La crisi umanitaria in Libia

La Libia è uno dei paesi più instabili e pericolosi del mondo, la sistemica instabilità politica e la costante crisi economica la pongono tra i 20 stati più fragili al mondo secondo il Fragile State Index. Il Paese è privo di un’autorità centrale dallo scoppio della guerra civile nel 2014, durante la quale due governi si sono contesi la leadership della Libia facendo affidamento su diverse milizie irregolari. Le Nazioni Unite riconoscono il Governo di Unità Nazionale (GNU), i cui principali sponsor finanziari e militari sono la Turchia e il Qatar. Il GNU ad oggi controlla solo parte della Tripolitania (la regione nord-occidentale del Paese). La maggior parte della Libia è invece nelle mani del Governo di Stabilità Nazionale (GNS), che fa affidamento sulla forze militari del generale libico Khalifa Haftar, il quale a sua volta riceve supporto materiale e finanziario dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti e, indirettamente, dalla Russia tramite i mercenari della Wagner, presenti anche in molte altre regioni dell’Africa.

Nonostante un cessate il fuoco permanente accordato dalle due parti nel 2020, i negoziati mediati dalla missione UNSMIL dell’ONU non hanno portato ad un trattatodi pace vero e proprio. Anche se la frequenza degli scontri armati è diminuita, non vi è ancora un esecutivo capace di garantire l’ordine e la pubblica sicurezza, inoltre le due parti ancora non sono riuscite ad accordarsi sulle tempistiche e le modalità di future elezioni che non si tengono nel Paese da ben 9 anni.

La situazione per la popolazione civile resta tragica, i libici devono far fronte sia alla devastazione del conflitto armato che alla penuria di beni di prima necessità. A questi due mali vi si è aggiunta più di recente la catastrofe naturale dell’uragano Daniel che ha investito il Mediterraneo. La Libia resta inoltre uno dei principali hub della tratta di esseri umani, laddove numerosi migranti africani in cerca di miglior vita in Europa diventano vittima dei trafficanti.

 

Le condizioni di vita

Nel 2022 la situazione umanitaria ha visto un relativo miglioramento grazie al cessate il fuoco. Il numero di sfollati interni è sceso del 58% tra il 2020 e il 2022 (da 316.000 a 134.000) secondo l’OCHA. Questi numeri suggeriscono una minore percezione del rischio della popolazione civile dopo l’implementazione del cessate il fuoco, che ha probabilmente spinto alcuni sfollati a tornare nelle loro aree abitative, precedentemente abbandonate a causa degli scontri armati. Ma ad inizio 2023 le persone che necessitano assistenza umanitaria sono ancora più 300.000, oltre un terzo di questi sono minori (dati UNICEF).

I civili soffrono soprattutto per lo scarso e infrequente accesso all’acqua potabile e ai più basici servizi igienici, anche le catene di approvvigionamento alimentare hanno subito serie perturbazioni anche a causa della guerra in Ucraina. La Libia infatti dipende per più del 50% del suo fabbisogno di grano e cereali dall’Ucraina e dalla Russia, l’invasione russa ha comportato un aumento dei prezzi proibitivo per la popolazione libica. Il COVID rimane una minaccia all’interno del Paese a causa del bassissimo tasso di vaccinazione (34%) e l’inadeguatezza degli ospedali sul territorio a monitorare l’andamento dell’epidemia, il che aumenta il rischio di diffusione anche per altre malattie respiratorie. 

La situazione è ancora più precaria per i 700.000 migranti (dati Nazioni Unite) presenti in Libia, provenienti principalmente da altre regioni dell’Africa e dal Medio Oriente e diretti verso l’Europa. Gruppi armati affini alle forze di sicurezza di entrambi i governi rivali sono soliti detenere i migranti in condizioni disumane all’interno di strutture detentive improvvisate, spesso non adatte a contenere così tante persone. Torture, stupri e sparizioni ad opera dei carcerieri sono all’ordine del giorno in questi centri detentivi, i miliziani chiedono riscatti fino ai 5.000$ per il rilascio delle loro vittime. Un recente rapporto dell’ONU ha dimostrato la connivenza delle autorità libiche con tali pratiche disumane, l’UE, che collabora con il GNU per contenere i flussi migratori, ha dovuto negare il suo coinvolgimento. Il rapporto ha comunque inevitabilmente sollevato ancora una volta la controversa questione sull’utilizzo dei fondi europei.

 

La catastrofe di Derna

Una nuova tragedia umanitaria si è abbattuta sulla Libia la notte del 10 settembre. Al passaggio dell’uragano Daniel sul Paese, due dighe sono collassate nei pressi della città di Derna nel nordest del Paese sotto il controllo del GNS, il centro abitato è stato investito da un’enorme e violenta massa d’acqua. Il bilancio, ancora provvisorio, nella regione colpita dall’uragano è di più di 4.300 morti, almeno 8.300 dispersi, oltre 40.000 sfollati e circa 10.000 edifici danneggiati, con i danni maggiori registrati a Derna, dove il 25% della città è rimasto inghiottito dal fango e dalle macerie. Con questi numeri, l’uragano Daniel passa tristemente alla storia come la catastrofe naturale più devastante nella storia del Paese.

Interi quartieri sono stati spazzati via e infrastrutture critiche quali ponti, autostrade e ospedali, rendendo la vita ancora più difficile ai sopravvissuti. Si sono immediatamente mobilitate le Nazioni Unite e diverse ONG per soccorrere la popolazione locale. L’UE ha subito stanziato 5,7 milioni di euro in aiuti umanitari e ha fornito, tramite il meccanismo di Protezione Civile, strumenti chiave per gestire l’emergenza, quali ad esempio medicine, generatori e veicoli di soccorso. La catastrofe ha anche fortemente aumentato il rischio di diffusione di malattie infettive trasmesse via acqua, l’OCHA ha registrato migliaia di casi di diarrea tra la popolazione locale, un’infezione di questo tipo in simili condizioni precarie può portare anche alla morte.

La catastrofe di Derna è arrivata in un momento in cui i libici stavano lentamente cercando di riprendere il controllo delle loro vite, approfittando della cessazione delle ostilità. L’arrivo dell’uragano ha avuto un effetto psicologico devastante, ha rafforzato l’impressione che la tragedia libica non avrà mai fine e che i libici siano condannati ad una sofferenza perpetua. Senza un’autorità centrale legittima per governare il Paese, sarà impossibile ristabilire l’ordine e gestire adeguatamente la risposta ai disastri naturali.

 

foto di copertina ANSA/VIGILI DEL FUOCO + UFFICIO STAMPA

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