Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo jihadista salito alle cronache globali delle ultime settimane come architrave del blocco di gruppi che ha provocato la fine della dinastia degli al-Assad, ha una storia abbastanza peculiare. Fondato con il nome di Jabhat al-Nusra nel gennaio del 2012, focalizzato sul Jihad in Siria e con l’obiettivo di destituire Bashar al-Assad, le sue radici affondano nel gruppo che ha preceduto l’avvento dello Stato Islamico, lo Stato Islamico dell’Iraq. Quando Abu Bakr al-Baghdadi portò quest’ultima organizzazione dall’Iraq alla Siria nell’aprile 2013, rinominandola “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, ordinando quindi lo scioglimento di HTS nei suoi ranghi, il gruppo si distacco, con il suo leader, Abu Muhammed al-Jowlani che rinnegò Baghdadi e giurò fedeltà – tramite bay-ah (giuramento di fedeltà a un leader) – ad Ayman al-Zawahiri, allora leader di al-Qaeda. Dopo qualche anno, nel giugno 2016, quando il suo gruppo era ancora conosciuto come Jabhat al-Nusra, al-Jawlani ripudiò anche al-Qaeda, rinnegando il jihad globale, rigettandone le tattiche estreme e annunciando che il gruppo avrebbe avuto un focus esclusivamente locale.
Nelle ultime settimane, al-Jowlani è diventato un volto noto di tutti i network globali. Considerato de-facto il leader della Siria post-assadista, al-Jowlani ha già incontrato diversi diplomatici di vari paesi, apparendo spesso in tv e sui media, evoluzione già di per sé molto interessante per uno che negli anni addietro si faceva vedere pochissimo in video e sui media in generale. L’approccio peculiare del gruppo, le ripetute rassicurazioni sul rispetto della diversità e del pluralismo siriano, hanno fatto parlare molti di un jihadismo “diverso”. Il principale esperto sul gruppo, Aaron Zelin, analizzando in questi anni il “jihadismo politico” del gruppo, in uno dei suoi ultimi lavori ha definito HTS “diversity-friendly” spiegando però che “sebbene il gruppo possa essere considerato più liberale rispetto all’ISIS o ai Talebani, al-Jowlani e le sue forze rimangono, in fondo, un gruppo armato autoritario.”
In effetti, osservando anche la produzione teorica di molti studiosi e ideologhi del gruppo, parlare di un gruppo jihadista moderato a tal punto da abbracciare pluralismo e diversità, secolarismo e democrazia, è veramente eccessivo. Cosa diversa, invece, è il focus del gruppo su governance e localismo. Ma questo focus non è necessariamente estraneo al mondo jihadista: se Abdullah Yusuf Azzam non fosse stato ucciso Il 24 novembre 1989 da un’autobomba a Peshawar, probabilmente la storia di al-Qaeda, e del movimento jihadista, sarebbe stata diversa. Quell’uccisione cambiò gli equilibri di potere del gruppo che si stava definendo come Al-Qaeda, rafforzando il contingente egiziano focalizzato sullo sviluppo di un’agenda globale forte, in contrapposizione ad un jihad nazionalistico, localista e localizzato, teorizzato invece all’epoca proprio da Azzam, uno dei fondatori di Hamas, il cui obiettivo era interamente focalizzato sulla distruzione di Israele e sulla creazione di uno stato palestinese islamico. Negli ultimi anni c’è stato un ritorno generale del jihadismo localista, non solo in Siria ma anche altrove, ad esempio nel Sahel coi gruppi legati ad Al-Qaeda capaci di fare proselitismo in Mali e Burkina Faso, in particolare tra le popolazioni Fulani. Da questo punto di vista, il focus localista di al-Jowlani va visto anche nell’ottica del consolidamento del suo potere nel lungo periodo, visto che è un leader focalizzato sul cosiddetto “long game”.
