Le novità del Documento Programmatico della Difesa 2023-2025

È stato finalmente pubblicato il Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa per il 2023-2025, il primo firmato da Guido Crosetto. Si tratta del testo che il ministro della Difesa presenta annualmente al Parlamento, di regola a primavera, indicando le linee di sviluppo e le previsioni di spesa del Dicastero per l’anno in corso ed il biennio successivo, in linea con quanto approvato dalla precedente Legge di Bilancio.

Da una “incisiva azione di rinnovamento” della struttura del Ministero a una riorganizzazione funzionale che guardi soprattutto alla dimensione interforze, dalla ricerca e procurement militare all’innovazione tecnologica e industriale: queste alcune delle principali vie presentate per rafforzare l’architettura di sicurezza nazionale, soprattutto alla luce del contesto geopolitico attuale, caratterizzato da una “instabilità pervasiva”.

La scelta della Difesa 

Nella visione complessiva del Dpp spicca la priorità del primo compito di legge delle forze armate, la difesa dello Stato, rispetto alla gestione delle crisi e alle attività concorsuali a favore di altre pubbliche amministrazioni. Una scelta ragionevole alla luce della guerra russo-ucraina, cui sono giunti altri Paesi europei come la Francia che pure hanno impegnato le proprie forze armate sul territorio nazionale e all’estero in chiave anti-terrorismo. Scelta da cui logicamente dovrebbe derivare il ridimensionamento se non la chiusura dell’operazione Strade Sicure, che impegna ben 5.000 unità dell’esercito in attività che sono piuttosto di competenza di Carabinieri e polizia, danneggiando preparazione e prontezza dello strumento militare.

L’accelerazione interforze: programmi, logistica e addestramento

Un elemento chiave in questo contesto è il passaggio da una visione frammentata delle Forze Armate a un approccio interforze, considerato uno dei principali obiettivi del triennio e in linea con gli auspici e gli sforzi dalla legge Andreatta in poi. Un passaggio da realizzare con programmi che nascono interforze e permettono quindi di “conseguire maggiore efficienza operativa e credibilità strategica”.

L’idea è di cercare un bilanciamento tra le componenti e sviluppare nuovi progetti quali la creazione di “poli logistici interforze nel Mediterraneo Allargato” ed entro il 2026 di una “Forza nazionale con capacità multi dominio, modulare, scalabile e proiettabile, opportunamente dimensionata per le operazioni nei cinque domini, logisticamente autonoma e sempre integrabile in dispositivi multinazionali, capace di condurre un’operazione interforze autonoma, su scala regionale e di durata limitata”.

In questo percorso interforze, l’organizzazione di attività addestrative rimane una priorità – nonostante le spese per l’addestramento rimangano insufficienti –, e l’esercitazione Joint Stars coordinata dal Comando operativo di vertice interforze svolta a maggio di quest’anno ne è stata un ottimo esempio, impiegando 900 mezzi e circa 5000 uomini e donne proveniente da tutte le diverse Forze Armate (e dalle componenti civili) in una vera e propria simulazione di conflitto.

Novità per lo spazio e le operazioni cyber

Il documento sottolinea inoltre l’importanza di sviluppare capacità – soprattutto interforze – negli ormai già consolidati domini trasversali dello spazio e del cyber, nonché nella dimensione underwater vista la crescente necessità di proteggere le infrastrutture critiche marittime. L’ambiente sottomarino è infatti strettamente legato alla blue economy, di grande importanza per l’Italia (basti pensare che Il 64% delle importazioni e il 50% delle esportazioni italiane sono trasportate via mare) e ne va quindi assicurata la sicurezza e stabilità.

La sicurezza nazionale passa dunque anche per le orbite e il cyberspazio. L’apparato militare dovrà infatti essere in grado di garantire la difesa degli interessi nazionali nello spazio, assicurando l’operatività degli assetti spaziali italiani e proteggendoli da minacce cinetiche e non cinetiche. Per coordinare al meglio gli sforzi in tal senso, è stata adottata dallo Stato Maggiore della Difesa la “Strategia Spaziale della Difesa”, importante documento di indirizzo da cui discendono tre obiettivi strategici ripresi e resi pubblici dal Dpp: evolvere le capacità militari vitali per fornire supporto spaziale alle operazioni sulla Terra, per raggiungere una superiorità informativa; conseguire una capacità  di Space Domain Awareness (Sda) a monte della condotta di operazioni spaziali, sfruttando le sinergie tra mondo militare e commerciale; e consolidare l’autonomia di operare satelliti sviluppando una capacità di lancio reattivo (responsive launch), nell’ottica di “difendere l’operatività degli assetti di interesse”. Aver incluso tali elementi nel Dpp serve a dare un chiaro indirizzo sull’attuazione concreta della Strategia Spaziale della Difesa.

