Teheran al tempo del Prof. Pezeshkian

La capitale iraniana è in questi giorni avvolta in una coltre di smog che non permette una nitida visione delle cime innevate dei Monti Alborz. “Tehran, I even missed your smog”
aveva scritto Cecilia appena arrivata in Iran, tradendo il suo forte amore per la Persia. Mentre chiudevamo la nostra rivista, apprendo con gioia della sua liberazione e del suo arrivo in Italia.

Il freddo ha provocato in tutto l’Iran un’impennata della domanda di riscaldamento, costringendo il governo a intervenire con blackout energetici in alcune ore della giornata. “A questo siamo arrivati” mi dice la manager di un caffè. È appena andata via la luce e la sala comincia a freddarsi. Pare effettivamente incredibile registrare mancanza di gas in un Paese che vanta le seconde riserve più grandi del mondo dopo la Russia.

A centoventi giorni dal suo insediamento, il presidente Masoud Pezeshkian affronta un’emergenza mai vista prima, che assieme alla crisi economica, all’annosa questione nucleare, ai timori di un attacco di Israele e a cosa fare dell’Asse della Resistenza, rappresentano le grandi sfide che ha davanti il governo riformista iraniano. “Insieme, unendo le nostre mani, possiamo superare le difficoltà”, ha dichiarato giorni fa, auspicando in questa fase un’unità politica.

La sua amministrazione ce la sta mettendo tutta. Ha fatto bloccare la legge liberticida formalmente nota come“Sostegno alla famiglia attraverso la promozione della cultura della castità e dell’Hijab”, criticata vigorosamente da riformisti e conservatori, ma appoggiata dagli integralisti, ha rimosso il divieto su WhatsApp e Google Play –annunciandolo come “il primo passo verso l’abolizione delle restrizioni su internet” – e ha reintegrato decine di studenti universitari e professori a cui era stato precedentemente impedito di studiare o insegnare.

Pezeshkian ha però un grande macigno sulla sua strada, un pericolo più forte di quello rappresentato dai continui attacchi dei paydari, gli integralisti. “Noi temiamo l’assoluta mancanza di risposte da parte dell’Europa alla volontà di dialogo espressa dal presidente e la possibile ingerenza di Israele per ostacolare qualsiasi possibile riapertura di negoziati con la prossima amministrazione Trump”, mi dice una fonte diplomatica del Ministero degli Esteri che incontro in forma riservata.

“L’Iran ha un deficit di luce, gas e fondi monetari che presto potrebbero sfociare in una gravissima crisi per il paese” ha ammesso recentemente Pezeshkian in un discorso televisivo, per poi chiedere a tutti di abbassare di due gradi le caldaie “per poter riuscire a superare l’inverno”. È una situazione insostenibile nel lungo periodo che rischia di strozzare l’economia iraniana.

Ne è convinta Katayoun Malekì, giornalista economica, che incontro nella sede del quotidiano “Mondo Economico”, testata appartenente al più grande gruppo privato mediatico iraniano. “La scelta unilaterale della prima amministrazione Trump di ritirarsi dall’Accordo nucleare ha posto un’ulteriore pressione sull’economia iraniana influenzandola negativamente. La conseguenza è stata che tutte le grandi società internazionali, desiderose di investire in Iran, sono state costrette ad andarsene. La mancanza di questi fondi stranieri ha rallentato la realizzazione dei progetti iraniani, in aggiunta alla mancanza di lettere di credito internazionali per scambi commerciali che riguardano il nostro Paese. L’attuale penuria di gas è una delle conseguenze dell’assenza di investitori stranieri. Non abbiamo potuto sviluppare i nostri giacimenti di gas incrementandone la produzione e ora ci troviamo nel pieno di questa crisi energetica”.

Ma non solo. “Tutto questo”, per Malekì, “ha generato un’ulteriore conseguenza: la mancanza di approvvigionamento di valuta straniera, con un ulteriore incremento dell’inflazione e una progressiva perdita di valore della nostra moneta nazionale, il rial, nei confronti delle monete straniere. Per fermare questo ciclo infinito non abbiamo altra scelta che aprire le porte del Paese verso il mondo e permettere l’arrivo di investitori stranieri e della tecnologia necessaria a modernizzare il nostro settore industriale”.

I primi mesi del governo di Pezeshkian sono inoltre coincisi con gli attacchi israeliani all’Iran, al Libano degli Hezbollah, al crollo del regime siriano. Il pericolo di un ulteriore attacco israeliano prima dell’insediamento di Trump è una variabile di cui si parla da queste parti e l’indebolimento del Wahdat sahat, l’Unità dei fronti, pone interrogativi sulla vulnerabilità del Paese. “L’influenza iraniana nella regione non è mai dipesa esclusivamente dall’Alleanza con il regime degli Assad o dalle capacità militari delle forze dell’Asse della Resistenza. È un’analisi sbagliata”, sostiene il giornalista Mohammadhadi Mohammadi, molto vicino ai riformisti. “Dopo l’assassinio di Qasem Soleimani, dopo l’attacco di Israele all’ambasciata iraniana a Damasco o ultimamente dopo gli attacchi di Israele al nostro Paese, l’Iran ha risposto direttamente con le proprie forze, dimostrando di saperle usare anche con attori forti”.

Per Mohammadi la cosa più preoccupante di un possibile nuovo attacco israeliano è “che la sempre più crescente pressione dei cittadini affinché l’Iran si doti della bomba nucleare potrebbe spingere il governo a prendere questa decisione. Ritengo che se una qualsiasi nazione si doti di un armamento nucleare, sarebbe un qualcosa di negativo per tutto il mondo”. Dal 2018, dopo l’eliminazione da parte di Israele del principale scienziato nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, il numero di centrifughe in Iran è aumentato vertiginosamente. Ora l’Iran è comunque ben disposto a un dialogo con l’Occidente.

“La Repubblica islamica è aperta ai negoziati, anche con l’America”, recita il titolo di un saggio pubblicato da Foreign Affairs e firmato da Mohammad Zarif, vice presidente per gli Affari strategici, già ministro degli Esteri e principale negoziatore sul dossier nucleare. È questo l’obiettivo dell’Iran, questa “la via per la pace”, come scrive il diplomatico. In assenza di negoziati fruttuosi il progetto riformista in Iran potrebbe andare nuovamente in rovina.

Il dossier nucleare resta dunque quanto mai centrale per l’Iran che tuttavia “non è alla ricerca” dell’arma atomica. Per questo, chiede agli interlocutori internazionali di proseguire i negoziati, in modo da superare il regime di sanzioni. Me lo dice il viceministro degli Esteri di Teheran Majid Takht-Ravanchi, che incontro nella sede del Ministero. “In questi anni la nostra posizione è rimasta quella e abbiamo sempre dichiarato di essere disposti a dialogare in modo che nell’ambito dell’Accordo nucleare le sanzioni vengano sollevate. E anche ora diciamo che siamo pronti al dialogo e a rispettare i nostri impegni secondo questo accordo e in cambio chiediamo l’annullamento delle sanzioni. Negli ultimi mesi abbiamo avuto due tornate di negoziati con il terzetto dei paesi europei. Siamo tuttora disposti a proseguire il dialogo con questi paesi, ma vogliamo che sia un dialogo che deve avere degli obiettivi”.

Cecilia nei suoi podcast ha sempre riconosciuto le differenze politiche presenti in Iran, più volte osteggiata da chi, privo di conoscenza, semplifica: “sono tutti uguali”. Al suo amore per questo meraviglioso paese è dedicato questo speciale.

 

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