L’Ue e la Nato

A pochi giorni dal Summit di Washington, la tanto auspicata cooperazione tra Nato e Ue e la potenziale “divisione del lavoro” tra le due istituzioni sconta ancora il prezzo dovuto a vari fattori: la complessità delle relazioni transatlantiche, l’inevitabile dose di competizione tra le due organizzazioni, le partite politiche che gli Stati membri appartenenti a entrambe scelgono di giocare in un formato o in un altro e che non sempre facilitano la cooperazione.  

Guardando il bicchiere mezzo pieno, gli sconvolgimenti nel contesto della sicurezza europea hanno portato a una divisione del lavoro tra Nato e Ue di default. Ucraina, “fattore tempo” e fattore “America First” chiariscono, a oggi, molti punti del rapporto tra le due e di come si delineeranno i loro rispettivi compiti in futuro.

La NATO è più pronta, l’UE sta migliorando

L’invasione russa dell’Ucraina è stata uno stress test per la Nato e per l’Ue, facendo emergere una grossolana, ma innegabile di fatto, divisione del lavoro dettata dalla contingenza. La Nato si è rivelata infatti tra le due quella più capace di assicurare nei tempi richiesti dal contesto strategico i compiti di deterrenza e difesa collettiva, e di avere un’adeguata struttura e volontà politica per farlo, con una catena di comando idonea, forte di 75 anni di esperienza, gran parte dei quali in chiave anti-Mosca – e della guida, coordinamento e spinta alla coesione forniti dagli Stati Uniti di Joe Biden. Il momento chiarificatore post-Ucraina ha riguardato anche il mercato di difesa dell’Ue e la solidità dell’industria di difesa europea. In un trend di aumento di spesa e investimenti in difesa, i paesi Ue hanno ampiamente scelto, per svariate ragioni, di acquistare sistemi d’arma extra-Ue (per la maggior parte americani, ma anche sudcoreani e israeliani). 

Questo non vuol dire che l’Ue non stia facendo un salto di qualità nella dimensione della sicurezza e della difesa. In risposta alla crisi ucraina, l’Unione ha saputo utilizzare in maniera creativa gli strumenti esistenti a sua disposizione e all’occorrenza crearne di nuovi.  L’apprendistato dell’Unione nell’imparare a utilizzare il “linguaggio del potere”, come suggerito dall’Alto Commissario per la politica estera e di sicurezza Josep Borrel, ha una tempistica che si scontra tuttavia con la realtà geopolitica e il quadro di sicurezza in cui l’Ue è immersa. Ed è proprio questo il “fattore tempo”.

Tra rafforzamento della difesa europea e fattore America First

L’Ue dovrebbe proseguire nel percorso di rafforzamento della sua dimensione di difesa, in chiave tanto di potenziamento del pilastro europeo nella Nato, quanto di maggiore autonomia strategica, fondamento per essere in grado di provvedere maggiormente alla propria sicurezza aldilà di chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Tuttavia questo processo, nelle sue declinazioni politiche e decisionali, strategiche e operative, industriali e tecnologiche, mostrerà i suoi frutti, nelle circostanze attuali, nel migliore dei casi nel medio termine. L’operazione Aspides a difesa della libertà di navigazione nel Mar Rosso è un ottimo esempio di missioni con obiettivi di sicurezza, per ora limitate, che gli europei devono essere in grado di predisporre autonomamente. E rappresenta bene il livello di maturità dell’Ue come attore geopolitico a se stante e del ruolo che, a oggi, gli può essere delegato nel vicinato meridionale. Si tratta di un impegno complementare e ben diverso per scala di grandezza rispetto all’ambizione dietro al nuovo Nato Force Model, che dovrebbe portare a un dispiegamento di 100,000 unità nell’arco di 10 giorni e fino a 500,000 unità entro 30-180 giorni. 

Per quanto riguarda il fattore America First, gli Stati Uniti hanno considerato negli ultimi due decenni il tema della difesa europea con un’ambiguità intrinseca. La posizione americana è oscillata infatti tra la richiesta di maggior burden-sharing e quindi il raggiungimento del 2% del Pil dedicato alla difesa, alla spinta affinché gli investimenti finanziati con questa spesa non andassero a rafforzare le capacità industriali europee, ma piuttosto venissero utilizzati per comprare equipaggiamenti americani. In vista delle elezioni statunitensi di novembre, nel caso si verifichino i peggiori scenari legati ad esempio a Taiwan, chiunque sieda alla Casa Bianca potrebbe dover ridurre il proprio impegno nella sicurezza europea. In questo contesto, il recente accordo di mutua difesa tra Russia e Corea del Nord contribuisce a complicare il quadro di stabilità regionale e a puntare gli occhi di Washington sull’Indo-Pacifico, mettendo in allarme partner strategici della Nato – e di recente importanti fornitori di sistemi d’arma e di cooperazione tecnologica – come la Corea del Sud e il Giappone. Una presidenza Trump in questo caso potrebbe fungere da acceleratore di determinate dinamiche, che si potrebbero tuttavia comunque verificare sotto una seconda presidenza Biden, magari più diluite nel tempo, ma dettate da fattori esterni che persino Washington potrebbe subire più che guidare.

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