L’Italia è uno dei pilastri della base industriale della difesa europea. La penisola ospita alcune delle aziende più importanti in questo comparto e eccelle in alcuni settori cruciali come l’elicotteristica, l’elettronica e il navale.
Le aziende italiane sembrano, però, avere difficoltà a convertire forza industriale e capacità tecniche in leadership a livello europeo: basta osservare il ruolo modesto che l’industria nazionale gioca nei primi due anni dei bandi europei European Defence Fund (Edf) volti a realizzare programmi comuni di ricerca e sviluppo finanziati dall’UE, nonostante l’attivismo di Roma nella cooperazione europea sin dal lancio dei programmi precursori (Padr e Edidp).
L’importanza dello European Defence Fund (Edf)
L’Edf è stato creato nel 2019 dalla Commissione europea per finanziare progetti di ricerca congiunti nell’ambito dell’aerospazio e della difesa, promuovendo così l’innovazione tecnologica e lo sviluppo di una autonomia strategica europea – nonché una maggiore cooperazione e integrazione tra le industrie europee del settore. L’idea dietro l’iniziativa è che un domani le tecnologie finanziate portino all’adozione di sistemi d’arma e capacità europee all’altezza dei propri omologhi stranieri, e comuni a più stati membri. Per Paesi come l’Italia, l’Edf è particolarmente importante: la sofisticazione tecnologica è centrale nel modo in cui gli stati occidentali, e specialmente le medie potenze come Roma, possono guadagnare un vantaggio sul campo di battaglia rispetto a potenziali avversari. In più, solo unendo le forze a livello europeo è possibile raggiungere le economie di scala necessarie per giocare nello stesso campionato di Stati Uniti, Cina o India.
Il bilancio di Edf, sia chiaro, è ancora insufficiente a tal scopo. Con 8 miliardi di euro per il periodo 2021-27 serve, però, a co-finanziare un buon numero di progetti che vengono selezionati in bandi annuali, a cui si possono presentare dei consorzi composti da aziende ed enti di ricerca di Ue e Norvegia. È un primo passo molto importante, soprattutto per le imprese italiane. Il primo bando Edf è stato pubblicato nel 2021 e i risultati sono stati resi noti nel 2022, mentre poche settimane fa sono usciti i risultati dei bandi 2022.
Il ruolo modesto dell’Italia nei bandi Edf 2021 e 2022
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Il quadro che si delinea per il nostro paese è ambiguo. Da un lato, l’Italia è lo stato Ue col più alto grado di partecipazione ai progetti Edf, con 224 casi di entità italiane che partecipano ai 102 progetti finora finanziati – di poco davanti alla Francia con 220 partecipazioni. Roma è tuttavia la quinta in classifica in termini di coordinamento, guidando solo sette progetti: poco meno della Grecia, un terzo di quelli guidati dalla Spagna un quarto dei francesi. In particolare, l’Italia ha rallentato nel 2022, ponendosi alla testa di soli due nuovi progetti rispetto ai dodici francesi o i sei nuovi progetti tedeschi. Da notare peraltro che la Germania triplica i progetti coordinati e dimostra un’accelerazione delle industrie tedesche in termini di cooperazione europea.
Il ruolo del coordinamento è particolarmente importante perché le aziende che tengono le fila dei consorzi hanno una funzione di aggregazione, ma hanno anche il privilegio di un avere una visione di insieme sulle tecnologie trattate dai singoli partner coinvolti, oltre che avere un ruolo cruciale nel determinare la direzione di sviluppo del progetto – e in prospettiva nel gestire un eventuale fase di produzione. Rafforzano, inoltre, una prassi di leadership che, per volontà propria, inerzia o abitudine altrui, si riflette sui futuri bandi Edf – e non solo.
