Dopo la caduta del Muro di Berlino molti esperti hanno teorizzato la “solitudine geopolitica dell’Africa”, la fine, cioè, della rendita geopolitica della guerra fredda che aveva trasformato il continente in uno scacchiere caldo della contesa tra i due blocchi. In effetti, la guerra fredda ha segnato la storia del continente africano a partire dalla conferenza di Yalta del 1945, spartiacque nella legittimazione internazionale della colonizzazione e nel riconoscimento del principio di autodeterminazione dei popoli – stella polare delle rivendicazioni anticoloniali e per l’indipendenza – la cui realizzazione coerente venne ripresa e rilanciata dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’Africa sarebbe finita, secondo i teorici della “solitudine geopolitica”, nell’irrilevanza geostrategica con la “fine della storia” (F. Fukuyama) e la vittoria del sistema liberal-capitalista nel mondo intero. L’Europa e gli Usa si disinteressarono del continente, attratti dai paesi ex comunisti che si aprivano alla democrazia e al capitalismo, alcuni avviando il processo di adesione alla Nato e all’Ue. Inoltre, l’Europa era concentrata nell’attuazione delle politiche di convergenza verso la moneta unica con risorse limitate da dedicare alla sua proiezione estera al di là del Mediterraneo.
Verso un nuovo soggetto globale
In verità, questo ritiro dall’Africa avveniva in un momento di effervescenza e cambiamenti. La fine del sistema dell’apartheid con l’ascesa al potere di Nelson Mandela, i processi di democratizzazione dopo decenni di dittatura sotto i regimi di partito unico, le riforme macroeconomiche, sotto la ferrea imposizione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, dettate dalle logiche del “Washington consensus”, segnano un decennio di svolta.
Prendeva il via la neo “renaissance africaine” e l’Occidente decideva di abbandonare il continente al suo destino, distratto da altre priorità. La morsa del debito e il tracollo delle economie africane strozzate facevano temere il rischio di un collasso generalizzato in un contesto segnato da conflitti dentro e fuori dai confini degli stati. il genocidio ruandese e le sue ramificazioni in Congo, le guerre di Somalia, le guerre civili in Angola, Centrafrica, Sudan, Liberia finirono per convincere gli strateghi europei dell’irrimediabilità del caos africano e della relativa marginalità. Europa e Usa non hanno però saputo riconoscere la natura dinamica della storia dell’Africa: Ex Africa semper aliquid novi, scrive Plinio il Vecchio, dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo.
Le rivoluzioni degli anni Novanta portano dentro lo scenario globale un continente che merita uno sguardo nuovo. Sul piano interno una nuova governance s’impone con una leadership che, allora, appariva innovativa e il continente passa in pochi anni dalla cronica stagnazione economica alla crescita. Si cominciò a parlare di rising Africa, emerging Africa per indicare una parte rilevante del continente che si era attrezzata per entrare nella globalizzazione da protagonista. A parte le riforme macroeconomiche e di governance, i paesi si sono dimostrati attrattivi per gli investimenti esteri per sviluppare infrastrutture intra-statali ma soprattutto di rilievo continentale. I grandi cantieri africani del NEPAD rilanciano un nuovo panafricanesimo, , che cambia la vecchia OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) in UA (Unione Africana), con un governo (Commissione) e un Parlamento panafricano con sede a Pretoria. Integrazione, sviluppo economico, pace, stabilità e sicurezza sono al centro della nuova Agenda 2063, che condensa la visione dell’«Africa che vogliamo» proiettata verso la globalizzazione con un progetto afrocentrico in partenariato paritario con le altre aree del mondo.
Dal punto di vista demografico, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, nel 2050 l’Africa avrà quasi 2,5 miliardi di abitanti: più del 25% della popolazione mondiale sarà africana. Anche se la crescita demografica rallenterà, l’Africa rimarrà il principale motore della crescita demografica globale: si prevede che rappresenterà quasi il 40% della popolazione mondiale entro la fine del secolo.
Sotto l’aspetto economico gli africani rappresenteranno un PIL complessivo di tremila miliardi di dollari e costituiscono, dal 2021, un mercato complessivo di tremila miliardi di dollari e 1,2 miliardi di persone. L’area di libero scambio africano potrebbe sviluppare di oltre il 50% gli scambi intra-africani con una ricaduta importante sugli scambi con il resto del mondo, rispettivamente il 29% delle esportazioni e più del 7% delle importazioni. Si attende un aumento significativo del 10% del PIL reale medio pro capite.
I nuovi attori in azione in Africa
Di fronte alla crescita dell’importanza geopolitica dell’Africa, quali sono i nuovi competitors?
La Cina è attualmente il principale partner commerciale, nel quadro della Belt and Road Initiative e grazie alla cooperazione bilaterale con l’Africa subsahariana, ed è inoltre, dall’inizio degli anni Duemila, un importante donatore per i Paesi africani, con prestiti volti principalmente a finanziare progetti di infrastrutture pubbliche. Di conseguenza, la sua quota sul totale del debito pubblico estero dell’Africa subsahariana è passata da meno del 2% prima del 2005 a circa il 17% nel 2021, pur rimanendo relativamente bassa sul totale del debito sovrano, pari solo al 6% circa. Dopo il Covid-19, la Cina sta vivendo un rallentamento economico di proporzioni storiche e significative, un calo sostanziale degli scambi commerciali e una riduzione dei prestiti, facendo dell’Africa la sua prima vittima collaterale.
La Russia estende la sua cooperazione in Africa soprattutto nei settori della sicurezza, con accordi militari in più di 20 stati, delle materie prime e dell’energia, anche se, secondo molti esperti, manca un allineamento circa le priorità e le urgenze. Tale disallineamento è emerso al forum Russia-Africa del 2023, dove le discussioni cruciali sulle pressanti sfide esistenziali dell’Africa sono state assenti: l’agenda non è riuscita ad affrontare le preoccupazioni ambientali, la giustizia sociale e gli effetti redistributivi della crescita.
Gli Stati Uniti rimangono un attore importante, anche se l’Africa occupa un posto secondario nella loro politica estera da diversi anni. È sicuramente in atto anche una competizione strategica con la Cina nel continente africano. A un anno dal vertice tra Africa e Stati Uniti, la Casa Bianca ha tracciato un primo bilancio dell’incontro, con lo scopo di ravvivare le relazioni nel bel mezzo di una guerra di influenza con la Cina. Il 13 dicembre – segnala Le Point – “l’amministrazione Biden si è congratulata per aver firmato quest’anno accordi commerciali record con l’Africa, per un valore complessivo di 14,2 miliardi di dollari. Ma il continente è corteggiato e gli Stati Uniti sono molto indietro rispetto alla Cina in termini di relazioni commerciali, con un volume di scambi tre volte inferiore in termini di valore”.
Gli arabi sono attivi principalmente nel Corno d’Africa e nel Sahel, dove perseguono interessi economici e di sicurezza. Sebbene gli Emirati Arabi Uniti (EAU), come le altre monarchie del Golfo, abbiano una relazione di lunga data con il Corno d’Africa e il Nord Africa, in particolare attraverso i flussi migratori, il desiderio di sviluppare una vera e propria politica per l’Africa è nato una quindicina di anni fa a Dubai. Inizialmente si è basata sulle opportunità economiche create dallo sviluppo del continente a partire dalla metà degli anni Duemila, e più in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008, che ha portato a un riorientamento della strategia di investimento internazionale degli EAU.
Molti attori internazionali si sono resi conto che, in termini geopolitici, l’importanza del continente nella politica mondiale crescerà nel corso del XXI secolo, anche in considerazione del crescente bisogno di risorse naturali in esaurimento. La futura cooperazione con le società africane avrà enormi implicazioni per i loro paesi. La maggior parte delle grandi potenze sta quindi elaborando “nuove strategie globali con l’Africa“, avviando programmi volti a riposizionarsi sul continente.
In questa ricomposizione geopolitica globale e africana, quale posto per l’Europa e l’Occidente? Una cosa è certa: è in atto una deoccidentalizzazione delle società e della politica africane. I fatti del Sahel lo dimostrano. Si respingono secoli di predazione economica, di ingerenze politiche e di presunta superiorità culturale, rivendicando un riconoscimento pieno della soggettiva africana e del suo anelito ad un rapporto paritario, dentro uno scambio economico equo e al servizio dell’afrocapitalismo. L’aspettativa, insomma, è quella di un rapporto rinnovato, di rottura con il passato, tra l’Occidente e le afriche. Una sfida che vale la pena affrontare da parte dell’Europa che rischia l’insignificanza geopolitica dentro la nuova Africa.