Consolidare prima di colpire: la strategia del lungo periodo di HTS verso Israele
Questo passaggio è evidente, ad esempio, nell’approccio di HTS su Israele. Nei giorni immediatamente dopo la vittoria contro Bashar al-Assad, al-Jowlani e il suo gruppo sono stati criticati, in particolare sui social media arabi, per aver avuto un profilo estremamente basso rispetto ad Israele nonostante HTS sia un gruppo che spesso ha espresso posizioni a favore della causa palestinese ed ostili ad Israele. Il gruppo, nella sua avanzata in Siria, ha certamente beneficiato delle azioni israeliane contro Hezbollah in Libano e contro l’Iran. Ad ogni modo, il motivo di tale profilo basso non è questo: una sorta di riconoscenza tattica per l’aiuto ricevuto ma non richiesto. Il motivo è legato invece alla necessità di consolidarsi come movimento dominante nella Siria post-assadista e il focus, quasi ossessivo, di Al-Jowlani sul già menzionato “long game”. Al-Jowlani è conscio che, al momento, le relazioni di forza sono troppo sbilanciate a favore di Israele, che in un solo anno di guerra è riuscita a distruggere forze ben più strutturate come Hezbollah ed Hamas. Da questo punto di vista, l’approccio di al-Jowlani rispetto alla guerra con il regime siriano negli ultimi offre vari spunti per capire sia le idee del personaggio sia la sua “pazienza strategica”. Per lui, il concetto di consolidamento è centrale ed è da declinare in varie versioni: consolidamento territoriale e di governance, con un controllo chiaro e unitario del territorio, con la capacità di offrire servizi alle popolazioni sotto il proprio controllo e ridurre al minimo tensioni e contestazioni; consolidamento militare, da ottenere tramite l’addestramento, la professionalizzazione e l’inquadramento dei militanti; consolidamento economico, avere quindi la capacità di riscuotere tasse e di avere abbastanza fondi per perseguire i propri obiettivi. Chiaramente, da questo punto di vista, l’HTS non è – al momento – nella condizione di lanciare un attacco contro Israele. Ma, riprendendo le logiche strategiche di HTS degli ultimi anni, è probabile che l’ambizione sia quella di consolidare il proprio controllo in Siria prima di lanciarsi in un attacco del genere. Quindi, la questione probabilmente non è il se, ma il quando.
Da ‘partner inaffidabile’ ad alleato strategico: l’evoluzione pragmatica dei rapporti tra HTS e Turchia
Un altro passaggio controverso legato a HTS è quello del suo rapporto con la Turchia. In tanti hanno descritto HTS come un proxy diretto turco. La realtà è molto meno netta. La Turchia ha supportato vari gruppi nel suo lavorare ai fianchi Bashar al-Assad, alcuni direttamente, come l’Esercito Nazionale Siriano, e altri indirettamente, come per l’appunto HTS. Ciò detto, i recenti successi di HTS sarebbero stati impensabili senza il supporto militare e logistico della Turchia e la fornitura di armamenti avanzati, quindi c’è chiaramente una relazione. Ma il rapporto è lungi dall’essere monodirezionale, e HTS ha più autonomia di quanto molti pensino. Nel 2018, ai tempi del tentativo del regime di riprendere Idlib, Al-Jowlani aveva definito la Turchia come “partner inaffidabile” sostenendo che le sue posizioni potrebbero cambiare in qualsiasi momento. Qualche mese prima, HTS aveva accettato l’istituzione di punti di osservazione turchi vicino a Idlib, parte delle zone di de-escalation concordate nei colloqui ad Astana, elementi che avevano portato ad una crescente tensione con i militanti più legati ad Al-Qaeda, che percepivano l’accettazione di queste zone di de-escalation, così come la presenza turca, come illegittime. Quello fu uno degli elementi di maggiore attrito e che probabilmente portarono alla divisione definitiva tra al-Jowlani e i qaedisti. Per conto suo, la Turchia designò HTS come gruppo terrorista nel 2018. Quindi, mentre i contatti e le convergenze sono innegabili, definire HTS una pedina nelle mani di Ankara è quanto meno eccessivo.
HTS tra pragmatismo e radicalismo
HTS è quindi certamente un gruppo jihadista diverso e per molti aspetti meno lineare e più diversificato di altri gruppi apparsi nella galassia jihadista degli ultimi anni, ma il suo essere così focalizzato sul jihad locale e sulla governance del territorio non significa che il gruppo sia particolarmente aperto al pluralismo politico e confessionale. In questo senso, tutto va visto rispetto al focus di al-Jowlani sul “long game.” Il modo in cui HTS ha affrontato il regime di Bashar al-Assad, focalizzandosi su pazienza strategica e consolidamento, offre un chiaro esempio del modus operandi di al-Jowlani. Questo approccio è probabilmente anche alla base del basso profilo che il gruppo sta avendo in questo momento rispetto ad Israele. Con la Turchia, invece, le relazioni sono particolarmente complesse: sebbene ci sia un’evidente convergenza, in particolare negli ultimi mesi, considerare HTS una pedina turca è improprio, e il gruppo mantiene la propria autonomia decisionale e strategica.