Tre strade per attuare la difesa comune europea

Di difesa europea si parla dal 1954 ma il momento è davvero arrivato. Il consenso da solo però non basta: è necessario identificare prima di tutto un equilibrio accettabile tra duplicazioni da evitare, spese da ridurre e autonomia nazionale cui rinunciare. Di “esercito europeo” invece sarebbe meglio non parlare: oggi creerebbe più problemi che altro, soprattutto sul piano di comando e logistica.

Partire da problemi concreti e progetti specifici per far fronte alle difficoltà economiche e tecnologiche e favorire economie di scala e l’integrazione tra quei Paesi che la desiderino, abbandonando un’unanimità impossibile a favore di decisioni prese da un gruppo limitato ma trainante di Paesi chiave. Nella difesa, non siamo tutti uguali.

Problemi di coordinamento e ottimizzazione

I 27 spendono per la difesa 220 miliardi di euro all’anno, contro i circa 700 degli USA. Questo dovrebbe rendere la Ue un colosso militare. Invece, pur spendendo il 32% della spesa Washington, i Paesi dell’Unione non arrivano al 10% delle capacità militari americane.

Il Parlamento europeo ha quantificato in 45 miliardi l’anno i risparmi possibili con più coordinamento su armamenti e procurement: risorse che potrebbero potenziare forze armate integrate e che invece si perdono in assetti spesso obsoleti ancor prima di essere dispiegati, una conseguenza inevitabile di spese nazionali ingenti e spalmate su molti anni.

Con 150 tipi di equipaggiamenti diversi contro i 30 degli USA, le forze armate europee hanno in comune poco più di carburante e munizioni, e la loro interoperabilità è garantita solo dalla Nato. La strada è, citando il Presidente Draghi, “costruire un coordinamento efficace” e “ottimizzare i nostri investimenti in spesa militare”: sono concetti espressi da tempo ma, salvo poche eccezioni, rimasti quasi sempre sulla carta, in parte per reticenze degli Stati a perdere sovranità e in parte per una storica quanto obsoleta riluttanza americana ad una vera integrazione europea nella difesa.

Tre strade percorribili

Tre sono le strade possibili da subito, per migliorare integrazione e specializzazione e cancellare duplicazioni, incompatibilità e lacune che rendono impossibili operazioni militari europee autonome.

La prima è aumentare il pooling & sharing, ovvero la condivisione di capacità militari esistenti e in esubero e l’acquisto congiunto di assetti disponibili sul mercato. Grazie all’Agenzia Europea della Difesa (Eda), qualche passo in avanti è stato compiuto su comunicazioni satellitari, rifornimento in volo e altro ma molto resta da fare in campi quali logistica, munizioni, comunicazioni e addestramento.

Grandi risparmi potrebbero arrivare anche dall’applicazione delle direttive europee 43 e 81 del 2009 sull’approvvigionamento, su cui non a caso la Commissione è tornata di recente, ribadendo gli incentivi al procurement congiunto, con esenzioni IVA, nuovi strumenti finanziari e il Fondo europeo per la difesa.

Una terza strada è quella che porta ad una base tecnologica e industriale di difesa comune, che superi le tecnologie nazionali e porti all’autosufficienza. Un’ottima idea, rimasta incagliata su rendite nazionali, interessi commerciali divergenti e sospetti incrociati all’interno della Ue e tra Ue e Usa. Anche in questo caso, oltre alle possibilità già garantite dai trattati, sarebbe bene partire identificando progetti di interesse comune, troppo impegnativi sul piano tecnologico e finanziario per essere affrontati dai singoli Stati. La “Bussola strategica” Ue dà priorità al trasporto strategico, alle comunicazioni satellitarie alla cybersecurity. Le iniziative europee devono però essere inserite nelle pianificazioni nazionali per spingere gli Stati a cooperare sul serio.

Foto di copertina EPA/DAVID HECKER

Ultime pubblicazioni