Se fino a pochi giorni fa ci si poteva illudere che il Presidente Trump e la sua corte (nel senso letterale del termine) avrebbero evitato di sconvolgere anche il quadro della collaborazione politico-militare transatlantica minando l’affidabilità degli Stati Uniti, il repentino voltafaccia sull’Ucraina ha rappresentato un brusco risveglio per tutti i loro alleati. Questo drammatico cambiamento è destinato a mettere in primo piano la necessità di un forte aumento delle spese militari europee.
In questo nuovo quadro il nodo della spesa militare italiana è, di conseguenza, diventato ineludibile. Da sempre siamo fra gli ultimi della classe grazie a una delle poche scelte bipartisan dei nostri decisori politici: non investire in sicurezza e difesa, dando per scontato che non fosse necessario e, comunque, fosse una strategia elettoralmente vincente (soprattutto quando si sta all’opposizione). La minaccia veniva considerata limitata e lontana nel tempo, la protezione americana garantita, il maggiore impegno di altri partner europei compensava i nostri ritardi e assenze. Parallelamente si è cercato di far crescere contabilmente la nostra spesa per la difesa aggiungendovi qualche briciola derivante da alcune limitate attività delle forze di polizia o da investimenti su programmi a carattere duale, dimenticandosi che se si cambia la metodologia di calcolo, lo si deve fare per tutti e, quindi, non diminuisce la distanza che ci separa dai partner virtuosi.
È così rimasto sotto traccia nell’ultimo decennio l’impegno, condiviso nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo della Nato tenutosi in Galles nel 2014, a raggiungere il 2% del PIL entro il 2024. Un impegno costantemente ribadito da tutti i Presidenti del Consiglio che si sono succeduti, anche se poi non è stato fatto nulla in questa direzione. Al punto che nel 2022 il nostro traguardo è stato unilateralmente spostato al 2028, riconoscendo candidamente che la situazione del nostro bilancio e relativo debito pubblico non ci consentiva di rispettare l’impegno assunto (cosa che, invece, hanno fatto la maggior parte dei nostri partner). Nel frattempo la percentuale è salita nell’ordine dei decimi di punto arrivando oggi a poco più dell’1,5% e, con questo ritmo di crescita, proiettando il raggiungimento del 2% all’infinito e oltre.
Dovremmo, quindi, domandarci tutti insieme:
- Se il Governo è giustamente convinto che il nuovo quadro geopolitico ormai da molti anni sia caratterizzato da una crescente minaccia alla nostra sicurezza, non dovrebbe adottare le misure conseguenti?
- Quale danno provoca alla nostra credibilità internazionale il mancato rispetto dell’impegno liberamente assunto dall’Italia nei confronti degli Alleati dieci anni fa?
- Quali rischi comporta nel nostro rapporto con gli Stati Uniti e soprattutto con la nuova Amministrazione Trump, considerando l’esplicita accusa fatta agli europei di essersi avvantaggiati “ingiustamente” della protezione militare americana?
- Quali rischi comporta nel nostro rapporto con la maggior parte degli Stati europei che potrebbero imputarci di danneggiare la capacità di deterrenza europea, sminuendo i loro sacrifici per rispettare l’obiettivo del 2% e giustificando di fatto le accuse americane?
Il costo della Sicurezza
Non avendo voluto e non volendo tagliare nessun’altra spesa pubblica, l’unica soluzione sembra ora essere quella di andare a debito e conseguentemente incrementare il deficit dei conti pubblici.
A prescindere dai vincoli fino ad ora imposti dal Patto di Stabilità, vi sono alcune ulteriori riflessioni che dovrebbero essere fatte:
- È giusto scaricare il costo della nostra sicurezza sulle nuove generazioni (cioè sui nostri figli e nipoti) che già si dovranno sobbarcare il forte debito pubblico accumulato?
- Come si potrà far crescere nella nostra opinione pubblica la consapevolezza dei maggiori rischi e minacce nel nuovo contesto geopolitico senza evidenziare che comportano dei sacrifici?
- Se il finanziamento delle nuove inevitabili spese della difesa venisse finanziato solo a debito, per quanti anni questa scelta potrebbe essere sostenibile?
- Quali sarebbero gli effetti di questa soluzione sul rating del nostro Paese?
Ma in queste ultime settimane, mentre noi discutevamo su come raggiungere il 2%, nella Nato si è cominciato a proporre di alzare l’asticella al 3% o più. Inevitabilmente, questo ha spinto le istituzioni europee e molti Stati membri a ipotizzare l’aumento delle spese comuni (attraverso il bilancio comunitario e auspicabilmente l’emissione di Eurobond, oltre che con il coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti) e, insieme, una certa flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità.
La necessità di un’Italia responsabile
In questo nuovo positivo approccio europeo vi sono, però, due rischi per il nostro Paese:
- La gestione di questi finanziamenti europei potrebbe premiare quelli più forti e quelli virtuosi e, quindi, penalizzarci, anche perché in generale siamo fra i Paesi meno efficienti nel partecipare alle iniziative europee e niente è stato fatto fino ad ora; per essere più forti a Bruxelles non basta esserlo a Roma.
- La flessibilità potrebbe essere vincolata al livello dell’indebitamento, al tasso di crescita economica e ai piani di rientro dal deficit pubblico e anche qui non siamo sicuramente favoriti. Ma potrebbe essere anche vincolata in tutto o in parte alla quota di spesa militare eccedente il 2% e, quindi, ci aiuterebbe solo in parte.
La nostra posizione deve, quindi, essere raddrizzata, accettando il rischio politico di scelte più responsabili. In primo luogo, dovrebbe essere messa in campo una forte azione di informazione e formazione della nostra opinione pubblica che coinvolga l’intero Governo e non solo il ministro della Difesa e, insieme, tutte le istituzioni dello Stato, compreso il Parlamento e la Presidenza della Repubblica. In secondo luogo, sarebbe necessario anche un atteggiamento più responsabile da parte dell’opposizione nella consapevolezza che, se potesse diventare maggioranza, si troverebbe a dover compiere le stesse scelte che oggi devono necessariamente essere fatte dal Governo e dal Parlamento.
Se è vero che l’Europa deve aiutarsi da sola per garantire la sua sicurezza, è altrettanto vero che l’Italia deve cominciare a fare seriamente lo stesso. È questo l’unico modo di difendere oggi gli interessi nazionali.
Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali. Dal 1984 svolge attività di studio e consulenza nel settore aerospaziale sicurezza e difesa per conto di organismi pubblici, di centri e istituti di ricerca, di società, di associazioni industriali. Dal 1992 al maggio 2018 è stato consulente della Presidenza del Consiglio presso l’Ufficio del Consigliere militare per le attività nel campo della difesa. Dal 2001 al 2017 è stato consulente del Ministero della Difesa – Segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti – per gli accordi internazionali riguardanti il mercato della difesa. Dal 2014 al maggio 2018 è stato consigliere per gli affari europei del Ministro della Difesa e dal giugno 2020 ha riassunto lo stesso incarico.