L’ora di Benjamin Netanyahu

“Stavolta l’ha combinata grossa, non sopravviverà politicamente. Mi ha deluso”. Ronen è il mio padrone di casa. Ebreo i cui antenati sono arrivati dall’Iraq, moglie americana, guida una macchina totalmente elettrica, ha fatto fortuna nelle costruzioni. Possiede appartamenti a Gerusalemme, Tel Aviv e altre città. Come molti, gira con una pistola.

È sempre stato un sostenitore di Benjamin Netanyahu. Nella chat del palazzo e in quella allargata alla strada di Gerusalemme, dove vivo, ha sempre strenuamente difeso Bibi, e quando non era in carica, criticava i governi del momento facendo campagna per lui all’approssimarsi delle elezioni.  “Stavolta è diverso – dice – non credo che lo sosterrò ancora. Per anni è stato l’unico che ci ha difeso, l’uomo del muro, del sistema anti razzo, quello che ha portato stabilità economica e sicurezza. L’unico che ci sembrava potesse rispondere alle nostre preoccupazioni per la sicurezza interna. Ed invece, quello che è successo il 7 ottobre mi ha fatto crollare tutto. Non me ne vado perché abbiamo lottato per riavere questo paese, questa terra è nostra, da sempre. È la nostra casa. Ma vederla violata in questo modo è davvero troppo. È triste doverlo ammettere, Netanyahu è il colpevole“.

L’idillio tra il più longevo primo ministro nella storia di Israele e il suo popolo, sembra oramai definitivamente finito. L’uomo che è stato capace dell’impensabile, di stringere patti con i paesi arabi, di arrivare addirittura a paventare un accordo con uno dei nemici storici, l’Arabia Saudita, oggi, politicamente parlando, è un morto che cammina. Lo sa bene, e le sue ultime uscite senza senso, come le accuse mosse ai servizi segreti per quanto successo il sette ottobre, senza assumersi in prima persona alcuna responsabilità (accuse poi ritirate e per le quali si è scusato), rappresentano proprio questo momento di difficoltà.

Israele sfiducia Bibi

Un sondaggio del Dialog Center, pubblicato dal Jerusalem Post, ha mostrato che il 94% degli intervistati ritiene che il governo di Netanyahu abbia almeno una parte di responsabilità per l’assenza di adeguate misure di sicurezza che hanno portato al massacro del 7 ottobre, mentre il 56% degli intervistati ha affermato che dovrebbe dimettersi dopo che la guerra è finita. Nel frattempo, il sostegno a Netanyahu è diminuito considerevolmente; un altro sondaggio condotto da istituti di ricerca israeliani, mostra che solo il 29% degli intervistati lo sceglierebbe come primo ministro preferito, secondo Bloomberg.

Gli israeliani sono pronti a perdonare tutto, ma non le falle sulla sicurezza. Era successo già a Golda Meir dopo l’attacco a sorpresa in occasione della festa dello Yom Kippur nel 1972. Guerra vinta ma che le costò il premierato. Dopotutto, Benjamin Netanyahu si è sempre presentato come Mister Sicurezza, ha fatto di questo argomento il cardine di tutte le sue campagne elettorali. Eppure, è proprio su questa che Netanyahu pagherà il prezzo più importante della sua carriera politica.

In un paese che fa della prevenzione il suo credo, con l’Iron Dome, il sistema missilistico e il muro che contiene gli ingressi dalla Cisgiordania, il fatto che oltre mille miliziani entrino indisturbati da Gaza e massacrino quasi 1500 israeliani di ogni sesso ed età e se ne portino nella Striscia 230, è davvero inaccettabile per la popolazione.

Errori strategici su Hamas

Non è soltanto un fallimento dell’intelligence, una delle più quotate al mondo e che si è presa le proprie responsabilità, come pure il ministro della difesa. Ma è anche un problema strategico recente e più vecchio. Il governo Netanyahu è appoggiato da alcuni partiti di estrema destra che hanno nei coloni la loro base elettorale. Un movimento che non vorrebbe nessun arabo in questa terra martoriata e che promulga la costruzione di nuove colonie illegali. Visto che quest’anno era già segnato come uno dei più tragici per il numero di vittime negli scontri con i palestinesi nei territori occupati, a difesa di queste colonie, il ministro della sicurezza interna, più di un alleato di Netanyahu (anche se spesso una presenza troppo ingombrante) aveva spostato qui diverse truppe, che hanno fatto fatica a raggiungere i confini con Gaza, le città e i kibbutzim oggetti del massacro il 7 ottobre.

Per molti critici, però, il fallimento derivante dall’attacco di Hamas, non è dovuto solo a scelte sbagliate recenti, ma anche a errori strategici del premier negli ultimi anni. Soprattutto quando, per delegittimare l’Autorità nazionale Palestinese (che, a dire il vero, già era in autonomia sulla buona strada per non essere più rappresentativa del proprio popolo), ha in qualche modo potenziato Hamas, cercando di contenere i militanti con un misto di deterrenza militare e incentivi economici.

Neanche la vittoria nella guerra potrà salvarlo. Per lui c’è un’uscita onorevole, se dovesse ammettere di aver sbagliato e se dovesse vincere, annientando Hamas. Vittoria (come la sconfitta, nel caso) che condividerebbe con il suo ex premier a rotazione, ex capo di stato maggiore Benny Gantz che, dall’opposizione, ha accettato di entrare nel gabinetto di guerra. E già si parla del futuro, di una sua vita lontano da Israele, con l’ascesa del figlio Yair, che già si è fatto conoscere per molti commenti sui social, come suo possibile successore.

Foto di copertina EPA/ABIR SULTAN / POOL

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