La questione di Gaza e il problema della propaganda

Israele è in guerra. Lo ha detto chiaramente il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Dopo il massacro perpetrato da Hamas sabato 7 ottobre scorso, quando oltre un migliaio di miliziani hanno messo a ferro e fuoco i kibbutzim e le cittadine a ridosso della Striscia, uccidendo o prendendo in ostaggio chiunque, senza distinzione di sesso o di età, il paese ebraico ha risposto con forza, con pesanti bombardamenti su Gaza. Prodromo dell’attacco globale di terra, mare e cielo.

Israele è ferito nel profondo, e Bibi, come comunemente viene chiamato Netanyahu, ha promesso azioni forti e decisive. Gaza è stata isolata, privata di elettricità, cibo, acqua (anche se questa è stata poi ripristinata ieri), medicine.

E mentre i bombardamenti si susseguono sulla Striscia, a farne le spese sono i circa due milioni di abitanti di quel lembo di terra che combattono per la sopravvivenza. Ma Israele è deciso, stavolta, a togliere Gaza e soprattutto Hamas, di mezzo. Interpretando anche la volontà della gran parte dell’opinione pubblica israeliana.

Il conflitto continua

L’immagine dei corpi martoriati, straziati, offesi, nei kibbutzim e nelle città sul confine con la Striscia sono vive e presenti nelle menti della gente di Israele. Corpi portati in trionfo per le strade di Gaza, derisi; corpi di donne, bambini, anziani. E poi ci sono gli ostaggi. Ufficialmente si parla di 130, ma sarebbero, probabilmente, molti di più, tra i 150 e i 200. Persone di cui non si sa nulla. Quasi sicuramente sono stati portati con la forza dentro Gaza dai miliziani di Hamas e nascosti in tunnel sotterranei o in posti comunque molto nascosti.

Tra loro ci sono bambini, anziani, malati, persone che avrebbero bisogno di medicine. Le loro famiglie sono disperate. Temono anche che i loro cari in realtà possano essere morti, in ogni caso vorrebbero almeno sapere, avere un corpo su cui piangere. Un padre, che non trovava la figlia di otto anni, alla notizia che era stato ritrovato il suo corpo senza vita, ha detto di essere sollevato che la piccola fosse morta e non nelle mani dei macellai di Gaza.

Il tentativo di creare corridoi umanitari per cercare di portare fuori dalla Striscia la popolazione, compresi i cittadini stranieri lì presenti (volontari, religiosi, membri di Ngo e organizzazioni internazionali etc.) finora non ha dato esito. E più passano le ore più incombe la preoccupazione che un attacco di terra potrebbe portare a una carneficina.

La questione palestinese e i problemi della propaganda

Uno dei problemi è la propaganda. A parte le notizie false fatte circolare ad arte, le foto di una crudeltà inaudita, stupiscono Israele le manifestazioni pro Palestina viste in giro per il mondo. La questione di Gaza, è una questione palestinese nella questione palestinese. Ma, con i Territori occupati, c’entra poco o nulla.

Fino al 2005, gli israeliani vivevano nella Striscia, villaggi, kibbutzim, strutture. C’era un piano affinché diventasse la nuova Singapore. Come Gerico, che a quei tempi ospitava un rinomato casinò, circolavano molti soldi ed ora è diventata un cumulo di nulla, nonostante la millenaria storia, le ricchezze e la bellezza dei monumenti. Israele fece uscire anche con la forza tutti gli israeliani, molti dei quali indossarono la stella gialla, la stessa imposta dai nazisti. Israele pagò in termini politici, cambiò il governo. L’autorità palestinese che ne prese il controllo, indisse le elezioni, vinte l’anno dopo da Hamas. Un anno di incarico al leader del gruppo che controlla Gaza e Abu Mazen lo rimuove, con una guerra civile tra palestinesi che vedeva contrapposta Hamas e Fatah e che si concluse con oltre 300 morti e Hamas che prese il controllo della Striscia.

Da quel momento in poi, i rapporti sono sempre tesissimi, tant’è vero che l’Autorità Nazionale Palestinese non gira a Gaza neanche un euro degli aiuti che riceve dall’estero. Gaza quindi resta chiusa da Israele che la circonda a nord e a est, dall’Egitto a sud e da Hamas che la governa con piglio dittatoriale e pena di morte. Per entrare a Gaza, oltre al permesso di Israele, c’è bisogno di ottenere il permesso di Hamas e uno di loro accompagna sempre l’ospite. Per entrare nei Territori, non c’è bisogno di nulla. Quindi manifestare per la legittima liberazione e autodeterminazione dei palestinesi, significa manifestare contro Hamas.

Se poi si parte dal presupposto giustificativo che il massacro terrorista di sabato 7 ottobre sia il risultato dell’occupazione israeliana, non si può non applicare lo stesso principio e giustificare il bombardamenti su Gaza che sta portando Israele. Io credo, parafrasando il Mahatma, che occhio per occhio e il mondo diventa cieco. Anche perché se si comincia a ragionare se sia nato prima l’uovo o la gallina, in questi luoghi, non se ne esce, considerando che le evidenze storiche e archeologiche portano in una sola direzione.

foto di copertinaEPA/HAITHAM IMAD

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