La mancanza di una cultura della difesa e della sicurezza

È difficile negare che nel nostro Paese si sia sempre lasciata in secondo piano la costruzione di una cultura della difesa e della sicurezza. La reazione alle illusioni indotte dalla faciloneria del regime fascista, che presentava l’Italia come potenza militare (smascherate dalle ripetute sconfitte su tutti i fronti, dall’occupazione tedesca, dai bombardamenti alleati), ha contribuito a spingere nel dopoguerra la nostra opinione pubblica verso altre illusioni: quella di poter vivere in eterno sotto la protezione convenzionale e nucleare dell’alleato americano e in un nuovo mondo in cui le guerre, al massimo, avrebbero continuato a svolgersi in altri continenti.

Questa convinzione è stata ben evidenziata dall’atteggiamento verso la partecipazione italiana alla NATO dei due maggiori partiti di opposizione (a sinistra e a destra): ideologicamente contrari, soprattutto all’inizio, ma sostanzialmente consapevoli che ci si poteva sentire più sicuri dentro che fuori.

Con la fine della Guerra Fredda, per un decennio ha imperato il dibattito sul “dividendo della pace”, anche se, non avendo precedentemente investito nel settore militare, non c’erano profitti, ma solo debiti e carenze da soddisfare. Poi, con l’arrivo delle guerre ibride, la scarsa attenzione della nostra opinione pubblica si è spostata sulle “missioni di pace”, sempre presentate in chiave buonista per non urtare il “pacifismo” così radicato nell’area cattolica, in quella populista e in quella di sinistra (sia storica che movimentista).

Nemmeno la prima vera guerra combattuta, quella in Afghanistan, è riuscita a scalfire l’atteggiamento di serena tranquillità regnante nel nostro Paese. E non lo ha fatto nemmeno l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014.

L’obiettivo del 2% del PIL per a difesa

Con l’annessione della Crimea è arrivata la conseguente decisione dell’Alleanza Atlantica nel 2014 di rafforzare le sue capacità di difesa, fissando l’obiettivo di investirvi almeno il 2% del PIL entro dieci anni. Tornati a Roma dopo quel vertice, i nostri governanti se ne sono dimenticati, salvo ribadire il nostro impegno nei dieci vertici successivi da parte dei Presidenti del Consiglio, dei Ministri degli Affari Esteri e della Difesa “pro-tempore”, ma senza poi fare nulla per mettere in pratica questa decisione.

Il “mantra” politico dei 6 Governi che si sono succeduti in questo decennio (Renzi, Conte 1, Conte 2, Gentiloni, Draghi, Meloni) è sempre stato: non ci sono sufficienti risorse finanziarie e, in ogni caso, non si possono trovare a discapito delle spese sociali. Il sottinteso, sempre condiviso, è che, altrimenti, si sarebbe rischiato di perdere consenso elettorale. E, per parere unanime dei nostri decisori politici, non si poteva aumentare il debito pubblico perché si sarebbero sforati i parametri del Patto di Stabilità e Crescita (per altro non imposti da qualche “gnomo” nascosto nell’ombra, ma discussi e approvati dall’Italia nel quadro dell’Unione Europea).

Ne è conseguita una costante richiesta italiana di escluderne le spese militari (in parte, secondo i governi di centro-sinistra, e del tutto, con il governo di centro destra). Ora, avendo la Commissione Europea accettato lo scorporo nell’ambito del programma ReArm Europe, almeno per il prossimo triennio, ci si accorge che in seguito bisognerà, però, rimettere i conti in ordine e che, comunque, un aumento del debito pubblico inciderebbe sul suo tasso di interesse. Di qui la tiepida, se non fredda, iniziale accoglienza italiana.

Il risultato dell’impegno, solennemente sottoscritto in sede NATO e confermato in sede europea, è che se nel 2014 spendevamo (secondo i criteri NATO concordati fra tutti i Paesi alleati) l’1,14%, nel 2024 siamo saliti all’1,49% con un incremento medio annuo dello 0,03%. Con questo ritmo l’obiettivo del 2% verrebbe, quindi, raggiunto intorno al 2041, con soli 17 anni di ritardo.

Una costante della storia italiana

Nella storia della Repubblica non ci sono state molte scelte bipartisan, ma quella di non investire nelle spese per la difesa e la sicurezza è sicuramente in vetta alla classifica. Nonostante i 68 governi nei 79 anni della Repubblica, con tutti i partiti coinvolti (anche se chi più e chi meno) il copione sul tema è sempre rimasto lo stesso: criticare quando si sta all’opposizione e non fare nulla una volta arrivati al governo.

Non ci si può, quindi, meravigliare se manca nel nostro Paese una cultura della difesa e della sicurezza. Lo dimostrano i risultati di alcuni sondaggi di opinione: lo scorso anno il 75% degli italiani si dichiarava contrario a ogni strategia di riarmo; quest’anno il 34% vorrebbe mantenere l’attuale livello di spesa, il 23% lo vorrebbe abbassare e solo il 33% è favorevole a un aumento degli investimenti in difesa; alla domanda se sarebbero disposti a impugnare le armi per difendere i confini nazionali, il 78% degli intervistati italiani ha risposto negativamente.

