L’Ue prova a rilanciare la cooperazione con l’America Latina

Una settimana fa si è tenuto a Bruxelles il Summit tra Unione europea e Celac (Comunità Economica dei Paesi dell’America Latina e i Caraibi). È stato il primo appuntamento di alto livello tra le due regioni dal 2015, dopo la cancellazione di quello previsto a El Salvador nel 2017, dovuta alle crescenti tensioni intra e interregionali riguardo la crisi politica in Venezuela. I cambiamenti intercorsi a livello internazionale – la pandemia, la guerra in Ucraina, ma anche le crescenti tensioni tra Usa e Cina – hanno suscitato l’urgenza di rinnovare il dialogo politico bilaterale tra le due organizzazioni. Il Summit si è concluso con una dichiarazione congiunta di 41 punti, sottoscritta da tutti i 60 paesi tranne il Nicaragua, che risalta chiaramente i punti di convergenza (lotta al cambiamento climatico e transizione energetica, per esempio) ma anche le questioni su cui i due blocchi divergono (alcuni accordi commerciali e la questione ucraina su tutti).

La guerra in Ucraina: una piccola vittoria per l’Europa

Il conflitto in Ucraina ha spinto i paesi europei a diversificare il proprio approvvigionamento energetico, ma anche a cercare supporto internazionale nel condannare la Russia e associarsi alle sanzioni nonché all’invio di armi all’Ucraina. Sebbene la maggior parte dei paesi latinoamericani abbia riconosciuto l’invasione di un paese sovrano come una violazione del diritto internazionale, nessuno si è mostrato favorevole a unirsi alla risposta occidentale, e alcuni hanno adottato una posizione di apparente neutralità (Brasile e Honduras), mentre altri hanno difeso apertamente le posizione russe (Venezuela e Nicaragua in particolare).

Le ragioni variano di paese in paese: il Brasile di Lula punta a mantenere un margine di manovra per giocare un ruolo di facilitatore o addirittura mediatore in un ancora lontano processo di pace; il partito al governo in Honduras deve molto alla Russia di Putin per il supporto negli anni che sono seguiti al colpo di stato contro Manuel Zelaya, sposo dell’attuale presidente Xiomara Castro; il Venezuela ha contato sulle relazioni commerciali con la Russia per evadere le sanzioni imposte dagli Stati Uniti negli ultimi anni, mentre Daniel Ortega in Nicaragua deve ormai la sua sopravvivenza politica allo scudo geopolitico russo, di fronte a un crescente isolamento internazionale.

La questione ucraina ha rischiato di far deragliare la firma della dichiarazione congiunta. I paesi europei sono riusciti a strappare da quelli latinoamericani il riferimento alla guerra “contro” l’Ucraina, e non semplicemente “in” Ucraina. Il riferimento implicito all’invasione è però arrivato a discapito di una condanna aperta alla Russia, la quale non viene menzionata nel documento. Ciononostante, i riferimenti alla guerra nonché all’integrità territoriale possono essere considerati una piccola vittoria europea, anche se l’opposizione del Nicaragua ha rovinato l’anelata unanimità, lasciando però il paese centroamericano più isolato che mai, perfino nella sua regione di appartenenza.

Punti d’accordo e i paletti latinoamericani ai riferimenti

La dichiarazione evidenzia un forte interesse comune ai due blocchi di rafforzare la collaborazione diplomatica nei fori multilaterali, accelerare la transizione verso l’energia pulita e la cooperazione internazionale per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Su quest’ultimo tema, i paesi latinoamericani hanno spinto per riconoscere in qualche modo la responsabilità storica dei paesi sviluppati in quanto all’emissione di gas serra che l’hanno accentuato, esortandoli a raggiungere l’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari per finanziare l’adattamento di quelli in via di sviluppo.

Allo stesso tempo, probabilmente su insistenza dei paesi latinoamericani, i riferimenti alla democrazia e i diritti umani rimangono generici, senza alcun riferimento alle violente repressioni delle proteste avvenute in questi anni nella regione, su tutte quelle in Nicaragua, Perù, Venezuela e Cuba, mentre il documento reitera in varie occasioni il rispetto alla “sovranità” e il principio di non intervento in questioni domestiche. Cuba viene anzi usata per condannare velatamente la politica di sanzioni unilaterali degli Stati Uniti. Assenti anche i riferimenti alle derive autoritarie in America Centrale, il Venezuela trova invece spazio con una breve esortazione al governo e all’opposizione a riprendere un dialogo costruttivo nel processo di negoziazione ospitato dal Messico. L’incontro ai margini del Summit tra la vice presidente del Venezuela, Delcy Rodríguez e un portavoce dell’opposizione, Gerardo Blyde, accompagnati dai presidenti di Argentina, Brasile, Colombia e Francia, e dall’Alto Rappresentante Josep Borrell è stato simbolicamente importante per rinnovare il sostegno internazionale a un processo impantanato che è cruciale per assicurare che le elezioni del 2024 aiutino il paese a superare e non approfondire ulteriormente la crisi politica.

Commercio: un duro bagno di realtà

Un altro tema sul quale i paesi europei avrebbero sperato di fare progressi maggiori, e magari annunciare qualche accordo, è sicuramente quello del commercio. L’Unione europea è in procinto di aggiornare gli accordi di associazione con Cile e Messico, e ha rilanciato le conversazioni con il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay) per ratificare l’accordo di libero scambio firmato nel 2019 dopo 20 anni di negoziati. I paesi del blocco hanno però espresso le loro preoccupazioni riguardanti le misure unilaterali introdotte negli ultimi anni dall’UE da politiche quali il Green New Deal, che pergiudicano l’accesso ai benefici dell’accordo. Mentre per il Messico e il Cile le parti risaltano speranzose i progressi fatti in questi mesi, il riferimento al Mercosur si limita a un impietoso “prendere appunti del lavoro in corso”. Ciononostante, il Summit è stato anche un’occasione per l’UE di promuovere la sua iniziativa di partnership e investimenti strategici nota come Global Gateway la quale, secondo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, porterà 45 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati, soprattutto nel settore delle energie rinnovabili.

Un punto di partenza

Il Summit di Bruxelles non può certamente essere considerato un successo. Le negoziazioni sulla dichiarazione finale hanno fatto trasparire le profonde divisioni che intercorrono tra i due lati dell’Oceano Atlantico. In particolare, i paesi latinoamericani hanno confermato che sulla questione ucraina altre aree del mondo preferiscono mantenere un coinvolgimento molto minore a quello che spererebbero gli europei.

Complessivamente, i due blocchi sono riusciti a scongiurare il peggio, ovvero che le differenze prevalessero. Riavviare un dialogo politico di alto livello congelato da 8 anni non è impresa da poco, e i leader di entrambe le compagini dovrebbero considerare i risultati del Summit come punti di partenza per rinnovare una partnership che, in fin dei conti, è cruciale per entrambi. Per gli europei, l’America Latina è fondamentale per assicurarsi l’accesso ai materiali critici necessari per la transizione verde, ma anche per difendere un ordine globale basato sulle regole, e combattere i traffici illeciti che interessano entrambi le regioni. Per i paesi della CELAC, l’Unione Europea è il terzo polo ideale per non rimanere schiacciati nella morsa della competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Resta da vedere se i due blocchi saranno in grado di trasformare gli intenti dichiarati in azioni pratiche nelle aree di interesse comune, e se saranno in grado di sviluppare meccanismi di dialogo tecnico che permettano di monitorare i progressi.

Foto di copertina EPA/OLIVIER MATTHYS

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