Difesa europea a corto: le sfide degli aiuti militari all’Ucraina

I Paesi della comunità euro-atlantica hanno fornito un volume di sistemi d’arma, munizioni e mezzi senza precedenti nel quadro degli aiuti militari all’Ucraina. Essi spaziano da veicoli blindati a lanciamissili e carri armati, comprendendo sia vecchi sistemi d’arma di progettazione sovietica che assetti avanzati come droni e sistemi d’artiglieria. Ciò sta ponendo una nuova sfida per l’industria della Difesa europea, che ad oggi fatica a raggiungere gli elevati ritmi produttivi richiesti dal conflitto e dalle nuove esigenze dei Paesi europei. 

L’entità degli aiuti in Francia, Germania, Italia, Polonia 

L’eterogeneità degli aiuti militari e la segretezza che permea gli invii non permette un’analisi trasversale del costo aiuti delle donazioni, né di quanto essi abbiano intaccato le scorte nazionali. Tuttavia, è possibile fare alcuni specifici esempi qualitativi nei principali Paesi Ue.

La Francia, ad esempio, ha fornito a Kyiv 18 obici semoventi di tipo CAESAr. L’Armée de Terre stessa ne deteneva solo 77, e si é quindi privata del 23% dei CAESAr immediatamente disponibili. In risposta, il presidente della Repubblica Macron ha chiesto all’industria fornitrice Nexter uno sforzo aggiuntivo, incoraggiandola a passare in “modalità di guerra” e a sfruttare a pieno la capacità dei suoi stabilimenti, in precedenza attivi al 30%. Questa è una situazione analoga a quella di un altro obice, l’AHS Krabs polacco: l’esercito di Varsavia (WojskaLądowe) ne detiene attualmente 80, inviandone 18 all’Ucraina ha quindi ceduto circa il 22% dei propri sistemi.

Un discorso diverso si applica invece ai sistemi antiaerei spalleggiabili Stingers, donati in numeri consistenti da Stati Uniti, Italia e Germania. Il missile di produzione americana si stava già avviando verso la fine del servizio attivo, al punto che negli Usa la produzione su larga scala era già stata interrotta. Questa decisione ha avuto importanti ramificazioni: anche se Raytheon ha annunciato un ritorno alla produzione di massa dello Stinger, essa non potrà avvenire prima del 2023 per mancanza di componenti. In più, è verosimile che le forniture iniziali saranno destinate alle forze armate americane. Verosimilmente, ciò renderà improbabile un massiccio rifornimento ai Paesi europei che hanno donato questo sistema prima del 2027.

La Polonia, come altri ex paesi del Patto di Varsavia, ha anche provveduto all’invio di 200 carri armati T-72 di tipo sovietico, familiari e quindi immediatamente fruibili per le forze armate ucraine. Essi avrebbero dovuto essere sostituiti almeno parzialmente da un numero imprecisato di Leopard 2, nel quadro di un accordo di Ringatusch (scambio circolare) con la Germania. Berlino ha tuttavia offerto un numero nettamente inferiore rispetto a ciò che sarebbe stato inizialmente promesso, scatenando polemiche anti-tedesche a Varsavia. É lecito pensare che la penuria di Leopard 2 e la relativa lentezza con cui Krauss-Maffei Wegmann (KMW) può produrre nuovi panzer giochi un ruolo determinante nella capacità e volontà tedesca di rifornire i propri vicini orientali.

La Bundeswehr stessa ne detiene soltanto 298 esemplari e negli ultimi anni KMW si è soprattutto dedicata all’aggiornamento di vecchi modelli del Leopard 2, al ritmo di circa sei al mese. Secondo i media tedeschi, l’avvio di una nuova catena di montaggio richiederebbe 1-2 anni e la mobilitazione di un’intera galassia di fornitori.

I limiti dell’industria europea 

È insomma evidente che gli attuali livelli di produzione siano di gran lunga inferiori al ritmo delle perdite ucraine, e nella maggior parte dei casi non permetteranno una rapida sostituzione di ciò che è stato ceduto dagli europei a Kyiv. Non solo: nel caso del Leopard 2 e dello Stinger, l’improvvisa saturazione delle catene di montaggio rischia o ha già provocato contrasti politici fra produttori e utilizzatori. 

