Guerra contro l’Ucraina e sicurezza dell’Italia: la voce degli esperti

La guerra in Ucraina continuerà a condizionare il quadro di sicurezza e strategico europeo ancora a lungo. E l’Italia deve prepararsi a gestirne le conseguenze. Anzitutto, è necessario un ripensamento delle politiche di difesa, che tenga conto della ritrovata centralità delle forme di deterrenza convenzionale e dei conflitti ad alta intensità. In parallelo, vanno gestiti attentamente i rischi di proliferazione di minacce di vario tipo che si associano alle politiche di riarmo. A livello strategico, la Nato e – in misura complementare – l’Unione europea restano le cornici fondamentali a garanzia della sicurezza italiana. Per l’Italia, è però fondamentale evitare che il baricentro delle alleanze si sposti eccessivamente a Est, mantenendo vivo lo sguardo verso Sud, sul cosiddetto Mediterraneo allargato

Minacce, alleanze, investimenti

Sono queste alcune delle principali evidenze emerse da un sondaggio tra esperti sulla sicurezza italiana recentemente promosso dallo IAI nell’ambito di un progetto realizzato col supporto del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e della Fondazione Compagnia di San Paolo. Chiamati a valutare una serie di potenziali minacce alla sicurezza del nostro Paese, gli intervistati hanno indicato un possibile allargamento della guerra contro l’Ucraina ai paesi Nato come principale minaccia (8,8 su una scala di gravità 0-10), e a seguire un eventuale conflitto nucleare tra Stati Uniti e Russia (8,4) e la crescita di instabilità nel Mediterraneo allargato (8,0) (Figura 1). 

Figura 1. Le minacce più gravi alla sicurezza dell’Italia.

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Di fronte a questo scenario, la priorità assoluta per il paese è un rafforzamento dell’Alleanza atlantica (prima per importanza secondo il 52% degli intervistati), seguita a una certa distanza dal rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune europea (24%). Sul piano della cooperazione a livello Ue, è fondamentale incoraggiare un aumento dei livelli di interoperabilità tra le forze armate dei vari paesi (8,6 su 10 per importanza percepita) e una maggiore integrazione in ambito di difesa tra Ue e Nato (8,4), mentre al rafforzamento delle politiche di sicurezza e difesa comune viene attribuita un’importanza certamente elevata, ma inferiore (8,0). Infine, a sgombrare il campo da una narrazione semplicistica ma ricorrente nel dibattito pubblico, gli esperti non ritengono che la creazione di un esercito comune europeo in senso stretto sia una reale priorità (4,2).

Nel quadro delle alleanze esistenti, il contributo principale che l’Italia può dare alla sicurezza internazionale è nell’area del Mediterraneo allargato, attraverso la partecipazione a missioni multilaterali e bilaterali (principale contributo secondo il 72% degli intervistati); l’Italia può inoltre avere un ruolo rilevante sia come hub energetico nel Mediterraneo (20%) sia nel rafforzare le capacità di deterrenza della Nato sul fianco est dell’Alleanza (8%). 

In ogni caso, l’impegno italiano potrà concretizzarsi al meglio solo se adeguatamente supportato da investimenti ad hoc. Le prospettive di raggiungere l’obiettivo Nato del 2% di spesa nella difesa entro il 2028 – l’orizzonte temporale fissato dal governo Draghi – sono valutate in modo molto diversificato dagli intervistati: il 48% ritiene non verrà conseguito, il 16% pensa che il traguardo sarà raggiunto nei tempi stabiliti, mentre secondo il restante 36% il raggiungimento della soglia prevista avverrà prima del 2028 (Figura 2).

Figura 2. L’Italia e l’obiettivo del 2%

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La guerra contro l’Ucraina

Passando ad analizzare più da vicino la guerra contro l’Ucraina, il ruolo dell’Italia dovrà continuare a essere, a detta degli intervistati, quello di sostenere militarmente, prima ancora che economicamente e politicamente, Kyiv. Le opinioni sono però diversificate su come dovranno svilupparsi i rapporti futuri con l’Ucraina. Il 48% degli esperti sostiene che l’Italia dovrebbe appoggiare l’ingresso di Kyiv sia nella Nato che nella Ue, coerentemente con la definizione di uno spazio euroatlantico ispirato da principi democratici. Il 40% pensa invece che andrebbe sostenuta la sola candidatura all’Ue, sia in un’ottica di distensione dei rapporti con Mosca sia per mitigare il rischio di un coinvolgimento diretto della Nato nella guerra. Infine, il restante 12% sostiene che né la candidatura alla Nato né quella all’Ue siano opportune: questo sia perché non sarebbero praticabili alla luce dei trattati esistenti sino a che la guerra non sarà terminata, sia perché potrebbero rappresentare una fonte di rischi e instabilità più in generale. 

Figura 3. L’Italia e la candidatura dell’Ucraina a Nato e Ue

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D’altra parte, secondo la maggioranza assoluta (68%) degli esperti intervistati, nel medio periodo è verosimile che la guerra prenda la forma di un conflitto “congelato” senza che si raggiunga un compromesso tra Russia e Ucraina. Solo una minoranza considera probabile una risoluzione attraverso la mediazione internazionale (16%) o la liberazione da parte ucraina dei territori occupati dopo il 24 febbraio 2022 (16%). Non sono invece ritenute realistiche né una vittoria russa con significative annessioni territoriali né una vittoria totale ucraina con un ritorno ai confini del 2013 (Figura 4). 

Figura 4. Le prospettive di medio periodo

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Le implicazioni di un conflitto irrisolto in piena Europa sono molteplici. Il rischio principale è quello di un’instabilità di lungo termine e di una militarizzazione della politica e delle società dei paesi più esposti sul fianco Est. In parallelo, la tenuta delle opinioni pubbliche europee è fonte di diffusa preoccupazione: la possibilità di una “fatigue” alimentata anche da campagne di disinformazione condotte da paesi ostili è considerata elevata, e andrà gestita attraverso una comunicazione chiara ed efficace verso i cittadini da parte dei governi.

Un conflitto irrisolto avrebbe inevitabilmente ripercussioni anche nel vicinato europeo. Diversi intervistati sottolineano una prevedibile crescita di instabilità, dal Golfo di Guinea al Sahel sino ai Balcani occidentali, portato non solo delle interferenze di potenze revisioniste, ma anche di dinamiche inflattive e possibili crisi alimentari. La gestione dei rischi legati a una possibile destabilizzazione del Mediterraneo allargato continuerà quindi verosimilmente a essere una priorità per il nostro paese.

Le implicazioni per l’Italia

La guerra contro l’Ucraina sembra destinata a continuare a condizionare gli assetti di sicurezza italiani ed europei almeno nel medio periodo. Il sondaggio tra gli esperti richiama l’attenzione su un aspetto importante: di fronte al rischio di turbolenze politiche e sociali nel Mediterraneo allargato e mentre l’attenzione degli alleati è rivolta soprattutto a est (e, in prospettiva, all’Indo-Pacifico), il nostro paese dovrà farsi carico di un ruolo guida a supporto della stabilità e della sicurezza nella regione, anche in partnership con paesi alleati con interessi strategici in loco. 

Questo impegno può e deve tradursi nella partecipazione a missioni bilaterali e multilaterali, che non possono però riproporre schemi fallimentari adottati in passato da alcuni alleati, ma devono trarre le lezioni del caso da quei fallimenti, facendo proprio un approccio in cui la sicurezza della regione venga declinata in modo ampio, in stretto dialogo con gli attori presenti sul campo e mettendo al centro le popolazioni locali. 

Foto di copertina ANSA/US FORZE ARMATE UCRAINA NPK

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