Il prossimo 29 giugno il vertice dei capi di stato e di governo alleati a Madrid approverà il nuovo Concetto Strategico Nato. Sebbene la sua elaborazione sia iniziata già nel 2021, giocoforza il documento di indirizzo per il prossimo decennio – e l’intera postura dell’Alleanza atlantica – è fortemente influenzato in almeno cinque modi dall’invasione russa dell’Ucraina, iniziata esattamente quattro mesi fa.
Difesa collettiva uber alles
In primo luogo, la difesa collettiva degli Stati europei sarà la priorità numero uno del Concetto Strategico, riflettendo il cambiamento strutturale portato da Mosca al quadro euro-atlantico, il radicale mutamento di percezioni nelle opinioni pubbliche di gran parte degli Stati membri, ed il cambio di rotta già in corso al livello nazionale in primis in Germania.
Di fatto, già dopo la prima invasione russa dell’Ucraina nel 2014, la difesa collettiva era diventata prominente in ambito Nato, ancor più alla luce della volontà americana di porre fine costi quel che costi a missioni di stabilizzazione come quella in Afghanistan. Tuttavia, in qualche modo, – anche su azione italiana – si era cercato di mantenere un equilibrio tra i tre core tasks sanciti dal Concetto Strategico del 2010. Questi ultimi comprendevano infatti da un lato deterrenza e difesa, ma dall’altro anche la gestione delle crisi, e la sicurezza cooperativa sotto la cui egida si portano avanti allargamento dell’Alleanza, partenariati con stati terzi, iniziative di controllo degli armamenti e non proliferazione.
Anche se i tre core tasks attuali verranno mantenuti nel nuovo Concetto Strategico, il primo sulla deterrenza e difesa risulterà pieno di sostanza, in termini di capitale politico e linee guida per la pianificazione militare, mentre gli altri due saranno a confronto dei pesi piuma. E saranno verosimilmente trattati come tali dalle strutture Nato e dagli stati membri nel processo di attuazione del Concetto Strategico, che si svolgerà nei prossimi anni tramite la Political Guidance e il Defence Planning Process.
La Nato continuerà certamente a condurre la missione in corso da oltre due decenni in Kosovo, che peraltro potrebbe ben essere rilevata dall’Ue per dare finalmente prova di assunzione di responsabilità , e sana autonomia strategica, quanto a sicurezza e stabilità del proprio continente.
L’Alleanza potrebbe e dovrebbe sostenere proprio una leadership dell’Unione negli sforzi militari per stabilizzare Nord Africa e Medio Oriente, fornendo supporto in termini politico-militare, di intelligence, e di capacità specifiche che solo la Nato possiede. Ma l’ipotesi di nuove operazioni alleate paragonabili a quelle in Afghanistan o Libia appartiene a un’altra era, di cui il Concetto Strategico del 2010 era figlio: un’era che per l’Alleanza si è tragicamente chiusa tra l’abbandono di Kabul il 31 agosto 2021 e le prime bombe russe su Kiev il 24 febbraio 2022.
Est! Est! Est!
Il secondo effetto della guerra in Ucraina, strettamente collegato al primo, riguarda il focus geografico della Nato che sarà giocoforza quello orientale. Le decisioni già prese nel 2022 quanto a difesa avanzata di Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia tramite battaglioni multinazionali alleati impegnerà forze significative, in particolare da parte dei Paesi guida – tra cui la Francia a Bucarest e l’Italia a Sofia. Ulteriori indicazioni dal summit di Madrid per la postura Nato potranno riguardare strutture di comando regionale, attività rafforzata di controllo dello spazio marittimo e aereo, pre-posizionamento e/o scorte di equipaggiamenti militari, focus delle prossime esercitazioni su scenari di attacco dal fianco orientale.
