Ucraina: la necessità di un’Europa unita anche sui rifugiati

La guerra in Ucraina ha sconvolto l’Europa. Anche le analisi dei più esperti non sono riuscite a prevedere l’invasione, e il corso della guerra è altrettanto imprevedibile, soprattutto perché gli obiettivi e le motivazioni del presidente Putin rimangono ambigui. Sembra, però, che sia l’inizio di qualcosa di terribile.

Mentre molte controversie nell’ex spazio sovietico sono state caratterizzate da brevi periodi di violenza seguiti da lunghi periodi di conflitto a bassa intensità (frozen conflict), questa volta la portata dell’invasione e il disprezzo del diritto internazionale, comprese le disposizioni del diritto umanitario internazionale sul trattamento dei civili, stanno portando molti a richiamare la Cecenia, una delle guerre di Putin i cui risvolti sono stati estremamente sanguinosi.

In Ucraina è in corso una catastrofe umanitaria

Oltre a migliaia di vittime civili e circa 10.000-15.000 vittime militari, il numero di rifugiati è enorme. Già 2 milioni di persone sono state costrette a lasciare l’Ucraina, in meno di due settimane. Le stime per i prossimi due mesi vanno da 4 a 7 milioni. Il movimento di un tale numero di rifugiati in un così breve periodo di tempo non ha precedenti in Europa e ci sono pochissimi eventi comparabili a livello globale. Lo sfollamento di persone dall’Ucraina e all’interno dell’Ucraina richiede una forte risposta umanitaria, ma non si tratta solo di questo: il modo in cui l’Europa risponderà allo sfollamento avrà anche un impatto sulla sicurezza. Gli ultimi anni hanno dimostrato fino a che punto gli arrivi di rifugiati possono destabilizzare e dividere l’Ue – già noto ad alcuni leader senza scrupoli e repressivi, che manipolano i civili in fuga per ottenere concessioni o affermare il potere sull’Europa – una tendenza molto familiare a Putin.

Una risposta unitaria, efficiente e intelligente da parte dell’UE è fondamentale, sia per sostenere i rifugiati sia per ridurre al minimo l’impatto dirompente dello sfollamento e la capacità di Putin di utilizzarlo. Finora la risposta dell’Europa è stata molto positiva (a differenza di altre situazioni migratorie, come molti hanno sottolineato), per far sì che continui in questo modo, man mano che arrivano numeri sempre maggiori di persone, bisogna che vengano intraprese tre azioni.

Gli strumenti giuridici a disposizione dell’Ue

In primo luogo, l’Ue deve utilizzare gli strumenti giuridici a sua disposizione, e per il momento li sta attuando nel modo giusto. La scorsa settimana è stata varata per la prima volta la Direttiva sulla protezione temporanea (DPT). La DPT è uno strumento pensato proprio per questo tipo di situazioni – il “flusso massiccio” di rifugiati – che consente di concedere immediatamente protezione internazionale a una specifica categoria di persone. Dopo l’invasione, Ecre (European Council on refugees and exhiles) ha fortemente sollecitato l’uso del DPT (come abbiamo fatto per le precedenti crisi).

Nonostante qualche deplorevole limitazione del suo ambito di applicazione da parte degli Stati membri durante il Consiglio Giustizia e Affari interni, tutti gli ucraini – e quasi tutti gli altri che lasciano l’Ucraina – saranno coperti. Positiva è anche la durata della protezione – tre anni – e il suo contenuto (ossia i diritti connessi allo status di protezione), quest’ultimo comprensivo del diritto al lavoro, all’istruzione, al ricongiungimento familiare e all’assistenza sociale. Il DPT è importante per le persone che fuggono dall’Ucraina perché fornisce loro la sicurezza di uno status giuridico immediato, ma è altrettanto importante per gli Stati membri perché dovrebbe consentire loro di gestire la situazione senza sovraccaricare i loro sistemi di asilo: i rifugiati a cui è applicata la DPT non devono presentare domanda di asilo (ma possono comunque farlo). L’attenzione ora dovrebbe essere concentrata sull’attuazione negli Stati membri, che devono registrare rapidamente le persone per la protezione temporanea.

È necessario aiutare gli Stati membri

Questo ci porta al secondo step, al di là del DPT, l’Ue deve mobilitare tutto il sostegno a sua disposizione per gli Stati membri, che devono richiederlo. Ciò include il finanziamento di emergenza nell’ambito del programma AMIF – il Fondo Ue per l’asilo, la migrazione e l’integrazione – e il sostegno e la missione dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), che ha sviluppato una preziosa esperienza nel sostenere gli Stati membri, in particolare nell’assisterli nei processi di registrazione, come dimostra l’analisi Ecre delle loro operazioni. Tuttavia, non può operare senza una richiesta dello Stato membro.

I soccorsi all’interno dell’UE saranno guidati dai governi nazionali (non sempre sono la risposta ai casi umanitari poiché a volte la comunità internazionale ha un ruolo più forte) e la loro capacità varia enormemente. L’attenzione è rivolta giustamente a Polonia e Ungheria, dove è arrivato il maggior numero di rifugiati, che sono entrambi paesi che negli ultimi anni hanno deliberatamente smantellato i loro sistemi di asilo. Ma occorre concentrarsi anche su Romania e Bulgaria, dove sono arrivate rispettivamente 78.000 e 25.000 persone. Sono tra i paesi più poveri d’Europa e devono affrontare alcune sfide istituzionali, come i deboli sistemi di protezione dei bambini. La condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri, coordinata dall’Ue, è fondamentale.

Integrazione e politiche comuni 

Il terzo passo è forse il più importante. Un principio guida nella risposta dei rifugiati è quello dell’integrazione sin dal primo giorno. Anche nel consueto processo di richiesta di asilo e di lunga attesa (a volte anni) per una decisione, sostenere l’integrazione fin dall’inizio è il modo migliore per garantire risultati positivi per la persona e per la società ospitante. Ecre si riferisce all’inclusione attraverso il rispetto dei diritti umani della persona in questione, compresi i diritti socioeconomici – al lavoro, all’istruzione, all’alloggio – che facilitano l’inclusione nella società.

L’attenzione all’integrazione aiuterà a trasformare la risposta positiva a breve termine in un sostegno strutturale a lungo termine. Aiuterà anche a mantenere e massimizzare il sostegno popolare dimostrato dalla gente comune. Integrazione significa anche il coinvolgimento di una serie di ministeri e agenzie – occupazione, affari sociali, salute – e della società civile, andando oltre i soccorritori. Significa anche applicare un altro principio che esiste per buone ragioni: la necessità di una risposta “dell’intera società” ai rifugiati di massa.

Tutte queste misure dovrebbero essere applicate a ogni tipo di rifugiato: troppo tempo e troppe risorse vengono sprecate per cercare di tenere fuori i rifugiati, piuttosto che per prepararsi al loro arrivo. In questo caso l’Ue deve agire nel modo giusto e rispondere in maniera coordinata. La risposta alla sicurezza deve essere unificata, così come quella relativa all’accoglienza dei civili in fuga dall’Ucraina. Qualsiasi riproposizione di panico e divisione delle precedenti crisi politiche sulla questione dei rifugiati beneficerà direttamente Putin, oltre che pesare sulla sicurezza e sui costi umani.

Foto di copertina EPA/WOJTEK JARGILO

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