Cosa dice il diritto umanitario sull’attacco alla diga di Kakhovka

Gli analisti dell’Istituto statunitense per gli studi sulla guerra (ISW) avevano previsto fin dall’ottobre 2022 che le forze russe avrebbero cercato di far saltare la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka nella regione di Kherson, per poi accusare l’Ucraina di terrorismo.  Pur non escludendo a priori le ipotesi di un sabotaggio ucraino o di un incidente, le analisi più ragionevoli propendono per la tesi di una distruzione deliberata, praticata con mine, imputabile ai russi.

Le conseguenze dell’attacco

Le ricostruzioni di Mosca sono contraddette da elementi oggettivi: l’ampiezza del varco è di circa 200 metri per cui è da escludere il bombardamento con missili, e la demolizione con mine ad opera di un’azione ucraina, al centro della diga, risulta improbabile in un’area sotto pieno controllo militare russo. D’altro canto l’attacco alle dighe non è una novità per l’irresponsabile stato maggiore russo. Rientra in una deliberata strategia dell’aggressore per colpire le risorse idroelettriche, intimorire la popolazione e ora per respingere la controffensiva su una importante direttrice strategica.

I primi riscontri sono indicativi della catastrofe: 24 cittadine allagate sulla destra del fiume Dnipro, area rimasta sotto il controllo di Kyiv, e 16mila i residenti evacuati. Si prevedono ulteriori innalzamenti delle acque con rischi per almeno altri 80 insediamenti e la stessa centrale nucleare di Zaporizhzhia, per la quale al momento l’Aiea ha escluso emergenze. Otre 40mila persone potrebbero essere costrette ad evacuare, di cui 25 mila nei territori occupati dagli stessi russi. La diga è il principale fornitore di acqua alla Crimea, per cui la sua compromissione potrebbe esporre le popolazioni della penisola occupata dai russi all’insufficienza di risorse idriche. I russi avrebbero comunque fatto affidamento su una demolizione ‘controllata’, che non escluderebbe le manovre di pompaggio dirette ad alimentare la Crimea. Gli esperti ambientalisti dell’Onu hanno tuttavia richiamato anche il rischio di contaminazione delle acque per effetto del rilascio delle sostanze pericolose degli esplosivi impiegati per le mine.

Crimini di guerra e “necessità militare”

Sotto il profilo del diritto internazionale il quadro giuridico è molto preciso, e l’attacco alla diga è configurabile tra i crimini di guerra sanzionati dall’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Si può prevedere l’obiezione dei comandanti russi di fronte a un processo internazionale: l’attacco alla diga risponde ad una “necessità militare”, ammessa dal diritto internazionale, per la finalità di perseguire il vantaggio “complessivo, diretto e concreto” di bloccare la controffensiva ucraina. Sul punto tuttavia gli indirizzi delle Risoluzioni e di altre determinazioni delle Nazioni Unite (la più nota è il Rapporto Goldstone approvato dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla operazione israeliana “Piombo fuso” a Gaza, 2008-2009), oltre che gli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale per la ex Jugoslavia, hanno sempre rimarcato che il criterio della necessità militare va declinato con quello della “proporzionalità”.

A dirimere dubbi interpretativi sovvengono le previsioni del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, adottato nel 1977. L’articolo 52 stabilisce che “i beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie”, e che deve valere, in caso di dubbi, un principio generale di presunzione del non utilizzo a scopi militari delle strutture civili (para 3). L’articolo 54 pone il divieto dei metodi di guerra che compromettano l’utilizzo di beni necessari alla sopravvivenza della popolazione, di attaccare “installazioni e riserve di acqua potabile e le opere di irrigazione”, e di intraprendere in nessun caso azioni che abbiano conseguenze per l’alimentazione della popolazione civile.

Inoltre, l’articolo 55 impone che la guerra debba essere condotta curando di “proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi”. Più specifiche sono le previsioni dell’articolo 56 “Protezione delle opere e installazioni che racchiudono forze pericolose”. Al paragrafo 1, si indicano fra queste espressamente le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, che pertanto “non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile”. Se queste strutture fossero utilizzate per “l’appoggio regolare, importante e diretto a operazioni militari” gli attacchi saranno consentiti solo se rappresentano “il solo mezzo” per porvi fine. In tutti i casi vale il principio di precauzione del para 3, secondo cui la popolazione civile deve poter continuare a beneficiare di tutte le protezioni previste dal diritto internazionale, e “tutte le precauzioni praticamente possibili dovranno essere prese per evitare che le forze pericolose siano liberate”, incluso “un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci” previsto dall’articolo 57.

Fondamentale rimane la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite A/ES-11/L.2, Conseguenze umanitarie contro l’Ucraina, in cui si è chiesto di garantire la tutela dei civili e, in particolare, il rispetto e la protezione per i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, per le infrastrutture civili, nonché per la fornitura dei servizi essenziali. La Risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2022 – adottata con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni – ha poi formulato la prima accusa alla Russia di condurre la guerra all’Ucraina nella forma del “terrorismo di Stato“, per le reiterate condotte di coinvolgere i civili nei massacri, nei bombardamenti indiscriminati, e negli attacchi che già all’epoca avevano riguardato “deliberatamente le infrastrutture critiche ucraine nell’intero paese allo scopo di terrorizzare la popolazione e impedirle l’accesso a gas, elettricità, acqua, internet e ad altri beni e servizi di prima necessità”. Le accuse del Parlamento di Strasburgo sono state rivolte anche al “terrorismo geopolitico” della Russia per aver causato la crisi mondiale della sicurezza alimentare con il blocco dei porti marittimi ucraini, la distruzione delle scorte, e le restrizioni alle esportazioni di generi alimentari e fertilizzanti.

Cosa può fare la comunità internazionale

Su questi scenari, la distruzione della diga di Kakhovka richiederebbe ora una maggiore consapevolezza della comunità internazionale, in particolare da parte di quegli Stati che ancora non hanno deciso di essere netti nella condanna dell’aggressione di Putin all’Ucraina. Molti guardano con speranza alle iniziative di pace del Vaticano, ma probabilmente è più realistico pensare che solo una decisa presa di posizione di potenze come Cina e India, e anche del ‘Sud globale‘, potrebbe avere la forza di ricondurre la Federazione Russa a riconsiderare i suoi passi avventati. E qui il ruolo dell’Occidente e preferibilmente quello rinnovato delle Nazioni Unite dovranno essere determinati per un deciso richiamo ai principi del diritto internazionale nel sostenere il ritiro dai territori occupati illegalmente e quelle “garanzie di sicurezza” che evitino al futuro dell’Ucraina tregue ambigue, fragili e ingannevoli.

Anche per questo sarà necessario sostenere la Corte penale internazionale perché prosegua il suo percorso per affermare le regole del Diritto internazionale umanitario e i principi di effettività della giustizia penale internazionale.

Foto di copertina EPA/GEORGE IVANCHENKO

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