Ciò è particolarmente importante per i consorzi particolarmente grandi e con il valore più alto. Se usiamo i valori dei progetti come indicatore approssimativo, per quanto imperfetto, della complessità e sofisticazione tecnologica di un progetto di sviluppo, allora anche qui emerge quanto le entità italiane abbiano un ruolo marginale rispetto ad altri paesi. Entità francesi coordinano progetti per un valore di 894,5 milioni di euro, una cifra dovuta a un’ottima performance sia sui bandi del 2021 che del 2022. L’Italia ha invece visto un crollo del 70% rispetto al 2021 per quel che riguarda il valore dei progetti coordinati.
La capacità di guidare consorzi europei esiste… nella Pesco
L’Italia non sembra quindi essere riuscita a ritagliarsi un ruolo di guida nei consorzi che rispondono a bandi Edf. Eppure, guardando i numeri, ne sarebbe capace. La posizione di partenza è molto buona: analogamente ai maggiori Paesi dell’Unione, l’Italia è in grado di gestire progetti grandi, sia in termini di numero di enti partecipanti, sia in termini di valore del progetto. Tuttavia, al netto dei rari casi di leadership, le aziende italiane sembrano essere relegate a ruoli subalterni, accettando di guidare progetti dal valore complessivo inferiore rispetto ad altri stati europei.
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È istruttivo guardare anche all’esperienza fatta dal sistema-paese Italia in un altro formato europeo di cooperazione per la difesa, la Cooperazione Strutturata Permanente (Permanent Structured Cooperation, Pesco). A differenza dell’Edf, la Pesco è un formato intergovernativo e senza un finanziamento diretto da parte del bilancio Ue, i cui primi progetti sono stati lanciati dal 2018 attraverso successive ondate fino agli attuali 68. Mentre nei progetti Edf le istituzioni italiane possono solo giocare un ruolo di supporto all’industria nazionale, che partecipa a bandi competitivi, nella Pesco la palla sta chiaramente in mano allo stato, ed in particolare al Ministero della Difesa, che imbastisce cooperazioni con i propri partner continentali.
Qui, l’Italia riesce a giocare un ruolo di leadership a livello europeo. Roma è seconda solo a Parigi in termini di progetti coordinati, un dato che riflette anche le rispettive partecipazioni ai progetti Pesco (41 per l’Italia, 62 per la Francia). In questo ambito, l’Italia sembra inoltre continuare a investire con costanza nel proprio ruolo di guida portando a casa nuovi coordinamenti in quasi tutte le ondate di progetti. Questa discrepanza fra Pesco e Edf, cioè fra un formato puramente intergovernativo e uno più comunitario e transnazionale, dovrebbe far riflettere sui punti di forza e di debolezza del sistema-Paese.
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La scarsa volontà o capacità di guidare consorzi sui bandi Edf potrebbe costare caro all’industria italiana. Nel 2022 questi ultimi sono stati particolarmente concentrati su temi sui quali l’Italia può esprimere delle eccellenze, soprattutto in termini di capacità abilitanti o strategiche: la difesa missilistica, la sensoristica, ma anche tecnologie all’avanguardia come gli i mezzi a pilotaggio remoto o autonomi. Anche i bandi del 2023 presentano molte opportunità per l’Italia. Infatti, i progetti selezionati dalla Commissione riguarderanno di nuovo tematiche come i droni, ma anche settori cruciali nei quali la superiorità tecnologica europea è resa ancora più urgente dalla guerra in Ucraina: le forze corazzate, l’artiglieria, il trasporto aereo strategico, la ricognizione spaziale e la sorveglianza sottomarina. È vitale che le aziende italiane giochino qui un ruolo di primo piano, commisurato alle proprie capacità e alla leadership che Roma intende di avere nella difesa europea. In quest’ottica un ruolo fondamentale dovrebbe essere giocato dal Ministero della Difesa, analogamente a quanto avviene in Francia, promuovendo più attivamente la partecipazione nazionale ad Edf a cominciare dall’impostazione del contenuto dei bandi annuali per arrivare alla individuazione di quelli prioritari per l’Italia e alla promozione di consorzi a guida nazionale.
Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI