Edf: decise le regole del gioco della difesa europea
Nella notte del 19 febbraio i rappresentanti di Consiglio, Parlamento e Commissione europei hanno raggiunto un accordo preliminare sul regolamento per il Fondo europeo di Difesa, iniziativa che mira a rafforzare innovazione e competitività dell’industria della difesa europea, a sostegno dell’autonomia strategica europea. Ora che si è conclusa la fase di negoziato inter-istituzionale, il cosiddetto trilogo, il regolamento dovrà essere approvato formalmente da parte di Consiglio e Parlamento per poter entrare in vigore. L’obiettivo è quello di raggiungere questo traguardo entro la fine della legislatura.
Sostanziale continuità con il regolamento Edidp
I negoziati hanno rispettato tempi parecchio serrati, soprattutto se si considera che la prima seduta del trilogo si è tenuta a metà gennaio, dopo che Consiglio e Parlamento avevano approvato le proprie proposte rispettivamente a novembre e dicembre. In tal senso, l’aver ripreso molti dei punti già negoziati nell’ambito dello European Defence Industrial Development Programme (Edidp) ha certamente agevolato il raggiungimento di un compromesso. Eppure, nonostante le visioni istituzionali fossero abbastanza allineate anche su punti che avevano creato divisioni nella trattativa precedente, su altri il negoziato è stato tutt’altro che facile.
In particolare, mentre per la partecipazione di Paesi terzi e aziende controllate da entità non europee è stato sostanzialmente riconfermato quanto previsto per l’Edidp – anche se alcuni aspetti dovranno essere ulteriormente finalizzati-, il raggiungimento di un accordo su questioni relative alla percentuale di cofinanziamento e costi indiretti è stato parecchio controverso.
“L’Unione europea non esclude nessuno”
Come recita il comunicato stampa della Commissione, “L’Ue non esclude quindi nessuno dal Fondo europeo per la difesa, ma fissa condizioni per ricevere finanziamenti simili a quelle cui le imprese dell’Ue sono soggette sui mercati dei Paesi terzi”. Secondo il regolamento, infatti, solo i Paesi membri dell’Unione europea e gli Stati parte della European Free Trade Association e membri della European Economic Area hanno diritto di accedere al fondo, mentre per gli altri Paesi è prevista la possibilità di partecipare ai progetti di cooperazione, ma solo a certe condizioni e senza ricevere fondi.
Questo approccio è maggiormente inclusivo rispetto a quello adottato per Edidp poiché allarga il pool dei potenziali beneficiari, includendo Paesi quali Liechtenstein, Norvegia e Islanda, ma soprattutto strizza l’occhio ad una possibile partecipazione del Regno Unito in uno scenario post-Brexit, naturalmente qualora Londra volesse o riuscisse a negoziare un accordo in tal senso.
Per quanto riguarda, invece, le società stabilite in territorio Ue, ma controllate da entità non europee, si prevede che possano beneficiare dei fondi, a patto che lo Stato in cui sono stabilite fornisca delle garanzie alla Commissione riguardo a struttura della governance, risultati dell’azione e informazioni sensibili. Questo è il punto sul quale l’Italia si è spesa molto per difendere i propri interessi nazionali. In particolare, si è voluto impedire che importanti realtà industriali italiane rischiassero di essere escluse.
Novità e punti controversi
Rispetto a quanto stabilito per l’Edidp, l’attuale bozza di regolamento per l’Edf introduce alcuni elementi di novità riguardo alla questione del cofinanziamento. Nello specifico, l’attuale compromesso mantiene una quota di finanziamento che può raggiungere il 100% per le fasi di ricerca e progettazione, il 20% per quanto riguarda lo sviluppo di prototipi, mentre introduce un tetto massimo dell’80% per attività relative a collaudo, qualificazione e certificazione. Questa percentuale nell’Edidp poteva invece arrivare al 100%.
Ma il punto che ha fatto maggiormente discutere e sul quale sono emerse le principali divisioni riguarda la definizione dei costi indiretti ammissibili. Si tratta di quei costi che non derivano direttamente dal progetto, ma che sono invece legati al funzionamento delle imprese, come costi di gestione, amministrazione, utenze, affitti, etc.
Nell’Edidp, i costi indiretti ammissibili al cofinanziamento sono determinati applicando un tasso forfettario del 25% del totale dei costi diretti ammissibili, ricalcando, di fatto, la metodologia adottata per i programmi di ricerca Horizon 2020 della Commissione, ma non tenendo conto della specificità del settore difesa.
Innanzitutto, applicare un tasso fisso per il calcolo dei costi indiretti non consente di ottenere una stima veritiera rispetto alle spese sostenute. Inoltre, questa misura metterebbe le aziende europee in una posizione svantaggiata rispetto ai concorrenti internazionali, i cui prodotti sono invece pienamente supportati dai mercati nazionali.
L’attuale bozza di regolamento, invece, introduce la possibilità di determinare questi costi sulla base di una metodologia che sia certificata a livello nazionale. Su questo punto, il trilogo ha anche escluso una disposizione, introdotta dal Consiglio, che fissava un tetto massimo per il calcolo dei costi indiretti pari all’80% dei costi diretti ammissibili. Una misura del genere non avrebbe fatto che aumentare la quota di cofinanziamento in carico agli Stati membri per la parte relativa allo sviluppo di capacità, e alle aziende stesse per la parte di ricerca.
La vera partita comincia adesso
Il raggiungimento di questo compromesso rappresenta certamente un passo importante e un buon risultato anche per l’Italia, ma la partita è appena cominciata. A livello europeo sarà molto importante che Parlamento e Consiglio procedano all’approvazione di questo accordo parziale prima della fine della legislatura, in modo da evitare che le elezioni europee possano ritardare il processo, e che eventuali nuovi equilibri politici possano introdurre degli stravolgimenti.
Per il Consiglio, il Coreper dovrebbe pronunciarsi già a fine febbraio, mentre per il Parlamento vi sono due finestre di opportunità per l’adozione in plenaria: fine marzo e fine aprile. Similmente, anche per conoscere le effettive risorse destinate al Fondo si dovrà attendere la valutazione del Consiglio sul quadro finanziario pluriennale, che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi. Se venisse confermata la proposta della commissione Juncker, il fondo avrebbe una dotazione di 13 miliardi per il periodo 2021-2027.
In ogni caso, è importante tenere a mente che queste risorse costituiscono un cofinanziamento e non sostituiscono in alcun modo l’impegno degli Stati membri. L’altra sfida sarà quindi proprio quella di garantire un adeguato sostegno da parte nazionale.
I presupposti per rafforzare la difesa europea e sostenere la sua base industriale sembrano esserci tutti. L’Europa ha fatto e sta facendo la sua parte. Ora tocca agli Stati cogliere questa opportunità, e se l’Italia non vuole perdere questo treno dovrà necessariamente cambiare rotta e decidersi a investire di più per la propria difesa.