I cocci dell’autonomia strategica Ue alla luce della guerra in Ucraina

L’invasione russa dell’Ucraina è stata una doccia fredda, ma anche un momento chiarificatore per le aspirazioni legate al concetto di autonomia strategica dell’Ue. Da un lato, la guerra in Ucraina ha reso evidente la superiorità della Nato in compiti vitali quali la difesa collettiva e la deterrenza, dimostrando che, quando c’è in gioco un conflitto militare con la Russia, l’autonomia strategica dell’Ue può applicarsi per ora alla sfera politica, ma certamente non a quello della difesa. 

D’altro canto, il conflitto ha anche dimostrato quanto sia urgente il rafforzamento della difesa dell’Ue, in termini di capacità, processi decisionali e strutture, rendendone molto tangibili le ragioni, in due direzioni di sviluppo complementari: come pilastro europeo all’interno della Nato e come attore più capace e autonomo nell’ambito della sicurezza internazionale. La dipendenza dalla guida degli Stati Uniti nel contesto dell’aggressione all’Ucraina ha messo in luce, tuttavia, le debolezze e le contraddizioni dell’Ue nel campo della difesa. Nonostante la capacità dell’Unione e degli Stati membri – tutt’altro che scontata –di reagire, coordinarsi, utilizzare strumenti esistenti in maniera non convenzionale (come il Fondo europeo per la pace, ma prima ancora la PESCO), accelerare la messa a disposizione di strumenti già previsti (ad esempio la Strategia spaziale per la Sicurezza e la Difesa dell’Ue), o di crearne di nuovi, alla base rimangono delle questioni strategiche cruciali a cui dare una risposta.

La strategia europea in equilibrio tra la politica statunitense e gli obiettivi russi

La prima è che gli europei sono in una situazione strategicamente poco sostenibile, ovvero ridotti ad osservare le elezioni statunitensi nella speranza che l’architettura di sicurezza europea non crolli come un castello di carte di fronte una possibile rielezione del candidato Trump. La seconda è che le aspirazioni di maggiore autonomia strategica si scontrano con la posizione e gli obiettivi revisionisti della Russia. Sembra oramai chiaro che per Mosca la posta in gioco in Ucraina è molto alta, così come il prezzo che il Cremlino è pronto a pagare per prevalere. Se attraverso l’invasione dell’Ucraina la Russia sta cercando di riaffermare il suo status di grande potenza a livello internazionale, e di seguito tornare ad esercitare un’influenza non solo sui Paesi che erano parte dell’Urss, ma disturbare anche gli Stati dell’ex Patto di Varsavia, tale fine è incompatibile con le aspirazioni di autonomia strategica dell’Ue: proprio per questo l’Unione dovrà considerare anche un tale scenario, se vorrà rapportarsi efficacemente con Mosca in futuro. I risultati europei si misureranno, in ultima istanza, anche dalla capacità dell’Ue di definire o meno una strategia globale e coerente nei confronti della Russia, strategia che attualmente manca.

Il concetto di autonomia strategica aperta

Intanto, di fronte al test dell’invasione russa, si è affermata una versione più pragmatica del concetto stesso, ovvero quello di “autonomia strategica aperta”, drammaticamente avvallato dallo stato degli arsenali, dagli stock di equipaggiamenti in rapido esaurimento, dalla lentezza nella produzione e fornitura di munizioni e dalle difficoltà nel processo decisionale dell’Ue basato sull’unanimità. L’aggettivo “aperta” riconosce l’esistenza di legami degli Stati membri e della base tecnologica e industriale della difesa dell’Unione con importanti partner extra-Unione, come gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Norvegia. 

L’Ue, e in particolare la Commissione, si è negli ultimi anni fatta portatrice di una proliferazione di strategie, iniziative e strumenti nel campo della difesa, in parte annunciati dalla Bussola strategica dell’Ue e in parte antecedenti come il Fondo europeo di difesa. Nessuna di queste iniziative affronta tuttavia questioni politiche cruciali e sottostanti: la difficoltà del Consiglio dell’Ue a raggiungere l’unanimità, l’assenza di una politica di difesa comune e di un’adeguata struttura decisionale che potrebbe essere soddisfacente (efficace e sufficientemente rapida) sia per gli Stati membri che per le istituzioni dell’Unione. Anche i membri più favorevoli all’integrazione e alla cooperazione nel settore della difesa sono, in pratica, ancora riluttanti, quando l’integrazione tocca la loro politica estera, i loro interessi economici, industriali e tecnologici. Da un punto di vista operativo, ciò si traduce anche nella mancanza di un’adeguata catena di comando per le missioni militari europee e di un capo di stato maggiore della Difesa dell’Ue.

Le tendenze politiche europee tra visione comune e frammentazione

L’autonomia strategica rimane quindi in primis un fatto politico e nel percorso necessario verso una difesa europea persistono due tendenze opposte. La prima è una spinta, guidata dalle istituzioni dell’Unione, verso il consolidamento del European Defence Technology and Industrial Base (EDTIB) e verso l’emergere di una visione comune, stimolata dai nuovi strumenti lanciati dalla Commissione, come il Fondo europeo della difesa, l’European Defence Industrial Reinforcement through Common Procurement Act (EDIRPA), l’ASAP (e meno recentemente i progetti PESCO), dall’approvazione e attuazione di una serie di strategie relative alla sicurezza e alla difesa, e da un’analisi periodica delle minacce comuni che coinvolge anche l’intelligence. La seconda tendenza è quella della frammentazione, che riflette le preferenze dei singoli Stati membri, delle industrie nazionali e le dinamiche cooperativo-competitive tra le istituzioni e agenzie dell’Unione (Commissione/DG DEFIS, SEAE, EDA, EUSPA, Consiglio dell’Ue). La guerra ha esacerbato queste tendenze contrapposte che procedono in parallelo. Da un lato è quindi aumentato l’attivismo dell’Unione, in particolare della Commissione, nel promuovere strumenti ancora da valutare nella loro efficacia. Dall’altro, il sostanziale aumento della spesa per la difesa di attori chiave, come la Germania o la Polonia, non si è tradotto di fatto in più procurement collaborativo intra-UE, in quanto è stato utilizzato principalmente per acquistare sistemi d’arma da fornitori extra-UE o nazionali.

In questo quadro, la proposta di creare una figura di Commissario Ue per la difesa che sta recentemente circolando a Bruxelles, insieme all’istituzione di un Consiglio di sicurezza dell’Ue, va nella direzione di un superamento dell’impasse decisionale insita nell’attuale architettura istituzionale dell’Unione. All’orizzonte ci sono vari appuntamenti che determineranno gli esiti di questo processo, dalle elezioni europee a giugno a quelle americane in autunno. Nella sua storia, l’Ue è sempre riuscita ad adattarsi alle sfide esterne e reagire approfondendo integrazione e cooperazione. Dovrà farlo anche questa volta, in un settore come la difesa che è, per certi versi, quello definitivo.

Questo articolo anticipa un capitolo dello studio IAI che sarà presentato in una conferenza pubblica a Roma il prossimo 20 febbraio.

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