Gli strumenti del diritto internazionale per la ricerca della pace in Ucraina

Sono stati già analizzati gli aspetti essenziali dell’inquadramento giuridico in cui collocare l’attacco perpetrato dalla Russia all’Ucraina. Il 2 marzo scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione che condanna l’invasione russa, con 141 Paesi a favore, 35 astenuti, e solo 5 contrari: Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea. Anche l’astensione che hanno assunto la Cina e l’India non va letta come un deciso schieramento al fianco di Putin. Va vista anzi una loro posizione equidistante che potrebbe farle individuare tra i Paesi che possono mediare per la cessazione delle ostilità. In ogni casso, l’isolamento internazionale della Russia è ormai certo.

Le prospettive dopo la Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU

Tuttavia, occorre grande cautela, perché non va dimenticato che siamo di fronte ad una “grande potenza” che ha dichiarato l’allerta dei sistemi d’arma nucleari, sebbene con riferimento al “sistema difensivo”, una nozione che non rassicura affatto perché tutto dipende da cosa la Russia percepisce come “minaccia” alla sua difesa. D’altro canto, se la notizia della ripresa dei negoziati da un lato è incoraggiante, realisticamente bisogna guardare alla progressiva avanzata delle forze russe in Ucraina, e ai bombardamenti sempre più massicci. E occorre pensare anche a ciò che lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato in una intervista ripresa dalla CNN: “Da soli non ce la possiamo fare”.

Fatte queste premesse, il contributo del diritto internazionale può consentire di individuare le soluzioni giuridiche e diplomatiche più appropriate per la risoluzione pacifica delle controversie, anche in una fase di escalation dei conflitti. È questo il ruolo che compete alla “comunità dei giuristi” se vuole definirsi tale, non tralasciando che il diritto internazionale delinea tutti i margini dell’esercizio della violenza bellica. In particolare, è il diritto internazionale umanitario a prevedere misure di protezione e tutela per la popolazione e gli obiettivi civili, i prigionieri, i feriti, i malati, e i rifugiati. Le norme giuridiche internazionali in sostanza pongono precisi limiti alla condotta delle ostilità, e stabiliscono pure principi generali di gradualità e proporzionalità della deterrenza e delle risposte difensive (N. Ronzitti, Il diritto internazionale dei conflitti armati, 2017). Ma soprattutto i giuristi del diritto internazionale devono perseguire l’obiettivo di preservare e ripristinare lo stato di pace.

I negoziati in corso in Bielorussia

In questa ottica, è bene indicare i punti da cui risultano partiti i negoziati avviati in Bielorussia, prima a Gomel il 28 febbraio e poi proseguiti a Brest il 3 marzo (nda: oggi, al momento in cui si scrive). I colloqui sono stati guidati dal russo Vladimir Medinsk e dall’ucraino Mykhailo Podoliak.

A margine del primo negoziato c’era stata una telefonata tra Putin e Macron, in cui il leader russo avrebbe indicato che un accordo “è possibile solo tenendo conto incondizionatamente dei legittimi interessi della Russia nel campo della sicurezza”, che comprendono “il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea”, nonché la “smilitarizzazione e denazificazione dello Stato ucraino e la garanzia sullo status neutrale”.

La posizione di Kiev invece è stata determinata a imporre il “cessate il fuoco”, il ritiro delle truppe russe, e l’adesione dell’Ucraina all’UE. Non si hanno conferme se nel negoziato l’Ucraina abbia anche parlato dell’adesione alla Nato, ma ovviamente su questo Mosca non sarebbe disposta a cedere di un passo.

Il secondo round dei negoziati di Brest si è concluso con la notizia data dal governo ucraino, riportata dalla Tass, di un’intesa raggiunta sul “cessate il fuoco temporaneo per permettere corridoi umanitari”.  Il Guardian ha riportato indicazioni di un negoziatore ucraino, secondo cui “non sono stati raggiunti i risultati che l’Ucraina voleva”. Su Twitter il consigliere della presidenza ucraina, Mykhailo Podolyak, ha confermato che “è stata presa solo una decisione sull’organizzazione dei corridoi umanitari”. Medinsky, il capo negoziatore russo, ha indicato che “le posizioni della Russia e dell’Ucraina sono chiare”, precisando che “sono state discusse questioni umanitarie e militari e una possibile futura soluzione politica al conflitto”.