Esistono una serie di fattori di mercato che hanno portato le aziende del settore a disinvestire nelle capacità necessarie per raggiungere alti volumi produttivi. Prima di tutto c’è il maggior costo dei sistemi d’arma impiegati, sintomatico di un aumento della complessità in termini di componenti, avionica, elettronica, software, eccetera. Alla luce di una valutazione della minaccia che fino al 2021 non richiedeva in molti casi elevati volumi di procurement, la crescente complessità non ha potuto godere dei vantaggi delle economie di scala per contenere i costi unitari

Inoltre, un maggior numero di fornitori e catene di valore coinvolti rende molto difficile coordinare un aumento improvviso dei volumi di produzione: basti pensare alla profonda diversità dei problemi che toccano i mercati dell’acciaio o dei semiconduttori, entrambi vitali per il settore della Difesa. Analisti francesi, ad esempio, hanno fatto notare che la filiera missilistica dipende da catene di approvvigionamento così diverse da comportare anche ritardi di 36 mesi su un ordine.

Anche la necessità di personale qualificato limita la capacità di produrre improvvisamente un numero maggiore di sistemi d’arma, in quanto le aziende del settore dovranno provvedere a significative nuove assunzioni – e alla relativa formazione delle nuove risorse umane – con i rispettivi tempi tecnici. Basti vedere l’esempio di Rheinmetall: l’azienda dovrà assumere fra le 1500 e le 3 mila persone (un aumento del 19-28%) per far fronte all’impennata di ordini prevista. Questo sarebbe un obiettivo ambizioso anche senza l’attuale penuria di personale qualificato sul mercato del lavoro.

A tutto ciò si aggiunge una criticità di impostazione industriale. La strategia di consolidamento tra industrie, anche tramite acquisizioni o fusioni, è spesso concepita come una misura volta all’ottimizzazione delle aziende europee e al taglio di sprechi. I criteri di questa razionalizzazione sono però stati considerati spesso nell’ottica delle catene di valore funzionanti al momento e di un modello industriale “just in time votato all’efficienza ma non alla resilienza, con l’obiettivo di ridurre al minimo necessario le capacità produttive ed eliminare, ad esempio, i siti industriali sottoutilizzati.

Le iniziative Ue

Il capitale umano e infrastrutturale europeo è ancora altamente frammentato, e in assenza di vere economie di scala è molto facile che si creino colli di bottiglia e frizioni anche in progetti cooperativi già avviati con successo. È inevitabile che di fronte a un improvviso aumento di domanda da parte di tutti gli Stati Membri, le aziende produttrici si trovino a dover dare priorità ad alcuni clienti rispetto ad altri. 

Inoltre, come visto nel caso polacco, è altamente possibile che, senza coordinamento, gli Stati membri finiscano per optare per soluzioni di acquisto rapido e “chiavi in mano” da fornitori non europei, in primis statunitensi ma anche israeliani o coreani, che frammenterebbero ulteriormente il mercato della Difesa europeo e quindi lo stock di modelli d’arma in uso e le relative catene di supporto logistico. Il tutto quindi a danno sia dell’efficienza e sostenibilità dello strumento militare, sia della capacità produttiva e competitività dell’industria europea dell’aerospazio, sicurezza e difesa. 

A tal proposito la Commissione europea ha annunciato diversi strumenti, tra cui un programma per mitigare questo tipo di rischi, incoraggiando anche con incentivi economici la creazione di cosiddetti Consorzi europei per la capacità di Difesa (European Defence Capability Consortia, Edcc) affinché gruppi di stati interessati ad una determinata fornitura coordinino i loro acquisti e si rivolgano preferibilmente a fornitori basati nell’Ue. Se si seguisse una logica cooperativa e di lungo periodo, il fatto che anche i produttori americani prevedano lunghi tempi d’attesa per la produzione di massa di assetti come lo Stinger potrebbe creare nuove opportunità di mercato in Europa per quei progetti europei attualmente in sviluppo ma che potrebbero in pochi anni entrare in produzione.

In conclusione, è molto probabile che la guerra in Ucraina acceleri un ripensamento anche sul piano economico e industriale. Le lacune svelate dai massicci aiuti all’Ucraina mostrano i limiti delle attuali capacità produttive europee, e serviranno sforzi aggiuntivi affinché politica e fattori economici convergano su un modello che permetta di affrontare anche il tipo di conflitto combattuto nell’est del continente europeo.

Foto di copertina EPA/ROMAN PILIPEY

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