La difficile via d’uscita dei negoziati tra Russia e Ucraina

La coraggiosa resistenza del popolo ucraino ha cambiato le carte in tavola per Putin. Se prima del 24 febbraio l’operazione militare poteva mirare ad imporre all’Ucraina un Diktat concernente la sua collocazione geopolitica e il suo rientro nella famiglia pan-russa, insieme al riconoscimento della perdita della Crimea e di Donetsk e Lugansk, nelle settimane successive si è trasformata in una brutale spedizione punitiva e di conquista. L’accanimento nel terrorizzare e distruggere città a maggioranza russofona come Kharkov e Mariupol riflette la rabbia per non essere stati accolti a braccia aperte e la rinuncia a conquistare “le menti e i cuori” almeno della parte orientale del paese. Rimane solo la sottomissione con la forza.

Mosca sta pagando il prezzo della guerra

Mosca si trova a dover pagare un prezzo molto più alto del previsto. Non solo in termini di carri armati distrutti, che è il meno, ma anche di umiliazione per gli insuccessi militari, di sanzioni più pesanti di quanto messo in bilancio, di dipendenza dall’alleato cinese, di bare in arrivo dal fronte (ricordiamo il peso che hanno avuto al tempo della guerra in Afghanistan nel far scricchiolare il regime sovietico). Il compattamento dell’Alleanza Atlantica, lo spostamento di truppe Nato verso i paesi di prima linea e in particolare i Baltici, la decisione di Germania, Italia e altri di aumentare drasticamente le spese per la difesa sono risultati antitetici a quelli che Putin si prefiggeva con le sue proteste contro l'”accerchiamento” occidentale.

Una volta pagato questo prezzo, la guerra deve necessariamente fruttare di più quanto ad acquisizioni territoriali e/o limitazione della sovranità dell’Ucraina. Putin non può permettersi una sconfitta di fronte ad un avversario molto più debole. Gli rimane solo la fuga in avanti. Tanto più che l’ostracismo da parte dell’Occidente è ormai assoluto (“criminale di guerra”, ha detto Biden) e insanabile: da questo punto di vista non ha più niente da perdere.

Difficile, pertanto, che la Russia acconsenta a ritirarsi dai territori occupati dopo il 24 febbraio in cambio della neutralità e parziale smilitarizzazione dell’Ucraina.

Quali opzioni per Kyiv?

La disponibilità ad una rinuncia formale ad entrare nella Nato era già stata annunciata dal presidente ucraino. Meglio sarebbe stato se la avesse offerta prima dell’invasione, e se gli americani e Stoltenberg e altri leaders occidentali non avessero allora fieramente ribadito il diritto di ogni paese a scegliersi le alleanze: Putin si sarebbe visto ritirare il principale pretesto per l’aggressione e avrebbe forse accettato di sedersi ad un tavolo negoziale. Zelensky chiede in cambio una garanzia di Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia, che appare problematica, e il cui valore è comunque dubbio data la fine che ha fatto già nel 2014 la garanzia relativa all’integrità territoriale ricevuta a Budapest nel 1994.

Vari commentatori ed esponenti politici, nel raccomandare (a cose fatte) la rinuncia ad entrare nella Nato, si rifanno alla proposta di Henry Kissinger, del 2014: controbilanciare tale rinuncia con la piena e rapida ammissione all’Unione Europea. È quanto chiedono i tre premier recatisi a Kyiv per dare sostegno politico a Zelensky, il quale pretende addirittura che vengano bruciate le tappe in modo da compensare il popolo ucraino per le sue sofferenze. Si sottovaluta così il significato geopolitico negativo che Mosca annette all’espansione dell’Ue– non solo della Nato – nel suo cortile di casa.

Abbiamo dimenticato che la crisi del 2014, sfociata nell’annessione della Crimea e nella secessione del Donbass, era stata provocata dall’imminente firma dell’accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione? Se dunque sulla collocazione geopolitica del paese l’avvicinamento delle posizioni c’è ma è tuttora insufficiente, sulle concessioni territoriali è molto più difficile intravedere un punto di incontro. Zelensky si è mostrato possibilista sulla rinuncia formale a ciò che di fatto ha già perso da tempo: Crimea e repubbliche del Donbass. Ma su queste ultime persiste l’ambiguità: Mosca intende l’allargamento a tutto il territorio delle oblast’ (regioni) di Donetsk e Lugansk, Kyiv pensa probabilmente a un confine lungo l’attuale linea di contatto (la linea armistiziale dove si continua a combattere dal 2014). Altrimenti non si comprenderebbe la caparbia resistenza contro la presa di Mariupol, che fa parte della regione di Donetsk e ne è il naturale sbocco al mare.

Le ambizioni territoriali di Putin

Caduta Mariupol, il collegamento terrestre fra Rostov e la Crimea è ora completo, e il Mare d’Azov diventa un lago russo. È pensabile che la Russia se ne ritiri, se non nell’ipotesi di una sconfitta, o di una ancora più improbabile pace con piena riconciliazione? Per la diplomazia ucraina sarebbe già un successo salvare dall’annessione Odessa e lo sbocco al Mar Nero. Per la Russia, una volta conquistata metà della fascia costiera fra la Crimea e la Transnistria, è forte la tentazione di completare l’accerchiamento con una occupazione di lunga durata di tutta la striscia, meglio ancora con l’annessione. Una Ucraina privata dell’accesso al mare sarà un vassallo sempre ricattabile.

Quando Putin nega l’intenzione di occupare l’Ucraina, non esclude necessariamente quelle ipotesi.  È da presumere che si riferisca al paese nel suo insieme, che è comunque troppo vasto e ostile per essere controllato a lungo. Potrebbe perciò presentare come elemento di un compromesso il ritiro dalle zone occupate lungo i confini settentrionali. Ma in caso di mancato accordo e prolungamento del conflitto è anche pensabile che tali zone rimangano sotto occupazione, a garanzia della sottomissione di Kyiv all’egemonia di Mosca.

Nulla lascia prevedere che il presidente ucraino firmi un atto di cessione di pezzi di territorio nazionale, al di là della Crimea e del Donbass già persi di fatto, pur di mettere fine alla guerra. Perciò il negoziato, malgrado i segnali di avvicinamento su neutralità e regime change, naviga verso lo scoglio delle ambizioni territoriali di Mosca.

Foto di copertina EPA/SERGEY DOLZHENKO

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