A tutta India? Trump e Nuova Delhi tra ambizioni e realtà

Dopo la vittoria abbastanza netta nelle elezioni presidenziali americane, il Presidente eletto Donald Trump sta iniziando a scegliere i componenti della propria amministrazione. Per evitare i problemi che ebbe nel 2016, ha avviato la transizione rapidamente effettuando diverse nomine chiave entro la prima settimana: Susie Wiles come Capo di Gabinetto, prima donna che ricoprirà questo ruolo nella storia del paese; Tom Homan come responsabile della gestione delle politiche di frontiera (“Border Czar”); Elise Stefanik, terza nella gerarchia repubblicana alla Camera, come ambasciatrice presso le Nazioni Unite.

Trump dovrebbe nominare il senatore Marco Rubio come Segretario di Stato e ha chiesto a Mike Waltz di ricoprire il ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Entrambi repubblicani eletti in Florida, i due sono noti per le loro posizioni particolarmente assertive in politica estera, e che in qualche modo contrasterebbero con la visione più “limitazionista” di Trump. Ad esempio, Waltz è considerato uno strenuo sostenitore della causa ucraina, tra i repubblicani più impegnati nel supportare Kyiv. In realtà, individuare una dottrina coerente riguardante l’approccio di politica estera di Trump resta un passaggio complesso. Certamente, però, i due rappresentati repubblicani della Florida condividono una certa avversione per la Cina e sono entrambi tra i principali supporter di un rafforzamento, in chiave principalmente anti-cinese, delle relazioni con l’India. In questa ottica, Nuova Delhi emergerebbe così come una delle potenziali architravi dell’approccio di politica estera del Trump II, in parziale continuità con ciò che Trump già fece nel primo mandato, sebbene all’epoca in maniera meno strutturata.

La politica di Rubio e Waltz nei confronti dell’India

Rubio è un fermo sostenitore di una politica estera assertiva, che dia priorità al contenimento di Cina e Iran. Rispetto all’India ha sempre avuto un impegno proattivo volto a promuovere relazioni diplomatiche estremamente solide e una cooperazione sempre più stretta. Rubio ha stabilmente sostenuto la cessazione dell’assistenza in materia di sicurezza al Pakistan, proponendo anche sanzioni contro Islamabad per il suo sostegno al terrorismo in India. Inoltre, Rubio ha introdotto una legislazione che prevede un’esenzione limitata per l’India dalle sanzioni CAATSA per l’acquisto di equipaggiamenti russi e che mette l’India sullo stesso piano di Giappone, Israele, Corea e alleati NATO in materia di trasferimenti tecnologici. Nel giugno 2023, in occasione del discorso di Modi al Congresso, Rubio chiese all’Amministrazione Biden e al Congresso di dare “priorità a questa relazione di fondamentale importanza” sottolineando come interessi economici e di sicurezza dei due paesi sono sovrapponibili, in particolare “di fronte alla crescente ostilità del Partito Comunista Cinese nell’Himalaya e nell’Oceano Indiano.”

Waltz è uno dei più energici sostenitori dell’India a Capitol Hill. In qualità di co-presidente del bipartisan “Congressional Caucus on India and Indian-Americans”, ha svolto un ruolo chiave nell’organizzazione del discorso di Modi al Campidoglio nel 2023. Waltz vede il partenariato di Washington con Nuova Delhi principalmente attraverso il prisma delle loro comuni preoccupazioni nei confronti dell’assertività e delle ambizioni di Pechino. Nell’ottobre 2021, con l’ex governatrice Nikki Haley scrisse un articolo su “Foreign Policy”, chiedendo un’alleanza formale tra Stati Uniti e India, sostenendo che un’alleanza del genere rafforzerebbe la posizione globale di entrambe le nazioni e bilancerebbe l’assertività della Cina. Nel giugno 2023, Waltz introdusse una legislazione bipartisan per accelerare le vendite di armi statunitensi all’India, cercando di mettere Nuova Delhi sullo stesso piano degli altri partner statunitensi nel processo di revisione e vendita di equipaggiamenti militari.

L’India come priorità per il secondo mandato Trump

Queste scelte sarebbero coerenti con l’idea, sempre più diffusa a D.C., che l’India debba avere un ruolo predominante all’interno della politica estera americana. All’indomani della vittoria di Trump, il Primo Ministro indiano Narendra Modi è stato tra i primi a congratularsi. Durante il primo mandato di Trump, tra il 2017 e il 2021, l’India è passata dall’essere un paese strategico a un partner indispensabile per gli Stati Uniti. Nella Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, gli Stati Uniti accoglievano con favore “l’emergere dell’India come potenza globale di primo piano e partner strategico e di difesa più forte”, con l’obiettivo di aumentare la cooperazione quadrilaterale con Giappone, Australia e India.

Queste scelte dicono molto sulla priorità che l’India rappresenterà per questa amministrazione. Priorità di cui a Nuova Delhi, come mostrato dalla reazione di Modi, sono consapevoli. Ciò detto, però, le relazioni con l’India sono tendenzialmente meno lineari e prevedibili di quanto molti, negli Stati Uniti, vorrebbero. L’India non parla mai di alleanza con gli americani, ma di partenariato. Sebbene l’India in effetti si sia avvicinata all’Occidente, in particolare dopo la fine della Guerra Fredda, pensare che Nuova Delhi sia pronta ad abbandonare la politica estera anti-imperialista, anti-colonialista, orientata alla multipolarità e volta a preservare la propria autonomia strategica per relazioni più profonde con l’Occidente è probabilmente un abbaglio. Certamente, l’India non vede di buon occhio le aspirazioni della Cina, e ciò facilita un dialogo con Washington su questa questione, ma è anche particolarmente riluttante ad accettare diktat esterni o che ne limitino la libertà, anche nelle relazioni con Pechino. L’India resta un membro dei BRICS, e continua ad avere relazioni significative con la Russia e con l’Iran. Su molte questioni – come ad esempio in Ucraina – non è necessariamente allineata con le visioni di parte dell’establishment americano.

Quindi, mentre negli Stati Uniti sembra esserci l’ambizione di fare dell’India un pilastro strategico del nuovo corso di politica estera, tale obiettivo può essere raggiunto solo se Washington dovesse accettare un certo grado di flessibilità nell’interagire con gli indiani, senza volere che l’India rinunci al proprio approccio multivettoriale e al focus multipolare della sua politica estera. In quel caso, gli americani rischierebbero di rimanere profondamente delusi.

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