Dopo i colloqui

Tuttavia, durante lo svolgimento dei colloqui sono intervenute alcune notizie che hanno destato serie preoccupazioni per le prospettive di un concreto passo in avanti. Il Presidente Volodymyr Zelensky in un videomessaggio ha chiesto l’introduzione di una “no-fly zone” in Ucraina e sollecitato un confronto diretto con il presidente russo, “l’unico modo per fermare la guerra”. Il Ministro degli esteri russo Lavrov in un incontro con la stampa estera ha indicato: “Mosca non può consentire minacce di attacco diretto alla Russia provenienti dall’Ucraina”. E ha precisato: “continueremo la nostra operazione, perché non possiamo permettere all’Ucraina di mantenere le infrastrutture che minacciano la sicurezza della Federazione Russa: la demilitarizzazione sarà portata a termine nel senso che le infrastrutture e le armi che ci minacciano saranno distrutte”.

È stata poi la volta delle dichiarazioni televisive rese dallo stesso Putin. Il presidente russo ha ripreso la narrazione sull’identità russa e sull’aggressione subita dalle popolazioni russe del Donbass da parte del governo di Kiev. “Siamo in guerra con i neonazisti”, ha dichiarato, aggiungendo che mentre “i nostri militari forniscono corridoi sicuri per i civili (…) i neonazisti ucraini lo impediscono e stanno trattando i civili come scudi umani”.  Ha quindi ribadito: “Non ritornerò mai indietro rispetto alla mia dichiarazione che Russia e Ucraina sono un unico popolo”, ed ha precisato: “L’operazione speciale in Ucraina prosegue in accordo con i nostri programmi”.

È arduo interpretare la reale portata di tali dichiarazioni. Da un lato potrebbero essere lette come una condizione di irremovibilità delle posizioni della Russia, che peraltro anche sul campo appare decisa ad estendere l’avanzata in Ucraina, come dimostrerebbero le notizie delle temute incursioni navali su Odessa. Ma potrebbe essere ancora una postura della grande potenza che vuole dimostrare fin in fondo di non cedere nulla, soprattutto sul fronte interno. Non a caso, in vari passaggi dell’ultimo discorso Putin si è soffermato sul valore delle truppe russe, ed ha annunciato la concessione di onorificenze ai militari che si sono distinti nei combattimenti, nonché di ulteriori incentivi economici per i combattenti e i loro familiari. Un’indicazione che tradisce probabilmente una preoccupazione per la motivazione delle forze impiegate sul campo e per il consenso nazionale, già in bilico per i primi effetti delle sanzioni.

Ci vuole una mediazione diversa

In questo scenario è difficile ipotizzare l’evoluzione delle negoziazioni in corso. Il rischio è che la trattativa per la Russia non sia che un diversivo, l’ultimo pretesto con cui giustificare l’aggressione totale sull’Ucraina. Un riscontro sarà dato a questo punto dalle notizie che verranno sulle effettive modalità di attuazione del cessate il fuoco temporaneo e dei corridoi umanitari. Ciò che rammarica, in ogni caso, è che al negoziato non sia prevista una mediazione neutrale e indipendente, che certamente non può individuarsi nella Bielorussia di Lukashenko.

Riferimenti istituzionali in proposito potevano essere certamente le Nazioni Unite, o anche Paesi che si sono astenuti nella condanna della Russia, come la stessa Cina, o anche la Svizzera, storico paese “neutrale”, se non anche figure autorevoli dell’Unione Europea che hanno un trascorso di attenzione alla Russia, come la ex cancelliera Angela Merkel, per fare un nome. Ma si poteva pensare anche ad un “collegio” ristretto dei giuristi della Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, che avrebbero potuto esprimere pareri in specie sulla legittimità delle rispettive pretese. A solo titolo di esempio, i giuristi avrebbero potuto richiamare i principi di diritto internazionale che prevedono uno specifico processo per poter configurare un diverso status della Crimea, qualora vi siano i presupposti e, in ogni caso, senza atti impositivi unilaterali.

Un ruolo ancora possibile delle Nazioni Unite

Il riferimento al quadro istituzionale delle Nazioni Unite, peraltro, non appare affatto poco realistico o inappropriato per ricondurvi l’iniziativa negoziale, per varie ragioni. La prima è che la Russia, che ha certamente posto in discussione altri fori internazionali come il G7 da cui è esclusa, riconosce il ruolo dell’ONU.

La Russia siede permanentemente nel Consiglio di Sicurezza in cui esercita l’importante potere di veto, e nello stesso contesto si sono registrate significative astensioni sulla proposta di condanna dell’intervento russo da parte di Cina, India ed Emirati Arabi. Ma soprattutto appare fondamentale sottolineare come nei discorsi che hanno annunciato l’intervento in Ucraina Putin abbia espressamente fatto riferimento – sebbene in una visione personalissima ad usum delphini – all’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, parlando anche di “missione di peacekeeping”.

Beninteso, su questo vale richiamare quanto si è già espresso e un importante documento presentato dalla International Law Association-Sezione Italia a firma di Gabriella Venturini. Nel documento si “denuncia con forza l’aggressione di cui è responsabile la Federazione Russa con il suo massiccio intervento militare in Ucraina”, ribadendo in particolare che: a) il divieto dell’uso della forza armata nelle relazioni e l’integrità territoriale degli Stati, entrambe proclamate dall’ articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite (Risoluzioni sui “problemi attuali dell’uso della forza nel diritto internazionale”, in particolare quelle sull’autorizzazione all’uso della forza del 2011 adottate alla sessione di Rodi, e dalla Dichiarazione di Bruges sull’uso della forza nel 2003); b) l’intervento russo non può trovare alcuna giustificazione giuridica, né nel principio di diritto inerente all’autodifesa ai sensi dell’articolo 51 della Carta “in assenza di aggressione armata da parte dell’Ucraina”, né in una risoluzione del Consiglio di sicurezza adottata ai sensi del capo VII della Carta.

Le soluzioni nel quadro dell’ONU

In ogni caso, la circostanza che la Russia abbia fatto riferimento alla Carta delle Nazioni Unite deve costituire un argomento su cui insistere per promuovere la mediazione proprio su questa base giuridica, dimostrando dunque a Putin il proposito di accettare il campo di confronto che lui stesso ha proposto. In questo modo, potrà richiamarsi proprio l’articolo 51 per ricordarne l’integrale previsione, che sancisce “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva”, ma ne condiziona sempre e tassativamente l’esercizio “fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.

È vero che la norma della self-defence è di diritto internazionale consuetudinario e prescinde dalle previsioni della Carta, ma se è proprio lo stesso Putin a rifarsi letteralmente all’articolo 51 del diritto onusiano quella è la previsione che va a vincolare le parti negoziali che l’accettano. Peraltro, vanno anche ricordati i principi generali della prassi delle Risoluzioni adottate ai sensi dell’articolo 51, o del capitolo VII o VIII della Carta, ovvero delle pronunce adottate dalla Corte Internazionale della Giustizia, secondo cui qualsiasi intervento armato deve rispettare i parametri della “necessità” e della “proporzionalità” e non può violare il diritto internazionale umanitario. In particolare, l’azione armata di peacekeeping, ex articolo 51, non può tradursi in un regime di “occupatio bellica” prolungata o nella “annessione” del territorio dello Stato autore dell’intervento (ex multis, Ronzitti, cit.).

Ciò posto, se quindi vuole proporsi un quadro di legalità per la situazione in Ucraina, questo non può che essere una determinazione delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco. A questo punto, il lavoro dei mediatori potrà essere ancora giuridicamente assertivo nel sostenere la configurazione di una operazione di “peacekeeping” internazionale a guida Onu, che offra reale garanzia di indipendenza e neutralità per tutti gli attori in gioco. Il modello – largamente adeguato in meglio – potrebbe essere uno di quelli già disposti dopo interventi unilaterali, tra cui quello adottato con la Risoluzione 1244 sul Kosovo, con l’obiettivo di tutelare il governo locale e consolidare l’Ucraina come nazione indipendente.

