La lunga transizione verso il nuovo ordine internazionale

Tre vertici di capi di stato e di governo nel giro di pochi giorni ci lasciano con un senso di grande incertezza circa il futuro dell’ordine internazionale, sia che l’iniziativa sia nelle mani di quelle potenze che l’hanno esercitata sino ad oggi (G7, Consiglio atlantico), sia che invece parta dalle grandi potenze “emergenti”(Brics).

Le conclusioni parziali dei vertici

Il vertice dei Brics, il G7 e il Summit dell’Alleanza Atlantica hanno radunato quasi tutte le potenze grandi e medie che oggi hanno la capacità di orientare gli sviluppi dell’ordine internazionale. Esse hanno approvato documenti significativi – nel caso dell’Alleanza atlantica anche il suo nuovo Concetto Strategico che dovrebbe guidarne le scelte per almeno il prossimo decennio – avanzando proposte politiche insieme a significativi impegni in campo economico.

Tuttavia, le conclusioni raggiunte appaiono ancora interlocutorie, prive di una chiara visione strategica di come potrà funzionare in futuro l’ordine internazionale.

I due vertici ‘occidentali’ si sono soprattutto concentrati, come ci si aspettava, sulla crisi scatenata dalla Russia lanciando una guerra a tutto campo di conquista dell’Ucraina. Era da tempo che non si assisteva a qualcosa del genere: le operazioni militari condotte a suo tempo contro la Serbia di Slobodan Milosevic o contro l’Iraq di Saddam Hussein hanno solo una pallida somiglianza con questa guerra che punta alla conquista e all’annessione del territorio di un altro stato sovrano, nella peggiore tradizione delle grandi guerre del passato.

Una tale violazione di tutti i patti sottoscritti dalla Russia, dalla Carta delle Nazioni Unite in poi, sino a quelli più recenti dell’Osce nonché degli accordi stretti al momento della dissoluzione dell’URSS, è stata giustamente percepita come una minaccia inaccettabile per la sicurezza europea e l’ordine mondiale. Per cui il G7 e la Nato hanno approvato un gran numero di contromisure e si propongono di continuare su questa strada fino a quando necessario e quale che ne sia il prezzo.

Tutto chiaro dunque, salvo che anche in questo caso permane un fondo di incertezza – o di ambiguità? – strategica: cosa si intende fare della Russia a guerra finita e ammesso che non si sia stati costretti a misure e impegni ancora più drastici?

La Nato del futuro: due ambiguità di fondo 

Il Concetto Strategico, ad esempio, che dovrebbe guardare oltre l’attuale contingenza, sembra piuttosto ambivalente. Due punti vale la pena di sottolineare: l’allargamento della Nato e il controllo degli armamenti. Sul primo punto sembrava ormai essersi delineato un certo consenso, in Occidente e in Ucraina, circa uno status futuro di neutralità garantita dell’Ucraina e insieme il suo ingresso nell’Ue (per cui già è stato dato l’avvio al processo negoziale). Invece il documento della Nato ribadisce la prospettiva di un futuro ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza. Un messaggio a dir poco confuso.

Il Concetto Strategico riprende anche quella che sembrerebbe una politica tradizionale della Nato, sin dagli anni della Guerra Fredda, codificato nel cosiddetto Rapporto Harmel: l’idea è quella di sostenere una credibile strategia di difesa e di dissuasione e nello stesso tempo di ricercare la distensione attraverso il controllo degli armamenti (soprattutto quelli nucleari). Tuttavia, all’epoca della Guerra Fredda i confini tra Est ed Ovest erano precisi, fissi e accettati da ambedue le parti. Se i due schieramenti contrapposti volevano evitare la guerra era evidente l’interesse comune a discutere.

Oggi la Russia vuole cambiare i confini, in Ucraina come in Georgia, e forse anche lo status di alcuni altri paesi europei, membri della Nato. Questa non è una posizione compatibile con la distensione e il controllo degli armamenti. Né la Nato potrebbe accettare eventuali “fatti compiuti” che modifichino unilateralmente frontiere e zone di influenza.

