La presidenza Trump darà verosimilmente una scossa alla NATO in termini di investimenti nella difesa e sarà in continuità con Biden su Cina e Indo-Pacifico, mentre è improbabile che punti a una rottura di principio. Piuttosto, resta un drammatico punto interrogativo sulla tenuta della deterrenza e della difesa collettiva alleata, se il presidente americano realizzerà la sua intenzione di raggiungere una pace in Ucraina consegnando di fatto a Putin la vittoria politica e militare su Kyiv.
Il sistema istituzionale e politico statunitense pone dei pesi e contrappesi ai poteri presidenziali in materia di sicurezza nazionale, politica estera e di difesa, e quindi NATO. Ad esempio, un’eventuale decisione di Trump di uscire dal trattato istitutivo dell’Alleanza richiederebbe una maggioranza di due terzi in Senato per diventare realtà, ed è quindi di fatto impossibile che avvenga.
Priorità: investimenti nella difesa e Cina
C’è inoltre un forte consensus bipartisan e una certa continuità tra la prima amministrazione Trump e quella Biden nello spingere affinché gli alleati europei investano maggiormente nella loro difesa, per sgravare le forze armate e i contribuenti statunitensi. Trump lo chiederà in modo molto duro e minaccioso, all’insegna del principio “America First” che contraddistingue la sua piattaforma politica, come già accennato in campagna elettorale. Poiché oggi già 23 stati membri su 32 hanno raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL investito nella difesa, la pressione americana si rivolgerà soprattutto sui 9 Paesi ancora inadempienti. Tra questi spicca l’Italia, ferma al 1,5%: non aumentare il bilancio della difesa potrebbe diventare per il governo Meloni un problema nei rapporti con Washington. Inoltre, poiché la Polonia investe già ora il 4,7% del PIL nella difesa, il Regno Unito punta al 2,5% e diversi altri alleati sono su questa traiettoria a causa della minaccia russa, non è escluso che su spinta americana la NATO fissi una nuova soglia più elevata rispetto al 2%.
Al di là delle dichiarazioni elettorali di Trump sul rivedere la missione della NATO, è probabile che la limitata attenzione della nuova amministrazione verso l’alleanza si concentrerà sugli investimenti nella difesa. Ciò potrebbe andare di pari passo con una parziale riduzione della presenza militare americana in Europa, ma è improbabile che ciò avvenga in modo drastico per l’opposizione, in primo luogo, dello stesso Pentagono, conscio dei rischi che si correrebbero. In questo contesto, è molto probabile che continui la marginalizzazione del fianco sud nell’agenda NATO, in corso ormai da anni, poiché Trump ha chiarito che l’intervento esterno di Washington sarà strettamente vincolato all’esistenza di un “essenziale” interesse americano, che in questa regione è riconducibile, nella sua visione, solo alla protezione di Israele. È quindi necessario per l’Italia e l’Europa prenderne atto e agire per la stabilità del Mediterraneo allargato al di fuori del formato NATO.
Altra continuità tra Trump, Biden e l’establishment americano è la priorità assoluta data al confronto a tutto campo con la sfida egemonica posta dalla Cina, e quindi all’Indo-Pacifico. Ciò ha portato la NATO, dal 2019 in poi, a occuparsi maggiormente di Pechino, formulando una valutazione via via più dura della minaccia cinese: dalla costante guerra cibernetica alla corsa allo spazio, dal crescente arsenale nucleare della Cina all’uso strategico di investimenti e commercio per creare dipendenze in Europa. Allo stesso tempo, la NATO ha rafforzato i partenariati con quattro Paesi dell’Indo-Pacifico, ovvero Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. È probabile che entrambi i trend – riconoscimento della minaccia cinese e partenariati regionali – proseguiranno con Trump, magari senza grandi risultati concreti per la sua diffidenza verso il multilateralismo che contraddistingue l’Alleanza, ma sicuramente con un indurimento della posizione NATO verso Pechino.
