Può sembrare strano che nel mezzo di una guerra che continua a mietere migliaia di vittime innocenti e a causare distruzioni immani si promuova un grande incontro internazionale al più alto livello per discutere della ricostruzione del Paese aggredito e delle sue prospettive di sviluppo economico e sociale. E ancora più singolare potrebbe apparire il fatto che l’intenso impegno di esperti, economisti, uomini d’impresa e diplomatici, che da mesi lavorano alla minuziosa preparazione di questa riunione, si svolga proprio in una fase in cui la composizione del conflitto si allontana, anziché avvicinarsi, per la feroce determinazione di chi vuole proseguire la guerra fino alle estreme conseguenze, la disfatta totale del nemico e la soppressione della sua identità.
Invece, la Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina, in programma a Roma il 10 e 11 luglio sotto la presidenza congiunta di Italia e Ucraina, non deve sorprendere. È parte di un’azione ad ampio raggio, avviata da tempo dalla comunità internazionale, per venire incontro in modo coordinato alle esigenze più urgenti di quel martoriato Paese e per tracciare insieme una prospettiva a sostegno della sua resilienza e ripresa. È la prosecuzione degli appuntamenti annuali già realizzati a Lugano, Londra e Berlino, all’indomani dell’inizio della guerra imperiale scatenata da Vladimir Putin. Quest’anno l’agenda è ambiziosa. L’obiettivo è di mobilitare supporto internazionale per la ricostruzione, la riforma e la modernizzazione dell’Ucraina. Si tratta, tra l’altro, di creare le condizioni per attrarre capitali privati e per coinvolgere gli enti locali ucraini nel processo di ricostruzione, al momento opportuno.
Quattro settori d’intervento
Per questo, sono stati individuati in particolare quattro settori di intervento, sui quali si articoleranno i lavori della Conferenza di Roma. Innanzitutto, una dimensione “business”, appunto per porre le basi di una crescita economica fondata anche sull’apporto di investimenti privati. Poi, un’attenzione speciale per le necessità connesse con la mobilitazione delle risorse umane, a cominciare dalla reintegrazione di sfollati, rifugiati e reduci nella vita civile. Si approfondirà inoltre la dimensione locale degli interventi, con l’opportuna responsabilizzazione delle entità regionali, puntando a una riforma in termini di decentralizzazione. Infine, sarà affrontata la dimensione europea, la prospettiva del percorso di integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea, con il necessario allineamento agli standard dell’Ue.
La dimensione europea
L’adesione dell’Ucraina all’Ue non è per domani, occorrerà tempo e molto lavoro, da entrambi i lati. Tuttavia, ormai la linea è tracciata, al di là delle difficoltà di adattamento per l’una e di recepimento per l’altra. Per l’Ucraina, che pure ha già fatto passi notevoli in brevissimo tempo, a conferma della forte volontà di Kiev di procedere quanto più speditamente, vorrà dire adeguare normative e prassi ai precisi criteri previsti da Bruxelles. Per l’Unione Europea, significherà valutare in concreto e decidere le riforme interne imprescindibili per accogliere i nuovi Stati membri garantendo il funzionamento delle istituzioni comunitarie, altrimenti condannate alla paralisi se non all’implosione. Sicché, dopo venti anni dall’allargamento ai Paesi dell’Europa centro-orientale del 2004-2007, l’Ue deve riaffrontare il rapporto inscindibile tra allargamento e approfondimento. Questa volta, dovrà farlo con lungimiranza. Se la porta aperta all’Ucraina è frutto di un consenso ampio e convinto in seno all’Unione – a parte la malinconica, imbarazzante opposizione dell’Ungheria – sarà arduo invocare le difficoltà di riforme interne, la resistenza degli Stati membri refrattari al cambiamento, come alibi per richiudere quella porta in faccia a Kiev (e a quanti con lei e prima di lei, nei Balcani Occidentali, sono in fila, in marcia di avvicinamento all’Europa).
È questa la tela di fondo su cui si discuterà nei prossimi giorni a Roma. L’ancoraggio dell’Ucraina all’Unione europea non figurerà all’ordine del giorno delle riunioni della Conferenza, ma aleggerà su tutti i contatti. Del resto, la stessa partecipazione alla Conferenza di Roma del presidente Volodymyr Zelensky, ormai ospite abituale del Consiglio Europeo, al pari della sistematica presenza del suo ministro degli Esteri al Consiglio Affari Esteri dell’Ue, hanno un significato non solo formale. Sarà un segnale anche per Donald Trump e per le sue giravolte nel difendere l’Ucraina.
Presidente dell'Istituto Affari Internazionali e presidente del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni su proposta congiunta dei governi italiano e tedesco. Diplomatico di carriera, ha lavorato alla Direzione degli Affari Economici (1975), all’Ambasciata d’Italia a Brasilia (1978) e all’Ambasciata d’Italia a Bonn (1981). Dal 1984 al 1987 è stato consigliere a Beirut. Nel 1991 è nominato Primo consigliere a Bruxelles, presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Nel 1997 diventa ambasciatore a Sarajevo. Nel 1999 assume la direzione dei Rapporti con il Parlamento e poi del Servizio Stampa alla Farnesina. È Ambasciatore a Brasilia dal 2004, a Berlino dal 2009 e Segretario Generale della Farnesina dal 2012 al 2016.