Poiché la minaccia principale e quasi universalmente riconosciuta alla difesa collettiva viene da est, è comprensibile che l’Alleanza guardi principalmente in quella direzione. Ma ciò comporta giocoforza minore attenzione al fianco sud, abbandonando di fatto l’impegno per un approccio a 360 gradi faticosamente ottenuto dall’Italia nel 2016. Anche in questo caso si tratta di un trend in corso da alcuni anni, anche perché due dei principali alleati affacciati sul Mediterraneo – Francia e Turchia – hanno sistematicamente preferito trattare Nord Africa e Medio Oriente non in ambito Nato ma su base bilaterale, o nel caso francese nel quadro Ue e di coalizioni ad hoc.
Si può giustamente affermare che la Russia è presente in Africa e Medio Oriente, ed è vero quindi che un maggiore impegno Nato in queste regioni serve a contrastarne l’influenza e a mettere in sicurezza il vicinato meridionale dell’Europa. Ma la forza di questo argomento è evidentemente minore mentre la Russia bombarda e occupa un Paese europeo confinante con quattro membri della Nato, l’Ue ospita oltre 5,3 milioni di profughi ucraini, e gli alleati pagano il caro prezzo delle sanzioni economiche dovute alla guerra in corso.
Anche se il nuovo Concetto Strategico guarderà principalmente ad est dell’Europa, nell’orizzonte Nato è entrata e resterà la Cina. Gli Stati Uniti hanno stabilmente identificato Pechino come il rivale in grado di mettere in discussione la loro egemonia su più dossier e più regioni mondiali, e chiamano sistematicamente gli alleati a fare fronte comune rispetto all’ascesa dell’autoritarismo cinese.
Ciò non può non tradursi in un’attenzione del Concetto Strategico alla competizione con la Cina, in primo luogo nei domini cibernetico e spaziale e più in generale sul piano tecnologico. Non si tratta di impegnare la Nato in operazioni nel Indo-Pacifico, ma di mantenere quel vantaggio militare di cui l’Occidente gode da cinque secoli e che oggi viene sfidato in modo epocale da Pechino, tramite uno sforzo collettivo da parte di Nord America ed Europa di cui la Nato è una componente importante.
Allargamento alla Scandinavia e non all’Ucraina
Quanto all’allargamento, la guerra ha reso strutturalmente impossibile un allargamento della Nato all’Ucraina che era già fuori discussione dopo l’invasione del 2014. Risulta quindi tanto più paradossale e azzardato che l’Ue corra il rischio di aprire all’adesione di Kyiv quando l’Alleanza atlantica si guarda bene dal farlo, pur avendo le spalle ben più grosse per reggerne le conseguenze grazie alla presenza al suo interno di Stati Uniti e Regno Unito.
Viceversa, il conflitto ha spinto Finlandia e Svezia ad un passo storico che cambia una collocazione geopolitica stabile da più di 80 anni nel caso di Helsinki e di oltre due secoli in quello di Stoccolma. Il processo di adesione dei due Paesi andrà verosimilmente avanti nonostante l’opposizione della Turchia, intenzionata più ad ottenere concessioni dagli Stati Uniti che a bloccare stabilmente il loro ingresso.
Si tratta di un allargamento che rafforza la stabilità e la sicurezza della Scandinavia, del Baltico, ed in generale del nord ed est Europa, perché sancisce un limes che la Russia non ha interesse né capacità di mettere in discussione. La Nato ne esce rafforzata politicamente e militarmente, poiché entrano nell’alleanza due democrazie mature, con società resilienti e forze armate all’avanguardia.
L’ingresso di Svezia e Finlandia a sua volta porrà ulteriormente l’accento sulla difesa collettiva, in quanto motivo principale della loro adesione, e sul quadrante orientale e settentrionale di loro diretto interesse. Essendo entrambi membri dell’Ue, Stoccolma ed Helsinki condividono il confine meridionale dell’area di libera circolazione e del mercato unico dell’Unione, e quindi non sono insensibili a ciò che avviene nel Mediterraneo quanto a flussi migratori e sicurezza energetica, ma il fianco sud non è certo la loro priorità .
