Cosa ha perso e cosa può guadagnare l’Iran dalla rappresaglia contro Israele

A poche ore dall’attacco iraniano contro Israele è possibile fare una prima valutazione preliminare. Come si è arrivati a questa situazione? Cosa ci ha perso l’Iran e cosa ci potrebbe aver guadagnato? Come se ne esce?

L’attacco è il culmine di un ciclo escalatorio durato mesi

L’attacco dell’Iran è una rappresaglia in risposta a una serie di operazioni condotte da Israele a partire da dicembre 2023 contro alti funzionari iraniani in Siria, culminate nell’attacco al consolato iraniano di Damasco, nel quale è rimasto ucciso il generale di più alto grado delle Guardie della rivoluzione islamica operanti in Siria. Questi attacchi, e soprattutto quello di Damasco, hanno messo l’Iran in una posizione quasi impossibile.

Da una parte avrebbe potuto incassare il colpo e continuare a beneficiare indirettamente del crescente isolamento israeliano seguito alla devastazione inflitta a Gaza da Israele stesso. Questo avrebbe comportato un grave indebolimento della capacità di deterrenza iraniana e, di fatto, avrebbe rappresentato un invito a Israele ad alzare ulteriormente la posta. Dall’altra parte, l’Iran aveva l’opzione di rispondere militarmente, nel tentativo di recuperare un po’ della deterrenza perduta, rischiando però di essere trascinato in una guerra che non vuole e in cui il governo israeliano avrebbe fatto di tutto per portare gli Stati Uniti.

Si è optato per una sorta di via di mezzo, un massiccio attacco diretto dal territorio iraniano con droni (tra 130 e 150) e missili balistici e di crociera (circa 150 in tutto). Si è trattato di un attacco di grande impatto politico ma scarso effetto pratico: non ci sono state vittime né danni ingenti. Dopotutto è stato comunicato con largo anticipo per dare a Israele, agli Stati Uniti e ai loro alleati europei e arabi (Regno Unito, Francia, Giordania in testa) il tempo di prepararsi. Ma l’Iran ha ottenuto davvero quello che cercava?

Sconfitta o vittoria strategica per l’Iran?

Per un verso, l’Iran ci ha senz’altro perso in tutta questa storia. Israele sostiene di aver intercettato la quasi totalità dei doni e dei missili e questo avrebbe mostrato i limiti della potenza militare iraniana. Inoltre il fatto che l’attacco sia stato deliberatamente limitato e comunicato in largo anticipo indica chiaramente che l’Iran ha paura di una guerra che non può sostenere.

L’attacco ha anche visto la partecipazione a difesa del territorio israeliano della Giordania, il che avrebbe messo in risalto come la reale linea divisoria in Medio Oriente non sia quella fra arabi e israeliani – come è stato fino agli anni ’80 del Novecento – ma quella fra Israele e i paesi arabi da una parte (con l’eccezione della Siria) e l’Iran all’altra. Ma la cosa più importante è che l’attacco ha spostato il focus internazionale da Gaza, su cui Israele è sulla difensiva, all’Iran, rispetto al quale Israele ha facilmente recuperato il sostegno degli americani e degli europei.

L’Iran ha pertanto perso alcuni dei vantaggi che aveva indirettamente guadagnato dalle critiche internazionali piovute su Israele per la distruzione di Gaza. Tuttavia ci sono alcuni elementi che fanno pensare che potrebbe aver guadagnato qualcosa.

Innanzitutto, ha mostrato una certa capacità militare. È del tutto plausibile che il tasso di intercetti sia inferiore al 99% vantato dagli israeliani. Un attacco in futuro condotto non a scopo politico ma militare avrebbe con ogni probabilità un impatto superiore a quello ‘telegrafato’ della notte del 13-14 aprile.

In secondo luogo, la reputazione dell’Iran nell’opinione pubblica regionale si è probabilmente rafforzata perché ha avuto l’audacia di attaccare Israele nonostante il rischio di una pesantissima contro-rappresaglia da parte israeliana e americana. Considerando che gli unici altri attori regionali che hanno colpito Israele durante le operazioni militari israeliane a Gaza sono alleati dell’Iran (Hezbollah e Houthi), la credibilità dell’‘asse della resistenza’ – il network di alleati iraniani in Siria, Libano, Iraq e Yemen – nella regione è aumentata.

Terzo, l’attacco ha messo una volta di più in risalto l’ipocrisia occidentale, che ha prontamente condannato (giustamente!) l’Iran, ma non ha mai ammonito Israele per avere innescato la spirale escalatoria. Di fatto prima della rappresaglia Stati Uniti ed Europa hanno esortato l’Iran a non agire, senza però fare altrettanto con Israele.

Infine l’attacco iraniano ha palesato agli occhi del Sud globale e di Russia e Cina la codardia occidentale: Stati Uniti, Francia e Regno Unito non hanno esitato a utilizzare le loro forze per difendere lo spazio aereo e il territorio di Israele da una rappresaglia che il Paese stesso ha di fatto provocato. Eppure, si guardano bene dal prendere misure per chiudere lo spazio aereo dell’Ucraina, un Paese innocente aggredito da una potenza imperialista con propositi di conquista – e che peraltro utilizza lo stesso tipo di drone.

Una via d’uscita?

L’Iran considera conclusa la faccenda, come ha detto la sua rappresentanza alle Nazioni Unite. Anche gli Usa sembrano propensi a superare l’incidente. Il presidente Joe Biden ha detto al primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu di “prendersi la vittoria” dell’intercetto di tutti o quasi i missili e droni (vero o meno che sia). Soprattutto, gli ha comunicato che gli Stati Uniti non intendono partecipare a una contro-rappresaglia israeliana. Non sorprenderebbe se la soffiata alla stampa in base alla quale Biden si sarebbe lamentato del fatto che Netanyahu stia facendo di tutto per trascinare gli Stati Uniti in una guerra in Medio Oriente fosse stata una mossa deliberata.

La questione ora è che farà Israele. Finora il governo Netanyahu ha costantemente ignorato le richieste e gli ammonimenti degli americani su Gaza, né si è sentito in dovere di avvertire Washington prima dell’attacco di Damasco che ha innescato la spirale di escalation. Tirerà ancora la corda attaccando l’Iran in modo tale da provocarne una seconda rappresaglia? Se lo farà sarà perché non avrà ricevuto alcuna forma di pressione da parte degli americani e degli europei. Se quindi nelle prossime settimane e mesi ci troveremo un conflitto generalizzato in Medio Oriente, la responsabilità sarà anche di Washington e degli europei.

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