Il vertice fra Unione Europea e Regno Unito del 19 maggio ha sancito il reset delle relazioni bilaterali. Il riavvicinamento fra Bruxelles e Londra, fortemente voluto dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier laburista Keir Starmer, si svolge alla luce dei cambiamenti internazionali forzati dalla nuova amministrazione americana di Donald Trump, che hanno evidenziato le sfide comuni alle quali i due partner europei devono far fronte. Tuttavia, UE e Regno Unito hanno rischiato di incagliarsi su annose questioni, come l’accesso alle risorse ittiche e l’immigrazione, superate con un compromesso dell’ultimo minuto. Si tratta però di una svolta chiave che inverte la rotta delle relazioni dopo la Brexit.
I contenuti dell’accordo
Dopo un’intensa fase negoziale, il summit si è concluso con l’adozione di tre documenti. Il primo, un Geopolitical Preamble, individua le principali sfide comuni che Londra e Bruxelles si trovano ad affrontare, a partire dalla minaccia rappresentata dalla Russia per la sicurezza europea. Tuttavia, i documenti di maggiore rilevanza politica sono gli altri due: il Security and Defence Partnership (SDP), un accordo in materia di sicurezza e difesa, e il Common Understanding, che apre la strada a negoziati approfonditi sui principali dossier economici.
Il primo documento rappresenta l’architrave dell’accordo, segnando il superamento della dimensione strettamente bilaterale tra Stati membri e aprendo la strada a una prima forma di cooperazione strutturata tra UE e Regno Unito. L’intesa prevede l’istituzione di dialoghi semestrali a livello ministeriale, oltre alla partecipazione reciproca a vertici di alto livello inclusi i Consigli Europei. È inoltre previsto un dialogo annuale sulla difesa, oltre alla possibilità per il Regno Unito di prendere parte a esercitazioni di crisis management nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC). Sul fronte della cooperazione nell’industria della difesa, viene delineata la possibilità di un coinvolgimento del Regno Unito — e delle sue imprese — nell’iniziativa SAFE, subordinato a un contributo finanziario da parte di Londra e alla firma di un ulteriore accordo che sancisca i dettagli della partecipazione britannica. Resta inoltre aperta l’opzione di un accordo amministrativo con l’Agenzia Europea per la Difesa (EDA), che consentirebbe la partecipazione a progetti militari congiunti anche nel quadro della PESCO.
Il Common Understanding apre la strada a piccoli, ma significativi progressi nella relazione economica e commerciale, delineando un ampio quadro di cooperazione futura su temi quali pesca, mobilità, agroalimentare ed energia. Tra i punti principali figura l’estensione fino al 2038 dell’attuale accordo che consente l’accesso delle imbarcazioni europee alle acque britanniche. In cambio, Londra potrà esportare prodotti agroalimentari senza ulteriori controlli veterinari e fitosanitari, una misura che, secondo le stime britanniche, potrebbe recuperare circa 9 miliardi di interscambio entro il 2040. Questo comporta però un allineamento dinamico alle normative UE e, in ultima istanza, la possibilità di ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE. Sul piano energetico, Bruxelles si impegna a valutare l’adesione del Regno Unito al mercato elettrico interno, mentre entrambe le parti esploreranno il possibile allineamento dei rispettivi sistemi di scambio delle emissioni (ETS), una soluzione che esenterebbe Londra dalla carbon tax europea in vigore dal 1° gennaio 2026.
Più limitati i progressi sul fronte della mobilità, che riguarda studenti, giovani, artisti e turisti. L’intesa si limita infatti a prevedere l’avvio di un dialogo verso un possibile accordo, senza però assumere impegni vincolanti. Il tema resta particolarmente delicato per il governo britannico, preoccupato che un aumento degli ingressi possa tradursi in un rialzo dei dati sull’immigrazione, con possibili contraccolpi sull’opinione pubblica interna.
Le ragioni dell’accordo
Non è casuale che un simile accordo sia stato siglato ora e che, dopo anni di tensioni post-Brexit, Regno Unito e UE siano tornati a parlarsi con profitto. L’intesa si inserisce infatti in un momento di profondo cambiamento per l’Europa, nell’ambito del quale Bruxelles e Londra riconoscono di essere partner naturali. In particolare, la presidenza Trump ha messo in dubbio i capisaldi della cooperazione transatlantica e del sostegno occidentale all’Ucraina. Proprio il fermo sostegno mostrato da UE e Regno Unito a Kyiv a fronte delle pressioni americane e la stretta cooperazione fra Londra e alcuni partner europei per il lancio di una “coalizione dei volenterosi” che garantisca un possibile accordo di pace hanno probabilmente favorito un riallineamento più generale fra le due sponde della Manica. Il capitale politico generato in questo modo è stato poi utilizzato per superare, almeno parzialmente, le divergenze più settoriali.
Inoltre, sullo sfondo rimane il tema del possibile disimpegno americano dalla difesa dell’Europa, che rende indispensabile un approfondimento della cooperazione in materia di sicurezza e difesa. Il Regno Unito rimane infatti una delle principali potenze militari europee, è membro chiave della NATO e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e dispone di un’industria della difesa comunque già integrata con quella di paesi europei come Germania e Italia. Non è casuale che proprio questi due paesi abbiano spinto per l’apertura del fondo SAFE anche a paesi terzi, in modo da salvaguardare le cooperazioni in corso e potenzialmente rilanciarle. È stata invece la Francia a premere per l’introduzione di clausole che leghino l’utilizzo di queste risorse all’acquisto di prodotti dell’UE. Il compromesso raggiunto prevede quindi che il 65% dei fondi venga utilizzato nell’UE, ma che le risorse possano anche essere utilizzate per acquisti da compagnie di paesi terzi che abbiano firmato patti di sicurezza con l’UE. Per questo, l’accordo con Londra è di vitale importanza, sia per la difesa europea, sia per gli interessi economici britannici.
Un primo passo nella giusta direzione
La cooperazione fra Regno Unito e UE è più che mai necessaria alla luce del contesto internazionale, che vede in questi giorni i leader britannici ed europei lavorare a stretto contatto per mantenere un ruolo nei negoziati sull’Ucraina. Il reset certamente garantisce più credibilità a questa collaborazione e riporta le due parti sulla strada del dialogo. Rimangono tuttavia delle sfide aperte. Da un lato, per l’UE si tratta di cooperare con efficacia con Londra su temi chiave, pur mantenendo il punto sulla supremazia del diritto UE, una delle principali ragioni che aveva spinto il Regno Unito fuori dall’Unione. L’intesa sull’allineamento dinamico alle norme UE costituisce un primo assaggio dei compromessi politicamente sensibili che le due parti sono chiamate ad accettare.
Dall’altro, il governo Starmer dovrà affrontare profonde pressioni politiche domestiche. L’ascesa del movimento politico Reform di Nigel Farage indica come le istanze isolazioniste siano ancora molto forti. Il premier laburista è stato quindi costretto a non cedere eccessivamente su temi caldi come quello migratorio, rischiando di compromettere l’accordo. Allo stesso tempo, Starmer deve anche salvaguardare la relazione speciale con Washington, uno dei capisaldi della politica estera britannica, nel momento in cui l’amministrazione USA si dimostra profondamente ostile alle istituzioni UE.
L’accordo del 19 maggio costituisce, al momento, un’intesa quadro destinata a essere precisata attraverso negoziati lunghi e complessi, in particolare sui dossier più sensibili, e l’esito di queste trattative sarà determinante nel definire i contorni futuri della relazione tra UE e Regno Unito. Nonostante queste sfide, tuttavia, questo accordo costituisce il primo passo di un’inversione di rotta necessaria che riavvicina due partner inevitabili.