Partenariati selettivi e difficili
Il quarto effetto del conflitto riguarda i partenariati della Nato, in modi diversi. Quello con l’Ucraina verrà ovviamente rafforzato il più possibile per aiutarla nella guerra e in generale nel lungo confronto con la Russia. È anche probabile una maggiore attenzione verso Moldavia e Georgia, in quanto direttamente in contatto con le forze armate russe. Tuttavia, nell’economia generale della Nato l’investimento in termini politico-diplomatici, militari e di risorse verso partenariati non funzionali al confronto con Mosca, come sono (malamente) intesi il Dialogo Mediterraneo e l’Istanbul Cooperation Initiative, sarà molto limitato.
Ciò costituisce uno svantaggio e un limite, in quanto è proprio tramite i partenariati che gli alleati potrebbero influenzare collettivamente gli sviluppi in Africa e Medio Oriente, contrastando sia alcuni fattori di instabilità sia l’influenza russa e cinese senza dover ricorrere a operazioni militari per le quali c’è poco consenso sul fronte interno.
Tra i partenariati Nato, quello con l’UE è sicuramente il più importante. Diversi passi in avanti sono stati compiuti dalla dichiarazione congiunta del 2016, ed un altro atto Nato-Ue è in cantiere da mesi. La guerra in Ucraina rende ancora più rilevante questa partnership per il ruolo che l’Ue ha assunto nel sostenere Kyiv, mentre la competizione tecnologica con la Cina chiama direttamente in gioco le politiche e competenze dell’Unione sinergiche con quelle dell’Alleanza. Ma bisognerà vedere quanto il Concetto Strategico riuscirà a superare gli ostacoli – in primis quello turco-cipriota-greco – per un balzo in avanti dei rapporti reciproci tanto necessario quanto difficile.
Il gioco a tre con Russia e Cina
La guerra russo-ucraina ha posto Mosca in una situazione di conflitto strutturale con l’Occidente. È una situazione che durerà a lungo e che va gestita per evitare pericolose escalation. Ciò dà nuova importanza al controllo degli armamenti e alla non proliferazione, in ambito convenzionale, missilistico e nucleare. L’unico trattato internazionale vigente al riguardo tra Washington e Mosca è il nuovo accordo START sulle armi nucleari tattiche, rinnovato di comune accordo da Biden e Putin nel 2021 per altri 5 anni.
Il quinto effetto della guerra è uno stimolo verso uno sforzo di pensiero, diplomatico e militare, da parte dei Paesi Nato per riaprire un dialogo con Mosca sul controllo degli armamenti, anche riprendendo buone prassi della Guerra fredda quando i due blocchi dialogavano su questo tema nonostante la situazione tesa in Europa e le guerre per procura in corso nel resto del mondo.
Ma a differenza di allora, oggi la Cina è una potenza nucleare, militare, industriale e tecnologica comparabile a Russia e Stati Uniti, una situazione che crea una dinamica a tre strutturalmente più instabile di quella a due. Ciò richiede quindi un approccio parzialmente diverso, a partire dalla piena inclusione di Pechino nel dialogo sul controllo degli armamenti. La palla è nel campo di Washington, ma come in passato gli alleati europei possono e debbono dire la loro perché questo tema è intrinsecamente legato alla deterrenza e difesa collettiva, anche tramite gli accordi di nuclear sharing in ambito Nato.
In ultima analisi, il vertice di Madrid sancirà la rinnovata realtà dell’Alleanza atlantica nel quadro internazionale segnato dalla guerra russo-ucraina. La realtà di una Nato concentrata sulla deterrenza e sulla difesa, che guarda soprattutto al confronto con la Russia con un occhio alla competizione tecnologica con la Cina, si allarga a nord e non a Kyiv, si approccia ai partner in modo più selettivo, e deve fare i conti con il controllo degli armamenti a livello globale e non solo regionale.
Foto di copertina EPA/OLIVIER HOSLET