamenti, la Marina italiana continuerà ad avere un ruolo importante anche nel Golfo Persico, dove guida attualmente la missione navale europea di sorveglianza nello Stretto di Hormuz.

Un impiego mirato dello strumento militare

Infine, all’interno di alcune missioni esistenti è previsto un ridimensionamento sul piano di personale e mezzi. UNIFIL in Libano e la missione contro Daesh in Iraq subiscono tagli, mentre la Nato training mission sempre in Iraq e da maggio 2022 comandata proprio dall’Italia (che arriva a 610 soldati e 100 veicoli) e la missione bilaterale in Niger (350 unità, 110 veicoli e sei aerei) beneficeranno di aumenti in entrambi i sensi.

Il dato complessivo suggerisce che l’Italia percepisce la stessa urgenza dei suoi partner alleati Nato nel rafforzare la deterrenza sui confini orientali del Vecchio continente. Ciò ha reso inevitabile una selezione più accurata degli impegni italiani in Africa, riducendo l’impronta militare complessiva ma mantenendo (o rafforzando) la presenza in Paesi chiave come il Niger e la Libia.

In più, l’Italia sembra voler continuare a fornire supporto puntuale ai propri partner regionali con capacità specializzate come il contrasto ai droni  e in ambito nucleare biologico chimico e radiologico (NBCR), come avverrà per i mondiali del Qatar.

Considerando le nuove missioni di deterrenza in Europa e le classiche missioni di stabilizzazione, il quadro operativo delle Forze Armate si fa sempre più complesso e variegato in linea con il quadro strategico di riferimento.

Foto di copertina EPA/GEORGI LICOVSKI

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