Come intendiamo dunque procedere, nel più lungo termine, con la Russia? È possibile che nulla sarà verosimile senza un mutamento di regime o quanto meno di leadership a Mosca, ma questa non è una premessa per negoziati che son siano semplicemente armistiziali o umanitari.

La posizione dei Brics

D’altro canto non sembra che i Brics (che hanno tenuto il loro vertice assieme alla Russia) abbiano idee più chiare. Certo, da parte di Pechino, e in qualche misura anche di Mosca, si sono uditi propositi roboanti di un mutamento dell’ordine internazionale che releghi gli Usa e il resto degli “occidentali” in una posizione marginale, trasformando sia la leadership delle Nazioni Unite che le loro regole. All’atto pratico però non c’è stato alcun appoggio alla politica russa, salvo un prudentissimo silenzio su tutta la questione (e una tendenza a profittare della debolezza russa, ad esempio acquistando i suoi prodotti energetici a prezzi stracciati).

Di più, un paese chiave dei Brics come l’India ha ritenuto opportuno accettare anche l’invito del G7, confermando così la sua distanza dalla Cina, contro la quale del resto ha aderito al gruppo Quad (con gli Usa, il Giappone e l’Australia). D’altro canto al vertice tenuto a Pechino erano presenti tra gli altri anche Indonesia e Senegal che hanno accettato anche l’invito dei vertici “occidentali”. Questi paesi, come del resto il Brasile, l’Argentina, il Sud Africa, la Nigeria ed altri ancora tengono di fatto il piede in due staffe, anche perché molti di loro sembrano almeno altrettanto, se non più preoccupati delle aspirazioni egemoniche cinesi che di quel che resta dell’egemonia americana.

Dubbi e opportunità per l’occidente

Sembrerebbe questa la premessa per lanciare una nuova grande strategia globale occidentale che rafforzi ed allarghi la leadership esistente e magari riesca anche a convincere la Cina della opportunità di porre un freno al suo crescente nazionalismo, nonché a prendere le distanze dall’avventurismo russo. Più in generale l’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformale questi “partner riluttanti” in qualcosa di più, con l’obiettivo di rafforzare un nuovo e più largo multilateralismo. Non sembra però che l’occasione sia stata colta.

Certo, il G7 ha approvato un grande pacchetto di finanziamenti per lavori infrastrutturali, che peraltro mette insieme soprattutto impegni già presi in altre occasioni. Il Concetto Strategico da parte sua individua la Cina come ‘rivale sistemico’. Ma siamo ancora agli albori di una svolta strategica che per ora resta appena abbozzata e che potrebbe facilmente arenarsi.

Ad esempio, alla vigilia di un discusso e difficile viaggio del Presidente Biden in Medio Oriente, nulla ci viene detto circa la Libia, lo Yemen, l’Iran, il ruolo che si vorrebbe attribuire ad Israele, alla Turchia o all’Arabia Saudita. Anzi il caso della Turchia è già piuttosto imbarazzante visto che questo paese, che ha scelto armamenti russi contro il parere alleato, che è in stretti rapporti a volte di cooperazione e altre volte di contrapposizione con la Russia in Siria, in Iraq e in Nord Africa, è riuscito a ottenere la riapertura del mercato delle armi americano e l’acquiescenza svedese e finlandese (nonché americana) alla sua politica di repressione dei curdi (nostri disgraziatissimi alleati). Il via libera dato di fatto alle ambizioni nazionali turche può essere un pessimo esempio per molte altre ambiziose potenze regionali.

Molti dubbi dunque, un gran numero di diverse sfumature in un panorama internazionale di grande complessità, che presenta molti gravi rischi, o come si usa dire ora ‘sfide sistemiche’, ma che presenta anche interessanti opportunità, a condizione che si sappia e si voglia coglierle.

Foto di copertina EPA/MIKHAIL METZEL / KREMLIN / SPUTNIK

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