Verso una difesa comune europea?

Recentemente la Commissione Europea ha varato una proposta per un programma di rafforzamento dell’industria della difesa comune europea. Sorvolando su tutti i possibili dibattiti che si aprono a livello politico, economico ed etico sulle condizioni generali in cui viene lanciata questa idea, giacché su queste tematiche si è già argomentato a sufficienza da entrambe le parti, si vuole qui, assumendo per ipotesi che sia opportuno procedere in questa direzione, proporre una breve analisi dei punti principali di questo programma.

Innanzitutto sarebbe opportuno sgombrare il campo da due equivoci che potrebbero sorgere leggendo il discorso di Von der Leyen: le istituzioni europee non effettueranno acquisti di armamenti, né in proprio né a nome degli Stati membri; piuttosto si tratterà di creare una serie di uffici, strumenti e prassi allo scopo di incentivare acquisti coordinati da parte dei singoli Stati membri. Inoltre l’obiettivo primario del programma è quello di potenziare l’industria della difesa – processo che a sua volta agevolerebbe il riarmo degli Stati – e non di contribuire direttamente al riarmo.

Il programma per la difesa comune europea

Le principali misure proposte sono:
1) creare un comitato per coordinare gli acquisti di armamenti degli Stati membri;
2) incentivare la cooperazione attraverso l’EDTIB, un programma per il coordinamento della progettazione di armamenti già esistente ma finora poco utilizzato;
3) varare una serie di meccanismi e prassi volti a favorire la formazione di scorte di materie prime e materiali utili all’industria della difesa e la loro condivisione tra gli Stati membri;
4) lanciare progetti di difesa europei da realizzarsi entro il 2035 nei settori difesa antiaerea e antimissile integrata, monitoraggio dei satelliti, difesa cibernetica e difesa marittima;
5) erogare aiuti alle imprese per incrementare la base industriale e la ricerca;
6) inserire considerazioni di difesa nell’elaborazione dei progetti industriali comunitari.

Gli aspetti più positivi del programma sono senz’altro l’attenzione all’aspetto logistico e industriale della produzione di armamenti e l’impegno a valutare dal punto di vista delle implicazioni sulla difesa i futuri programmi industriali europei. Positivo anche il varo di progetti di difesa integrata europea, benché resti da capire cosa si intenda nella documentazione per “risorse di protezione navale e sottomarina”.

Le potenziali criticità del programma

Una seria problematica potrebbe sorgere invece sulle difese anti-missile, qualora si avessero in mente difese ABM strategiche (la proposta non è precisa in merito): queste infatti sono considerate destabilizzanti poiché, riducendo la pericolosità di un attacco nucleare di rappresaglia avversario, potrebbero spingere quest’ultimo a lanciare un attacco preventivo prima che le difese siano completate, considerazione che si inserisce all’interno delle recenti dichiarazioni di Macron sull’assenza di linee rosse nei confronti della Russia e sulla possibilità di inviare truppe in Ucraina.

La maggiore vulnerabilità dell’intero progetto consiste nella sua dipendenza dalla volontà degli Stati membri, che gli estensori della proposta ammettono essere stata finora scarsa; benché essi ritengano che i recenti avvenimenti internazionali abbiano mutato al situazione non è da escludersi che la ritrosia dei Paesi membri faccia naufragare l’intero progetto.

Ci sarebbe infine da riflettere sul fatto che l’aumento della capacità produttiva delle imprese della difesa (private o parzialmente private) dovrà essere ottenuto tramite incentivi pubblici, quando i principali avversari dell’attuale corso politico europeo (Russia e Cina) hanno strumenti più economici per spingere le proprie aziende della difesa ad aumentare la base produttiva disponibile.

In definitiva il programma, benché con alcune potenziali criticità, sembra essere tutto sommato coerente e adeguato per l’obiettivo che si propone, ma costituisce solamente un piccolo passo verso la realizzazione della difesa comune e, come sempre nella storia della comunità europea, le sue sorti dipenderanno in massima parte dalla volontà degli Stati membri.

*Marco Vadrucci studia Scienze Storiche presso l’Università “La Sapienza” di Roma

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