Si avvicina inesorabilmente il 5 novembre, data in cui gli elettori statunitensi saranno chiamati a designare il nuovo presidente degli Stati Uniti optando tra la candidata Democratica e attuale Vicepresidente Kamala Harris o il candidato Repubblicano Donald Trump. L’approcciarsi del voto, più che fornire risposte certe, sembra sollevare sempre più interrogativi sulla direzione che il Paese a stelle e strisce intenderà imboccare. Tante sono le politiche poste sotto i riflettori mediatici: tuttavia, uno dei campi che più fa discutere analisti e giornalisti è quello della politica estera, soprattutto per quanto concerne il destino del sostegno statunitense alla guerra in Ucraina.
Il tema del conflitto divampato dall’invasione del territorio ucraino operata dalla Russia a febbraio 2022 ha infiammato il dibattito politico negli USA in diverse occasioni: è stato oggetto dell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione effettuato dal presidente uscente Joe Biden a marzo 2024, ma si è soprattutto posto tra le questioni centrali del dibattito televisivo tenutosi lo scorso settembre tra Harris e Trump. Se da un lato l’ex presidente resta vago, non chiarendo cosa intenda realmente con il suo lapidario «porrei fine alla guerra in Ucraina in 24 ore», Harris, invece, pesa ogni singola parola utilizzata e pone l’accento sui medesimi punti fermi su cui ha sempre insistito lo stesso Biden: la necessità di armare l’Ucraina per garantirle il diritto all’autodifesa; il sostegno – valutato come neppur troppo velato – del competitor Repubblicano al Presidente Putin; la salda convinzione per cui l’Ucraina, nei disegni di conquista russi, non sia il punto di arrivo, ma quello di partenza per un espansionismo sempre maggiore.
As long as it takes: l’incessante sostegno dell’amministrazione Biden-Harris
Nelle numerose uscite sul tema, la Vicepresidente Harris non ha perso occasione per delineare con chiarezza quale andrebbe, infatti, a essere il successivo target di Putin: la Polonia. Rivolgendosi molte volte agli elettori polacco-discendenti statunitensi, Harris ha cercato di dirottare il loro supporto verso la linea di azione Democratica. Non sembra, tuttavia, esserci del tutto riuscita: nel corso del dibattito presidenziale, Harris si è rivolta proprio agli 800.000 polacco-americani concentrati in Pennsylvania, nella speranza che il forte patriottismo animante la comunità potesse in qualche modo sentirsi chiamato in causa. Tuttavia, i polacco-americani appaiono divisi: tra chi vuole che la guerra finisca e, pertanto, predilige supportare l’ex presidente e chi, figlio della guerra fredda, teme proprio un ritorno del tycoon alla Casa Bianca.
Incerto risulta anche cosa significhi realmente, per la presidenza Democratica attuale, una vittoria ucraina della guerra. Biden e Harris, infatti, hanno sempre lasciato a Kiev la decisione e l’impostazione degli eventuali termini negoziali. Tuttavia, negli incontri tenutisi a Washington e New York lo scorso settembre con la presenza del Presidente Zelenskyy, risposte sono state chieste, ma non sembrano essere pervenute dalla Casa Bianca. È del tutto improbabile, data l’attuale situazione, che l’Ucraina possa ripristinare completamente i confini del 1991 in un prossimo futuro.
Lo sguardo ancorato sulla Russia di Donald Trump
Per quanto concerne le (apparentemente) fumose posizioni dell’ex Presidente Trump, in realtà – come sottolineato da diversi centri di analisi internazionali – è molto chiaro come il candidato risolverebbe in 24 ore il conflitto: come evidenziato dal Council on Foreign Relations, Trump non perderebbe tempo nel cessare qualsiasi aiuto militare concesso all’Ucraina. In un tale scenario, e con un’Europa non in grado di sostituirsi quantitativamente alla forza statunitense, l’Ucraina si vedrebbe costretta a un tavolo negoziale con la Russia, senza la reale speranza di poter difendere i propri confini. Trump non è nuovo a dichiarazioni telegrafiche, seppur sentenziose: sul tema della guerra in Ucraina, infatti, il tycoon ha sempre sostenuto che, con lui alla Casa Bianca nel 2022, la guerra non sarebbe nemmeno esplosa. Una posizione inverosimile, ma che riflette il percorso compiuto da Trump, durante il suo mandato, di tessitura continua di rapporti politici con la Russia di Putin.
La situazione elettorale
Secondo un recente sondaggio del Wall Street Journal, Trump è in vantaggio su Harris nei sette swing States per 50 per cento a 39 per cento su chi sia in grado di gestire al meglio la guerra in Ucraina. Un altro dato a emergere è la poca rilevanza data dagli elettori (diversamente dagli analisti) al campo della politica estera nel determinare il loro indirizzo di voto. Altri settori risultano più pressanti e prioritari, nonostante sia innegabile che, chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, erediterà due conflitti da gestire, coprendo dall’Ucraina al Medioriente.
Secondo Michael Bocian, sondaggista Democratico, la percezione comune è che con Biden-Harris vi siano stati molti più conflitti nel mondo, oltre che un Partito Democratico non particolarmente unito quando si tratta di discutere la posizione statunitense sul conflitto israelo-palestinese. Un lato positivo – sempre per Bocian – potrebbe essere che questa elezione non verrà definita in termini di politica estera: sebbene, infatti, le guerre abbiano dominato i notiziari in maniera crescente, il sondaggio condotto dal 28 settembre all’8 ottobre su un campione di 2100 elettori ha riportato quanto contino di più l’economia, l’immigrazione e la sicurezza delle frontiere come determinanti per allocare il proprio voto.
di Vittoria Costanza Loffi