L’abbandono dell’Ucraina e il rischio per la NATO
La discontinuità maggiore tra Biden e Trump rispetto alla NATO riguarda l’appoggio occidentale all’Ucraina, che lo scorso summit di Washington aveva incardinato in una struttura alleata ad hoc. Se, come probabile e già annunciato in campagna elettorale, il nuovo presidente cercherà una pace in tempi rapidi per chiudere questo fronte, per lui non importante, di certo Mosca cercherà di ottenere il massimo a spese di Kyiv. Il vicepresidente in pectore Vance ha già accennato pubblicamente alla possibilità che la Russia mantenga le aree conquistate e che venga istituita una zona demilitarizzata in Ucraina, ma tirando la corda il Cremlino potrebbe ottenere anche di più, considerando che Trump non ha una posizione pregiudizialmente anti-russa, anzi. Putin potrà così cantare vittoria in patria e all’estero.
Di conseguenza, nel giro di pochi anni l’alleanza dovrà difendersi da una minaccia russa più grave, imminente e aggressiva, grazie al consolidamento delle conquiste russe in Ucraina. Il Cremlino sarà ancora più convinto che l’uso della forza paga, perché dopo una resistenza iniziale le democrazie occidentali gettano la spugna, e potrebbe tentare un colpo di mano nei Paesi Baltici o altrove per testare la tenuta della difesa collettiva. Questo è il più grande, drammatico e potenzialmente epocale punto interrogativo sull’approccio di Trump alla NATO. Se la nuova presidenza repubblicana lascerà credere a Mosca di poter occupare parte del territorio di uno stato membro, e se non interverrà a difenderlo qualora ciò avvenisse, questa sarà la fine dell’alleanza atlantica. E lo sarà anche dell’Ue come unione politica, perché tutti i Paesi del fianco est sono membri di entrambe le organizzazioni, e se la NATO non agisce, l’Unione non sarebbe minimamente capace di difenderli, neanche nel momento in cui uno stato sotto attacco invocasse le clausole di solidarietà e mutua assistenza presenti nei trattati Ue e legalmente vincolanti.
Non si tratta di uno scenario immediato, ma neanche remoto, i cui tempi dipenderanno da tre variabili: quanto e quando l’amministrazione Trump taglierà gli aiuti militari a Kyiv per fargli accettare una pace nei termini di Mosca; se e in che misura i Paesi europei manterranno l’unità di fronte alla Russia una volta che Washington aprirà a negoziati sull’Ucraina, e quindi se vorranno e potranno sostituirsi a Washington nel fornire equipaggiamenti militari a Kyiv; infine, la durata dei negoziati con il Cremlino e della resistenza ucraina senza l’attuale livello di forniture statunitensi.
In questo contesto, l’approccio della nuova amministrazione verso la deterrenza e difesa collettiva NATO sarà probabilmente un equilibrio dinamico e instabile, frutto dell’interazione tra l’attitudine dirompente del presidente e l’attaccamento alla continuità del sistema politico-istituzionale in senso ampio. Nella sua prima presidenza, Trump poteva contare solo su un ridotto numero di fedelissimi e soffrì un certo ostracismo da parte delle istituzioni americane e degli stessi membri della sua amministrazione, che infatti sostituiva con una frequenza senza precedenti. Stavolta, il nuovo presidente in pectore si presenta con una squadra più ampia e allineata, a partire dal vicepresidente, e un piano per sostituire rapidamente le prime e seconde linee del Dipartimento di Stato e di altre istituzioni che potrebbero intralciarlo. Conta inoltre su un partito repubblicano dal quale sono state epurate una serie di figure politiche che l’avevano contrastato negli anni precedenti, e quindi più pronto a sostenere le sue posizioni. È perciò prevedibile una maggiore capacità di Trump di passare dalle parole ai fatti quanto a politica estera e di difesa.
Questo è particolarmente rilevante per la NATO, in quanto, al netto della suddetta uscita dal Trattato di Washington che è fuori discussione, tutte le scelte americane in una situazione di crisi o escalation, come potrebbe essere quella causata da una Russia imbaldanzita dalla vittoria in Ucraina, rientrano in pieno nelle prerogative del presidente. In altre parole, se né Trump né la sua amministrazione agiranno per scoraggiare Putin dal testare la difesa collettiva NATO dopo aver abbandonato Kyiv, in pochi anni l’Europa potrebbe trovarsi di fronte a una situazione drammatica e dall’esito imprevedibile. Una situazione alla quale iniziare a prepararsi fin da ora, rafforzando il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica.