Il Togo aumenta le difese contro il jihad islamico

Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM – Gruppo di Supporto all’Islam e ai Musulmani), il gruppo saheliano parte di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), ha rivendicato l’uccisione di tre soldati togolesi in un’imboscata avvenuta al confine con il Burkina Faso, il 17 novembre scorso. Due giorni dopo l’operazione, al-Zallaqa, l’agenzia stampa dell’organizzazione, ha rilanciato tramite i suoi canali su Telegram e Chirpwire i dettagli dell’operazione in cui, oltra alla morte dei tre definiti ‘apostata’ sono stati anche rivendicati il sequestro di sette veicoli e tre fucili. Il giorno prima, i media togolesi avevano riportato i dettagli di un’imboscata avvenuta nell’area.

L’evoluzione del jihadismo in Togo

Questa è la stessa area in cui, nel novembre 2021, sospetti militanti appartenenti al gruppo JNIM assalirono un avamposto militare, in quello che ad oggi considerato il primo attacco jihadista subito dal Togo sul suo territorio nella sua storia. In quell’occasione, però, le forze di sicurezza togolesi riuscirono a respingere l’attacco.

Nei mesi successivi, ci sono stati altri attacchi, questa volta mortali. Nella notte tra il 10 e l’11 maggio 2022, un commando di circa 60 militanti in motocicletta ha assalito la base militare di Kpinkankandi, sempre nella prefettura di Kpendjal. Nelle ore successive, alcune truppe di militari togolesi che cercavano di raggiungere la base per portare supporto furono anche colpite da un attacco effettuato tramite un ordigno esplosivo improvvisato (IED, acronimo dall’inglese Improvised Esplosive Device), primo attacco del genere nella storia del paese. L’assalto ha provocato la morte di 8 soldati e circa 13 feriti.

Stando alle autorità togolesi, 15 tra gli assalitori sono stati uccisi. Nei giorni successivi, nessun gruppo aveva rivendicato la paternità di tale operazione. L’attacco, ad ogni modo, è stato definito come “complesso e coordinato“, sottintendendo quindi solo gruppi con determinate capacità operative avrebbero potuto portarlo a termine. Pertanto, data anche la posizione geografica dell’attacco, è estremamente probabile, come anche ripreso dai media togolesi, che anche in questo caso i responsabili fossero militanti legati al JNIM.

Nel luglio 2022, i militanti hanno effettuato circa sei attacchi in Togo. Il 14 luglio, il Togo ha vissuto ad oggi il giorno peggiore di violenza jihadista. Militanti hanno assalito contemporaneamente i villaggi di Blamonga, Lalabiga e Sougtangou, sempre nella prefettura di Kpendjal, e di Kpemboli, nella prefettura di Tône. Dopo i cinque attacchi coordinati, invece, i militanti hanno colpito attraverso un altro attacco IED un convoglio che si stava recando nella zona per ispezionare uno dei villaggi all’indomani dell’attacco. Nei giorni precedenti a questi attacchi coordinati, vi sono stati altri episodi di violenza che avevano già contribuito ad alimentare il caos.

Il giorno prima degli attacchi, a Bombengou, un uomo era stato prima rapito e poi ucciso, accusato di “collaborazionismo” con le autorità togolesi. Alcuni giorni prima, invece, sette persone erano state uccise e due ferite nel villaggio di Margba a causa di un’esplosione. Inizialmente, si era pensato anche in questo ad un attacco IED, ma dopo qualche giorno il governo ha ammesso che questi ragazzi, tutti adolescenti, erano stati uccisi per errore da un attacco dell’aeronautica togolese che li aveva scambiati per jihadisti

L’approccio togolese al contro-terrorismo

Nell’ultimo anno, i militanti jihadisti sono riusciti a operare nel paese, come visto dalla crescita degli attacchi sul suolo togolese. Ma il Togo è impegnato in attività di contro-terrorismo già da alcuni anni, in particolar modo dal 2017, quando è divenuto chiaro sia agli attori regionali che alla comunità internazionale in senso più ampio che lo spostamento verso sud delle forze jihadiste operanti in Mali e il rafforzamento della loro presenza, insieme a una serie di gruppi e militanti autoctoni in Burkina Faso, non era più contingente ma era un dato oramai strutturale.

Il Togo, quindi, ha preso parte all’iniziativa di Accra, lanciata nel settembre 2017 insieme al Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana come risposta alla crescente insicurezza dettata dal rafforzamento dei gruppi jihadisti nell’area, partecipando anche all’operazione militare congiunta Koudalgou nel maggio dell’anno successivo. Sempre nel 2018, il governo togolese ha lanciato l’operazione Koundjoare nella regione delle Savane, operazione che mirava a prevenire l’infiltrazione di terroristi ma anche al rafforzamento delle relazioni tra forze di difesa e di sicurezza e la popolazione locale tramite azioni volte a migliorare le condizioni delle comunità.

Nel 2019, dopo l’attacco avvenuto a Nohao, città burkinabè al confine, contro un’unità doganale mobile in cui sono stati uccisi tre doganieri e un prete spagnolo, Il Togo ha istituto il Comitato interministeriale per la prevenzione e la lotta contro l’estremismo violento, meccanismo non militare concepito dal governo per integrare le misure adottate dal 2017 per prevenire l’estremismo violento.

Con la crescita degli attacchi all’interno del paese nell’ultimo anno, il presidente Faure Essozimna Gnassingbé ha deciso di però di rafforzare anche l’apparato militare. La regione delle Savane è stata posta in stato di emergenza a partire dal 13 giugno scorso. Inoltre, sono state stanziate più risorse per le forze armate: 2000 uomini e donne si aggiungeranno agli attuali effettivi, e il governo spenderà circa 43 miliardi di franchi CFA (più di 66 milioni di euro) per l’acquisto di materiale bellico, con ulteriori 21,9 miliardi di franchi destinati all’ l’addestramento e il dispiegamento delle forze. Questo sforzo ulteriore si aggiunge a ciò che era già stato previsto dalla legge di programmazione militare 2021-2025 – adottata alla fine del 2020 – in cui era prevista una dotazione di circa 722 miliardi di franchi destinati al potenziamento delle forze armate.

La regione delle Savane: il ventre molle del paese

L’altro aspetto fondamentale dell’approccio togolese al contenimento del fenomeno jihadista è quello del supporto economico e alla promozione dello sviluppo locale nelle aree dove queste forze sono più attive. In Togo, l’area più a rischio è la regione delle Savane. La regione più a nord del paese, la cui capitale è Dapaong, è formata dalle prefetture di Kpendjal, Oti, Tandjouaré e Tône e copre il 15% del territorio nazionale.

Oltre ai problemi locali, la posizione geografica di tale regione – al confine con Burkina Faso e Benin, due paesi in cui le forze jihadista sono molto attive, la rendono particolarmente vulnerabile. La popolazione che vi abita è essenzialmente rurale, avendo il tasso di urbanizzazione più basso di tutto il Togo (circa il 14%), con circa 115mila abitanti delle città contro i circa 700 mila che vivono nelle aree rurali, con aree come quella di Tandjoaré, dove il tasso di urbanizzazione è quasi nullo (1,42%).

Per rafforzare lo sviluppo di tale regione, lo Stato ha stanziato circa 16 miliardi di franchi CFA, destinati a rafforzare le infrastrutture, costruendo in particolare nuove strade e ospedali e di 150 chilometri di piste rurali, mentre gli ospedali già esistenti vedranno rafforzate le loro piattaforme tecniche. Inoltre, passaggio fondamentale è garantire un accesso più diffuso all’acqua potabile, con la realizzazione di nuovi pozzi in quasi 30 località di confine e l’approvvigionamento di acqua potabile in tutte le basi militari della prefettura. Inoltre, saranno installati anche lampioni solari e saranno costruite unità di assistenza periferica (USP) nelle città di Nassiégou e Safobé.

Le scelte politiche contro il jihadismo

La consapevolezza che garantire sviluppo ha anche un legame con la gestione e il contenimento del fenomeno jihadista si è mostrato anche con altre scelte della leadership togolese. Dopo la sua rielezione per un quarto mandato nel febbraio 2020, ottenuta con un sonante 70% dei voti, Faure Gnassingbé ha scelto come nuova prima ministra, una figura considerata come una specialista dello sviluppo: Victoire Tomégah-Dogbé, nominata nel settembre dello stesso anno. Tomégah-Dogbé, prima donna primo ministro nella storia del paese, è stata al governo ininterrottamente, ricoprendo varie posizioni ministeriali, dal 2008.

Questo approccio a due dimensioni in cui, al rafforzamento essenziale dell’apparato militare si lavora anche ad un approccio più incentrato sul fornire risposte immediate ai problemi di sviluppo che potrebbero favorire l’espansione del proselitismo jihadista, ad oggi è riuscito a garantire una certa resilienza al Togo rispetto a un’ambiente regionale sempre più difficile, caratterizzato da gruppi jihadisti sempre più forti e colpi di stato sempre più frequenti. Sebbene negli ultimi mesi ci sia stata una crescita degli attacchi, il Togo è riuscito al momento a contenere l’onda jihadista saheliana, facendo si che questi attacchi non destabilizzassero il Paese e cercando di limitarne la portata.

Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ

Ultime pubblicazioni