Eppure l’attuale Governo, e, in particolare, il Ministro della Difesa Crosetto (col supporto della Presidente del Consiglio Meloni), si sta impegnando come mai in passato nel comunicare alla nostra opinione pubblica che la ricreazione è finita e che lo scenario internazionale sta diventando sempre più pericoloso e minaccia la nostra libertà e autonomia e conseguentemente il nostro modo di vivere e il nostro sviluppo economico e sociale. Ma, purtroppo, questo non basta e, comunque, richiede un tempo che non è compatibile con le scelte che devono essere fatte oggi, non domani e tanto meno dopodomani.

C’è stata un’occasione unica nella nostra recente storia subito dopo l’attacco russo all’Ucraina nel febbraio 2022, ma, purtroppo, la legislatura stava finendo e non si è riusciti a coglierla. La sorpresa e la condanna unanime da parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche hanno portato il 16 marzo 2022 all’approvazione a stragrande maggioranza da parte della Camera dei Deputati di un Ordine del Giorno proposto da un deputato della Lega e co-firmato da parlamentari del M5S, PD, FI, IV e FDI in cui “si impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del PIL, dando concretezza a quanto affermato alla Camera dal Presidente del Consiglio il 1° marzo scorso e predisponendo un sentiero di aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione, a tutela degli interessi nazionali …”.

È quasi incredibile che solo tre anni fa anche quelli che oggi contrastano l’aumento delle spese militari (a livello europeo e nazionale) la pensavano diversamente e che tutti riconoscevano apertamente che fino ad allora avevamo evidentemente dimenticato gli impegni internazionali assunti nel 2014.

Bisogna ancora una volta prendere atto che l’illusione pacifista è così radicata nel nostro Paese da non riconoscere l’evidenza dei fatti, come l’esplodere di nuove guerre nelle aree più vicine all’Europa. Troppi italiani non sembrano voler riconoscere che nella nuova era in cui viviamo gli impegni e i trattati internazionali sembrano essere considerati apertamente carta straccia anche dal nostro alleato americano, oltre che da Russia e Israele (ma vi sono anche altri Paesi che lo hanno fatto senza ammetterlo, fornendo finanziamenti e armi a regimi impresentabili e milizie irregolari).

Le nuove regole sono basate sulla forza (economica e, inevitabilmente, militare) e non sul diritto, come conferma anche la crisi di tutti gli strumenti internazionali costruiti in questi ultimi settantacinque anni per gestire le diverse criticità di un mondo sempre più complesso. È evidente che, in alcuni casi per ragioni ideali e, in altri, per ragioni biecamente elettorali, molte forze politiche cavalcano e stimolano le comprensibili preoccupazioni di un’opinione pubblica disinformata e impreparata.

Una strategia nazionale per formare e informare

Per questo sarebbe così importante definire e mettere in campo una forte azione di informazione e formazione della nostra opinione pubblica che coinvolga l’intero Governo e non solo il Ministro della Difesa e, insieme, tutte le Istituzioni dello Stato, compreso il Parlamento e la Presidenza della Repubblica.

In quest’ottica un ruolo importante potrebbe essere svolto dal CASD-Centro Alti Studi per la Difesa e dagli Istituti di studio delle Forze Armate nell’ambito universitario e dalle Accademie nell’ambito delle scuole superiori. Analogamente il Consiglio Supremo di Difesa potrebbe favorire, con la sua autorevolezza, la crescita della consapevolezza in alcuni settori istituzionali, a partire dalle altre Amministrazioni pubbliche che vi sono coinvolte.

Essendo questo un problema nazionale, e solo parzialmente della Difesa, sarebbe opportuno che il coordinamento della definizione e dell’esecuzione di una simile strategia complessiva fosse gestito dalla Presidenza del Consiglio in un’ottica bipartisan, rendendo così evidente l’importanza che le viene attribuita e sfruttando l’autorevolezza di questa Istituzione.

Una particolare attenzione dovrebbe essere dedicata al mondo giovanile (utilizzando anche le modalità e gli strumenti più adatti), al mondo dell’informazione (utilizzando meglio le professionalità già disponibili) e a quello dei Think Tank (che in tutti i Paesi moderni, grazie alla loro “terzietà”, svolgono un importante compito di studio e informazione).

Certo, sarebbe necessaria anche la disponibilità per lo meno della parte più responsabile dell’opposizione nella consapevolezza che, se potesse diventare maggioranza, si troverebbe a dover compiere le stesse scelte che oggi devono necessariamente essere fatte dagli attuali Governo e Parlamento. È un percorso inevitabilmente lungo, ma non vi sono scorciatoie. In futuro una maggiore consapevolezza su questo tema servirà ancora più di oggi.

Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali. Dal 1984 svolge attività di studio e consulenza nel settore aerospaziale sicurezza e difesa per conto di organismi pubblici, di centri e istituti di ricerca, di società, di associazioni industriali. Dal 1992 al maggio 2018 è stato consulente della Presidenza del Consiglio presso l’Ufficio del Consigliere militare per le attività nel campo della difesa. Dal 2001 al 2017 è stato consulente del Ministero della Difesa – Segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti – per gli accordi internazionali riguardanti il mercato della difesa. Dal 2014 al maggio 2018 è stato consigliere per gli affari europei del Ministro della Difesa e dal giugno 2020 ha riassunto lo stesso incarico.

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