Il golpe in Niger apre nuove possibilità al terrorismo nel Sahel

Il sorprendente colpo di stato del 26 luglio che ha destituito il presidente della Repubblica del Niger Mohamed Bazoum, eletto nel 2021, seguito dall’insediamento della giunta militare al potere, ha aperto una nuova fase nelle dinamiche regionali nel Sahel.

Nell’analisi delle varie cause che hanno concorso a questo colpo di stato, oltre al sentimento anti-francese e al ruolo non trascurabile di Mosca attraverso la propaganda e disinformazione, vi sono alcuni passaggi interni che non vanno sottovalutati, legati al terrorismo e alle violenze jihadiste.

Il ruolo del terrorismo jihadista

Nonostante il Niger non abbia sofferto la spirale di violenza che Mali e Burkina Faso hanno conosciuto negli ultimi cinque anni a causa degli attacchi terroristici e delle infiltrazioni jihadiste, la “percezione” di insicurezza della  popolazione civile varia da comunità da comunità: i villaggi e i gruppi nell’area nigerina della cosiddetta “Tripla Frontiera” (la zona di Liptako-Gourma) all’intersezione di Mali, Burkina Faso e Niger, hanno chiaramente una percezione diversa rispetto a comunità meno colpite dal jihadismo.

Ad ogni modo, la possibilità di un intervento militare della  Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale – (Cedeao o Ecowas) si fa sempre meno probabile, anche perché determinate azioni di specifici attori internazionali, si pensi agli Stati Uniti, fanno pensare che l’appetito per un intervento militare per riportare Bazoum al potere o, quanto meno, un governo civile non sia poi così significativo.

Una delle questioni più importanti sul tavolo riguarda le prospettive dei gruppi jihadisti in Niger, e come questo colpo di stato possa influenzare le strategie di contro-terrorismo nigerino, che – nonostante difficoltà strutturali e mezzi limitatissimi – sono riuscite ad ottenere risultati relativamente sorprendenti nella lotta al terrorismo.

Alcuni giorni dopo il colpo di stato, sui canali Telegram legati alla propaganda dei gruppi qaedisti operanti nel Sahel sotto la sigla di Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen [il Gruppo per il supporto dell’Islam e dei Musulmani – JNIM], tale sviluppo era stato considerato quasi come una sorta di “opportunità d’oro” per poter rafforzare la propria presenza in Niger. I gruppi qaedisti hanno individuato l’opportunità di sfruttare tale situazione di instabilità lanciando attacchi contro basi militari occidentali presenti nel paese e le ambasciate, bloccando la produzione di oro e uranio da parte delle aziende straniere, cercando di rapire occidentali da fare ostaggio, e colpire l’esercito nigerino per sequestrare armi e munizioni.

La risposta dei golpisti, le opportunità per i gruppi jihadisti

Alcune settimane dopo il putsch, il Niger ha sofferto un attacco particolarmente significativo. Il 15 agosto, un distaccamento delle forze speciali nigerine è stato attaccato sulla strada che collega le città di Boni e Torodi, nel distretto di Tillabéri, circa 60 km a ovest di Niamey, in direzione del confine con il Burkina Faso. Stando a fonti del Ministero della Difesa, almeno 17 soldati sono stati uccisi e 20 feriti, in quello che è stato l’attacco più letale degli ultimi sei mesi. Qualche giorno prima, sei soldati della Guardia Nazionale erano stati uccisi in questo distretto, la principale zona di insurrezione locale nella già citata regione della “tripla frontiera.”

Nei giorni seguenti, le autorità nigerine hanno reagito. Stando a quanto riportato dall’ agenzia di stampa statale Agence Nigérienne de Presse (ANP), il 22 agosto l’esercito ha ucciso un numero imprecisato di militanti sempre nel distretto di Tillabéri, inclusi diversi noti leader dello Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), distruggendo altresì circa 200 moto e cinque veicoli usati dai militanti. Stabilire un collegamento diretto tra l’attacco di metà agosto e il colpo di stato è probabilmente eccessivo.

Considerando queste premesse, il colpo di stato e il relativo periodo di assestamento – la cui durata è chiaramente da definire – rappresenta un’opportunità per i gruppi jihadisti operanti in Niger e più in generale nel Sahel per rivedere le proprie opzioni e sfruttare tale finestra di relativa incertezza per rafforzare le proprie posizioni sul terreno. Le implicazioni sono varie, in tal senso. In primis, ad esempio, qualora ci dovesse essere realmente un intervento armato regionale per ristabilire l’ordine costituzionale in Niger, le forze armate nigerine si concerterebbero necessariamente sul conflitto, lasciando ulteriore spazio alle forze jihadiste per rafforzarsi nel paese.

Va sottolineato come la rivalità tra i gruppi qaedisti e dello Stato Islamico porta entrambe le fazioni a vedere nel colpo di stato un’opportunità per riportare anche qualche vittoria sui propri rivali.

In tal senso, c’è una dinamica paradossale: questa rivalità crea insicurezza, perché porta questi gruppi a combattere tra di loro coinvolgendo i civili; ma al tempo stesso riduce la portata sistemica della minaccia jihadista, che sarebbe ben più significativa se le varie sigle locali lavorassero insieme.

Il golpe servirà da collante tra i vari gruppi del jihad?

Alcuni militanti jihadisti sono consci di quanto queste divisioni rappresentino un elemento di debolezza. Infatti, non è un caso che – nelle settimane successive al colpo di stato – nel Sahel siano iniziati a circolare audio che suggerivano la nascita di un nuovo gruppo jihadista, frutto di una scissione all’interno di JNIM – Jama’at Wahdat Muslimeen (Gruppo dell’Unità dei Musulmani). Questi sviluppi hanno richiamato le fazioni locali all’unità e alla fine delle ostilità tra le forze di al-Qaeda e quelle dello Stato Islamico, sostenendo che ciò servirebbe sia a “preservare il sangue dei musulamni, particolarmene di quelli ordinari, uccisi giorno e notte senza colpa alcuna” e di unire le forze per “salvarli” e combattere contro i governi locali che usano le milizie Dozo, dei Volontaires pour la défense de la patrie e Wagner.”

Sebbene la portata di questi messaggi e di queste dinamiche resti in larga parte ancora da definire, il fatto che movimenti di questo tipo realizzino appelli specifici all’unità delle forze jihadiste locali, suggerisce che il colpo di stato in Niger ha – quantomeno – rappresentato un momento per questi gruppi di riflessione strategica e di riassestamento tattico.  Se queste forze  riusciranno a compattare il fronte delle fazioni jihadiste, si rischierà di entrare in una fase dove, nel Sahel, questi gruppi possono diventare una minaccia nettamente più strutturata, e strutturale, di quanto essi non siano da divisi.

Foto di copertina EPA/ISSFOU DJIBO

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