Il non facile percorso dei negoziati sulla neutralità dell’Ucraina

Le ultime notizie che giungono sui negoziati in corso per l’Ucraina hanno riproposto all’attenzione il tema di una possibile intesa per uno “statuto sulla neutralità” di Kiev, incentrato sulla definitiva rinuncia alla adesione alla Nato e ad altre alleanze militari. Secondo il Financial Times, grazie alla mediazione della Turchia, sarebbe all’esame una bozza di accordo articolato in 15 punti, che prevederebbe in particolare 5 condizioni: 1) la cessazione delle ostilità in atto e il ritiro delle truppe russe; 2) la neutralità dell’Ucraina e la rinuncia alla adesione alla Nato; 3) limitazioni alle forze armate dell’Ucraina; 4) divieto di installazioni di basi militari straniere; 5) garanzie per le minoranze russofone in Ucraina.

L’excursus della neutralità in Ucraina

La scelta della neutralità non è nuova per l’Ucraina. Anzi, l’esperienza di Kiev è ricordata negli studi di diritto internazionale (ex multis, Ronzitti) con riferimento alla scelta unilaterale di “non-allineamento” adottata con la legge 15 luglio 2010 relativa alle “basi della politica estera e dell’interno”. La legge disponeva che l’Ucraina doveva considerarsi uno Stato “non allineato”, che non aderisce ai “bocchi” e a qualsiasi alleanza politica militare, inclusa la Nato. Si trattava in sostanza di una concessione che l’allora governo filorusso aveva voluto riconoscere alla Federazione Russa, che premeva perché l’Ucraina non aderisse alla Nato. La legge ovviamente fu abrogata dopo l’occupazione russa della Crimea e la guerra del Donbass, e nel 2019 la prospettiva di entrare nella Nato è stata sancita dalla stessa Costituzione dell’Ucraina.

Gli emendamenti apportati alla Costituzione hanno riguardato in primo luogo il preambolo, dove dopo le parole “l’armonia civile sul territorio dell’Ucraina” è stata inserita la frase “e riaffermando l’identità europea del popolo ucraino e l’irreversibilità del percorso europeo ed euroatlantico dell’Ucraina”; segue poi il paragrafo 5 della prima parte dell’articolo 85 sulle “competenze del Parlamento dell’Ucraina” ove, con riferimento alla “determinazione dei principi di politica interna ed estera,” si richiama l’ “attuazione del corso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico”.

Sulle funzioni di garanzia del Presidente della Repubblica, all’articolo 102 si sancisce che lo stesso “è il garante dell’attuazione del percorso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico”. E con riferimento alle funzioni di Governo, all’articolo 116 è stato aggiunto il punto 11, in cui si afferma: “assicura l’attuazione della direzione strategica dello Stato per l’acquisizione della piena adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico” (rif. Lapa, Frosini, Università Bocconi). Come è noto, a parte alcune iniziative di partnership cooperativa, il processo di formale adesione alla Nato è stato comunque bloccato.

I modelli di neutralità e il ruolo degli Stati “garanti”

Ritornando al tema dei possibili negoziati in corso sulla neutralità, è bene valutare l’ipotesi con ogni necessaria cautela, considerando che la Russia in atto si sta apprestando ad una decisa intensificazione della violenza bellica. L’attenzione va comunque puntata sulle indicazioni che risultano ad oggi riconducibili alle fonti aperte, come l’agenzia russa Interfax che ha riportato alcune dichiarazioni del Ministro degli esteri Lavrov ed in particolare del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in base alle quali sarebbe “possibile un compromesso” su un modello di neutralità “smilitarizzata” dell’Austria e della Svezia. Il riferimento a tali modelli di Paesi che non hanno aderito alla Nato, tuttavia, non sembra avere convinto l’Ucraina, tanto che uno dei negoziatori, Mykhailo Podoliak, ha fatto due affermazioni molto esplicite: 1) “L’Ucraina è ora in uno stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto, il modello può essere solo ucraino”; 2) uno status di neutralità deve comunque includere “un accordo rigido con un certo numero di Stati garanti che si impegnano a prevenire attivamente gli attacchi in Ucraina”.

Interpretando tali osservazioni, l’Ucraina sembrerebbe volere sostenere in primo luogo che uno “statuto sulla neutralità” di Kiev non dovrà essere unilaterale o il frutto di un accordo bilaterale Russia-Ucraina, peraltro sottoscritto in stato di aggressione. Si parlerebbe quindi di un trattato multilaterale, come nel caso storico della Svizzera, la cui neutralità fu sancita dall’Atto finale del Congresso di Vienna del 1815. In questo caso, si ipotizza il coinvolgimento di Stati Uniti, Regno Unito e Turchia, in qualità di “garanti”.

Ma il punto più critico è proprio questo: il progetto dell’Ucraina, in quanto Stato già aggredito, sembra orientato ad inserirvi clausole sulle “garanzie della neutralità”, dove però il ruolo di garanzia non riguarderebbe il mero riconoscimento dello status di neutralità, ma anche l’assunzione dell’impegno ad intervenire in caso di attacco armato, senza oneri di reciprocità (Ronzitti). In sostanza, i Paesi “garanti” sarebbero chiamati ad intervenire se la sovranità territoriale dell’Ucraina sarà violata, così come avrebbe dovuto fare la Nato se Kiev avesse aderito al Trattato di Washington.

Le incognite sui negoziati e il ruolo delle Nazioni Unite

Sulle “garanzie” della neutralità si giocherà tutto, perché occorrerà verificare se effettivamente la Russia è disposta ad accettare questo ruolo degli Stati “garanti”. Rimane altrimenti l’ipotesi di negoziare l’inserimento di una norma più generale sugli obblighi di solidarietà alla self-defence sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite di fronte a qualunque aggressione ad uno Stato parte, in special modo se “neutralizzato”.

Questioni aperte su cui l’Ucraina ancora non si è espressa riguardano comunque il riconoscimento dell’annessione della Crimea e delle Repubbliche autonome di Donestk e Luhansk, non dimenticando che è stata proprio la Russia a giustificare la sua aggressione proponendosi come loro “garante”.

Intanto,  la guerra continua e si fa sempre più minacciosa e gravida di conseguenze soprattutto per la popolazione civile, ma anche per la sicurezza di Paesi europei. L’auspicio è che, qualora la strada dei negoziati dovese fallire, la coscienza collettiva, che l’umanità potrà esprimere anche attraverso i nuovi social-media, possa spingere ancora l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a sostituirsi all’immobilismo del Consiglio di Sicurezza, come è avvenuto con la Risoluzione del 1° marzo scorso. Ma questa volta il richiamo dovrà essere più vicino ad un modello di Risoluzione Uniting for peace, che imponga a questo punto un negoziato per la cessazione delle ostilità secondo condizioni imperative che, in via equidistante e in rigorosa osservanza del diritto internazionale, potrà essere definito da un parere della Corte Internazionale di Giustizia.

Foto di copertina EPA/RUSSIAN FOREIGN AFFAIRS MINISTRY

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