Per lo spazio cibernetico, invece, il documento mira “all’ammodernamento della rete informatica” e alla possibilità di agire tramite operazioni cyber. La capacità di operare in questo dominio è vista infatti come “uno dei fattori più significativi alla base dell’esigenza di evolvere verso un nuovo paradigma della sicurezza sempre più connesso con lo sviluppo tecnologico”. Per questo la Difesa articola la sua strategia cyber in tre punti: innovazione, collegata alla gestione e sfruttamento delle nuove tecnologie digitali; resilienza, che assicuri adeguati interventi per l’eventuale ripristino dei sistemi; e contrasto alla minaccia, consolidando “la capacità di pianificare e condurre operazioni cibernetiche offensive e difensive”. L’esplicito obiettivo di poter effettuare operazioni offensive è un importante passo in avanti per l’Italia, in linea con quanto fanno da anni Francia, Regno Unito e Stati Uniti in un dominio operativo in cui limitarsi alla difesa passiva è un approccio perdente in partenza.

I complicati fondi per la difesa e il miraggio del 2% del PIL

Secondo il Dpp fondi destinati alla Difesa per il 2023 ammontano a circa 27,75 miliardi di euro, corrispondenti all’1,38% del Pil nazionale, in aumento in valore assoluto rispetto ai 25,9 miliardi del 2022 pur mantenendo pressoché invariata la percentuale investita del Pil. Le previsioni però si abbassano nei prossimi anni, in controtendenza rispetto a tutti i Paesi NATO, con un 1,30% del Pil nel 2024 e l’1,26% nel 2025. I numeri cambiano parzialmente a seconda di come si considerano le spese per i Carabinieri, forza armata che però si occupa di sicurezza interna, e quelle per le pensioni dei militari, ma sostanzialmente non si prevede un aumento significativo nei prossimi anni per il bilancio della difesa, né al suo interno per la voce esercizio importantissima per addestramento ed esercitazioni delle forze armate.

Emerge quindi dal documento come l’avvicinamento alla soglia del 2% concordata dall’Italia in ambito NATO nel 2014 sia “ancora lontano” dal preannunciato raggiungimento nel 2028 (traguardo di per sé già 4 anni posteriore all’obiettivo del 2024 inizialmente sottoscritto da Roma), con conseguente danno per la posizione e la credibilità dell’Italia all’estero.

La sinergia difesa-industria e i principali programmi

Il Dpp rimarca come il successo nello sviluppo di capacità militari sia legato a doppio filo all’industria del settore, che rappresenta un “asset strategico” per il sistema Paese. Tra le maggiori priorità della Difesa vi è dunque la promozione di una “rinnovata sinergia” con l’Industria nazionale, che dovrà evolvere verso un vero e proprio “Sistema Difesa”. Da parte militare bisognerà concentrare gli investimenti “su programmi moderni, tecnologicamente avanzati, che stimolino la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie da impiegare nelle future piattaforme e nei futuri sistemi”. L’industria, dall’altro lato, dovrà “rispondere in modo quanto più rapido e adeguato possibile alla domanda” cercando opportunità di crescita in collaborazioni solide, anche a livello internazionale, volte a rendere i propri prodotti più competitivi sul mercato globale.

Tra i programmi di procurement, ne figurano alcuni che hanno catturato un’importante quota di investimento. Tra cui il già avviato sistema aereo di sesta generazione Global Combat Air Programme (Gcap), che ha ricevuto una dotazione pari a circa 5 miliardi di euro. In base alle previsioni, il progetto verrà completato nel 2037 e sono previsti dal 2028 ulteriori 7,7 miliardi di stanziamenti nazionali, a testimonianza dell’impegno italiano di voler contribuire al pari dei partner (Giappone e Regno Unito).

È anche previsto l’ammodernamento delle capacità di difesa aerea e missilistica a media portata con un programma per cui è stato deciso uno stanziamento di 1,1 di miliardi di euro, realizzato in armonia con il sistema NATO, e che prevede tra gli altri l’acquisizione di SAMP/T.

Tra i programmi di previsto avvio, i più significativi sono quelli dell’Esercito volti al rafforzamento della componente pesante con l’acquisto dei Leopard 2, grazie a un investimento pari a 2,6 miliardi (a fronte di un fabbisogno totale di circa 4 miliardi di euro fino al suo completamento nel 2037), e al rinnovamento della famiglia di sistemi d’arma della componente pesante della fanteria, cui sono stati destinati più di 1,6 miliardi di euro.

Considerato il programma ambizioso che contempla molti e importanti nuovi programmi di procurement, per un totale di 33 programmi di ammodernamento in aggiunta ai 193 già in corso, è legittimo il dubbio che i finanziamenti a disposizione non riusciranno a soddisfare le diverse esigenze della Difesa se non si inverte il trend discendente previsto dal Dpp per il 2024 e 2025. Scelte, accelerazioni e novità introdotte da questo documento hanno bisogno di una programmazione finanziaria di medio periodo solida e sostenibile.

Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI.

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