La soluzione potrà prevedere in particolare un sistema integrato di misure di fiducia e sicurezza, che comprenda una road map sulla smobilitazione delle forze occupanti, una rete di osservatori internazionali indipendenti, e, se del caso, ove sia necessario prevedere verifiche degli assetti istituzionali si potrà discutere su processi di consultazioni referendarie e/o forme di riconoscimenti di autonomie e rappresentanza politica su base democratica. Sarà poi l’evoluzione degli eventi a valutare l’elemento della “neutralità” dell’Ucraina, con riferimento alla prospettata adesione alla Nato rifiutata dalla Russia, che, ove si ottenesse il cessate il fuoco, risulterebbe oggettivamente un sacrificio negoziabile. Un profilo diverso assumerebbe invece l’aspirazione dell’Ucraina di aderire all’Unione Europa, che concerne piuttosto il quadro più generale del ruolo di pacificazione che Bruxelles intende proseguire nei rapporti con la Russia.

Il ruolo dell’Unione Europea

L’auspicio che l’Unione Europea possa assurgere ad un ruolo negoziale di mediazione delle contrapposizioni, anche in questa fase difficile del conflitto, va sempre mantenuto vivo. Il percorso potrebbe essere sostanzialmente quello che è stato appena individuato, ovvero proporre la risoluzione della crisi adottando gli strumenti e le categorie giuridiche proprie del sistema della Carta delle Nazioni Unite, che peraltro vigono nei trattati e nelle costituzioni europee. In proposito, vi sono alcuni elementi di forza su cui poter argomentare con l’interlocutore russo. L’inizio della crisi si è avuta quando Putin si è visto respingere le richieste sulle “garanzie di sicurezza”, da parte di Stati Uniti e Nato: sono questi gli attori che egli ritiene in questo momento “ostili”.

L’Unione Europea certamente condivide la visione “euroatlantica”, ma può sostenere che l’adesione di alcuni suoi paesi alla Nato è esclusivamente su base difensiva. E ciò anche nella considerazione di settanta anni di pace al proprio interno e di una diplomazia che ha concepito i principali strumenti internazionali che hanno perseguito la cooperazione con la stessa Russia: dal Consiglio d’Europa agli Accordi di Helsinki del 1975, da cui è nata l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), per poi giungere al Partenariato per la Pace del 1999 e al Consiglio Nato-Russia del 2002.

Alla Russia va quindi ricordato che diversi paesi europei non sono aderenti alla Nato, alcuni suoi leader hanno anche dimostrato simpatie filorusse, ma soprattutto che l’Ue è un soggetto politico e internazionale distinto, e questo deve essere il primo argomento giuridico che deve essere sottolineato. In questa prospettiva, l’Unione Europea deve essere ulteriormente convincente sui motivi per cui ha aderito al sistema delle sanzioni e agli aiuti all’Ucraina, sottolineando il punto di vista della loro deterrenza per ripristinare l’ordine internazionale e la pronta disponibilità a ritirarli in caso di cessazione delle ostilità.

Una proposta concreta per la pace: non lasciare soli i negoziatori

In definitiva, ritornando al discorso più attuale del dramma dell’Ucraina, sarebbe auspicabile che i negoziatori di Mosca e Kiev non siano lasciati soli nelle trattative, e che ad essi giunga il sostegno anche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, soggetti che possono garantire terzietà e neutralità tra i due attori principali, di cui uno ha peraltro la netta preponderanza nella forza bellica.

E’ bene rivolgere dunque una richiesta assertiva a Mosca, in cui si evidenzi che è l’Europa ad essere stata direttamente colpita: da un lato, sarà chiamata anche ad affrontare, non senza sacrifici, il dovere dell’accoglienza per almeno 4 milioni profughi annunciati in fuga dall’Ucraina; dall’altro, sta vivendo in una condizione di paura e di crisi generale, più seria di quella provata persino con la pandemia. Una situazione drammatica che è condivisa, forse anche in forme più gravi, anche dalla popolazione russa.

Foto di copertina EPA/JUSTIN LANE

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