La Knesset approva la riforma sulla giustizia

Nonostante ventinove sabati consecutivi di proteste con centinaia di migliaia di persone in piazza, nonostante la marcia di oltre settantamila da Tel Aviv a Gerusalemme, gli appelli internazionali, i tentativi di mediazione dell’ultimo minuto anche tra gli esponenti della maggioranza, nonostante l’operazione al cuore, Netanyahu ha segnato la sua vittoria personale e la contestata riforma della giustizia, voluta dal suo governo, ha visto l’approvazione della sua prima parte.

Un Paese diviso ma vivo

Dopo trenta ore di discussione, la Knesset ha approvato la cancellazione della clausola di ragionevolezza, il principio secondo il quale la Corte Suprema può revocare decisioni del parlamento e dell’esecutivo se le ritiene non ragionevoli. Il Paese è diviso: sono state convocate manifestazioni in tutte le grandi città per protestare contro l’abolizione della norma, i sindacati minacciano lo sciopero generale e aumentano le diserzioni volontarie tra i riservisti. La polizia ha disperso i manifestanti con i cannoni ad acqua ed operato arresti. Di contro, sostenitori di Netanyahu e del suo esecutivo si riuniscono per festeggiare. Gli apparati di sicurezza interna hanno aumentato l’allarme, in quanto il paese sta dando sensazione di vulnerabilità agli occhi dei nemici. Lo shekel si è indebolito e la borsa perso qualche punto.

Per Israele è un periodo di grande confusione, di dissidio interno. Ma anche di vitalità democratica. Israele è un paese che si riscopre vivo, che si batte per l’una o l’altra ragione. Il dissidio avrebbe potuto portare ad una vera e propria guerra civile, visto che anche l’esercito e molti apparati di sicurezza hanno preso posizione.

Ora la battaglia, dalle strade si sposta principalmente nelle aule del tribunale, dove a settembre si discuteranno sette ricorsi contro la legge approvata. Aule di quella stessa Corte Suprema i cui poteri la riforma della giustizia voluta da Netanyahu, vuole ridimensionare. Ed è in questo cortocircuito istituzionale il riassunto di questo scontro di poteri, tra il giudiziario e il legislativo. Il secondo decide di ridurre i poteri del primo, unico contraltare alle proprie decisioni. Approva una riforma che però viene appellata da terzi al potere giudiziario. Il quale si trova a discutere e decidere se una norma davvero limita i suoi propri poteri o no. E sulla base non di una costituzione, ma di leggi e consuetudini.

Punti fermi sulla riforma

La riforma della giustizia che il governo di Benjamin Netanyahu intende portare avanti, interessa principalmente l’istituto della Corte Suprema. Questa è l’unico contraltare rispetto al potere dell’esecutivo e del parlamento, dal momento che anche il presidente israeliano non ha potere di bloccare o rimandare indietro le leggi. Israele non ha una Costituzione ma 13 leggi fondamentali. Allo stato attuale la Corte Suprema Israeliana può annullare qualsiasi legge decisa dal governo con una maggioranza semplice. La Corte, che ha sede a Gerusalemme, è composta da 15 giudici nominati da una commissione di 9 membri: 3 dalla Corte stessa, 2 avvocati, 4 politici scelti dal governo (2 ministri, 2 parlamentari). Questo assetto, secondo l’attuale governo, comporterebbe un eccessivo sbilanciamento a favore del potere giudiziario su quello politico. L’obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici.

Altra intenzione della riforma voluta dal premier sarebbe di eliminare il potere della Corte Suprema di abolire le leggi approvate dal Parlamento. O meglio, la Corte potrebbe decidere di bloccarle, ma il parlamento, con la maggioranza semplice di 61 membri su 120, potrebbe ribaltare la decisione della Corte. La riforma prevede inoltre che le decisioni della Corte in materia di invalidità di una legge, anche di una legge fondamentale, vengano prese con una maggioranza di almeno l’80% e non più semplice. Altro punto di discordia riguarda gli incarichi dei consulenti legali dei ministeri, che non sarebbero più indipendenti sotto il controllo del ministero della giustizia, ma scelti con criteri politici e i cui pareri sono vincolanti. E poi, la questione della clausola di ragionevolezza, propria della common law, la cui cancellazione è stata già approvata ed entrata in vigore.

Di riforma giudiziaria si parla da tempo. Dopotutto, a molti sembrava strano, ad esempio, che due giudici su tre riuniti decidessero di bloccare e abolire un provvedimento di una maggioranza di parlamentari votati dalla maggioranza del paese, peraltro non sulla base di un dettato costituzionale, ma su un principio di ragionevolezza basato su consuetudini, prassi e simili.

Le alternative alla riforma Netanyahu

Quello che il paese necessita è che venga approvata una costituzione atta a dirimere qualsiasi dubbio. Anche perché la Corte avrà problemi a giudicare i ricorsi. La cancellazione della norma è stata fatta come emendamento ad una legge fondamentale, quella sul potere giudiziario appunto. La Corte non ha mai annullato una legge fondamentale fino ad ora. Due potrebbero essere le strade su cui muoversi per la discussione che, come interpretano diversi costituzionalisti israeliani, sono comunque di difficile percorribilità e facilmente nessuna delle due potrebbe alla fine portare alla cancellazione della norma votata dalla Knesset.

La prima possibilità sarebbe quella di contestare l’uso improprio dell’autorità costituente, che potrebbe essere invocato nei casi in cui la Knesset ritenga che una nuova Legge fondamentale, o un emendamento a una esistente, sia stata approvata per obiettivi ristretti e a breve termine. La seconda potrebbe essere quella di considerare l’emendamento costituzionale come incostituzionale, perché viola altre leggi fondamentali o si ritiene che violi l’essenza stessa dello stato come ebraico e democratico, come stabilito nella Dichiarazione di indipendenza.

Per cui la palla torna alla politica. Benjamin Netanyahu, dopo aver rifiutato qualsiasi compromesso, appena dopo l’approvazione della norma, si è detto più che disponibile a discutere con l’opposizione e a trovare un compromesso sulla parte restante della riforma.

Foto di copertina ABIR SULTAN

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