La professoressa Mahdie Shadmani insegna Relazioni Internazionali all’Università del Ministero della Difesa, Malek Ashtar. Da oltre quindici anni è anche attiva nelle politiche di genere. La incontro presso gli uffici dell’agenzia giornalistica Shiva Rasaneh.
La questione nucleare è uno dei grandi dossier con cui è impegnato il presidente Pezeshkian. Qual è la strategia iraniana in merito?
“Diciamo che l’Iran ha intrapreso inizial – mente la strategia del dialogo, per una risoluzione pacifica dei problemi con il “5+1”. Per ora non ha dato risultati concreti e per questo ritengo che saranno prese in considerazione anche altre opzioni. Ricordiamo che dopo l’Accordo nucleare, l’Amministrazione Trump si è ritirata da questo accordo e poi, successivamente, sono state decise forti sanzioni da parte degli Stati Uniti e anche dell’Europa contro il settore petrolifero ed energetico, supportate da azioni ostili, come l’inserimento del corpo dei Guardiani della Rivoluzione nella lista dei gruppi terroristici. Dunque da un lato eravamo di fronte alla volontà di pace dell’Iran, dall’altra alla politica aggressiva di Trump. Tutti questi sviluppi hanno indotto l’Iran a rivedere la propria strategia e a iniziare a ridurre gli impegni che aveva assunto per quanto riguarda il suo programma nucleare. In questo che è il quattordicesimo governo dell’Iran, l’attuale Amministrazione in carica ha dichiarato che vuole stabilire relazioni più forti intanto con i paesi vicini e poi cercare di migliorare le relazioni con i paesi euro – pei e soprattutto con Francia, Germania e Inghilterra. È anche addirittura disposto a sedersi al tavolo dei negoziati con gli Stati Uniti per parlare di nucleare, di relazioni bilaterali, ma anche di questioni inerenti la regione, provando a gestire i motivi di di – vergenza basilari che ci sono tra i due Paesi. Da parte dell’Iran questa volontà c’è, bisogna vedere se anche dall’altra parte ci sarà la volontà di sedersi al tavolo con l’Iran. Nonostante il dibattito apertosi, una cosa certa è il parere fermo della Guida Suprema motivato dall’esistenza della storica fatwa: le armi nucleari essendo armi di distruzione di massa sono armi immorali. Dunque in ogni caso, che ci sia il negoziato o meno, l’Iran non modificherà mai la sua dottrina difensiva in cui ripudia in ogni modo l’arma nucleare. Registro che ci sono anche segnali divergenti da parte dell’Amministrazione Trump. In una recente intervista, Wendy Sherman, ex Vicesegretario di Stato degli Stati Uniti d’America, ha mostrato di fat – to luce verde ai negoziati. Poi ovviamente ci sono le dichiarazioni di Trump di altra natura, ma dobbiamo aspettare per vedere cosa farà effettivamente. Quello che ritengo nocivo, sia da parte dell’Iran che da parte degli Stati Uniti e dell’Europa per la ripresa di un negoziato, sono le precondizioni. Porre precondizioni al negoziato è un qualcosa che minaccia la realizzazione del negoziato stesso”.
Con il crollo del regime di Assad in Siria cosa perde l’Iran nella sua strategia in Medio Oriente basata sull’Asse della resistenza?
“Dobbiamo dire che dopo la rivoluzione islamica l’Iran ha dato via innanzitutto a un dialogo tra i diversi gruppi sciiti nella regione e la Siria di fatto era una terra di passaggio per poter inviare dei rifornimenti agli alleati. Ancor prima che un’alleanza militare dunque questa dell’Asse della resistenza è un forum di dialogo tra diversi gruppi e paesi e quindi per capire se è realmente crollato o meno dobbiamo vedere se è venuto o meno quel dialogo. L’Asse della resistenza è per lo più un paradigma basato su due questioni principali: la lotta ai crimini, all’espansionismo, all’occupazione del regime sionista e la lotta alla presenza delle potenze occidentali nella regione. Non si può dire che a questo livello il paradigma dell’Asse della resistenza sia stato indebolito con il venir meno della Siria perché praticamente, soprattutto nell’ultimo anno, lo sforzo per porre in primo piano la questione della Palestina si è esteso anche alle piazze europee e alle università statunitensi. Diciamo che in questo senso l’Asse della resistenza è andato anche oltre le aspettative. In uno dei suoi ultimi discorsi la Guida Suprema ha detto che le diverse formazioni dell’Asse della resistenza non sono proxy dell’Iran e che hanno agito in maniera autonoma. In realtà questo è vero, sono autonomi, però dobbiamo anche ammettere che hanno comunque delle relazioni e dei contatti tra di loro. Io credo che il fatto che la Siria sia venuta meno è, dal punto di vista militare, un qualcosa che indebolisce l’Asse della resistenza, ma al contempo non comporta l’indebolimento dell’Iran stesso, anche perché militarmente tutti questi gruppi o formazioni hanno avuto comunque la loro autonomia. La novità assoluta che sta sorprendendo gli stessi membri di questa alleanza regionale è lo Yemen. Consideriamo che lo Yemen, che lo si consideri retto da un governo o da una formazione non governativa, è stato il primo stato a reagire ai fatti conseguenti al 7 ottobre. Quaranta giorni dopo ha iniziato a colpire il territorio occupato da Israele e ci sono state fino ad oggi oltre 1400 operazioni condotte con droni contro i territori occupati da Israele e contro navi, sia militari che mercantili, collegate a Israele e ai suoi alleati nel Mar Rosso. È evidente che un controllo importante del Mar Rosso è davvero una grande potenzialità dal punto di vista militare che non era stata prevista. Quindi io metterei accanto alla fine del regime di Assad il fatto che sul versante Yemen si sia andati molto più avanti di quanto si potesse prevedere. Quindi tirando le somme, l’Asse della resistenza non ha perso. Ricordiamo che gli yemeniti escono da otto anni di guerra con l’Arabia Saudita, ma nonostante ciò hanno mostrato delle capacità davvero uniche in questo scontro regionale. Io credo che l’Iran non cambierà strategia, proseguirà con essa in quanto l’esito ottenuto da questa politica comunque sta dando delle soddisfazioni. Dopo il martirio di Seyed Hassan Nasrallah…e ora parlo dell’Hezbollah libanese, i nuovi leader, la nuova generazione formata dai più giovani, ha colpito con maggiore intensità le città israeliane e alla fine anche lì si è arrivati a un cessate il fuoco. Anche in questo Hezbollah è comunque uscito vincitore. Concludendo, io penso che l’Asse della resistenza rimarrà con l’Iran convinto di continuare ad essere il paese leader di questo schieramento. D’altronde l’Amministrazione Pezeshkian ha introdotto una nuova caratteristica a questo Asse della resistenza. Nel 2023 l’Iran ha ristabilito le relazioni con l’Arabia Saudita e inoltre, con la visita del presidente in Egitto, l’Iran ha ripreso le relazioni diplomatiche con un paese con cui si erano interrotte da lunghi anni. Questo impegno per rinforzare i rapporti diplomatici con i Paesi arabi, penso in particolare ad Arabia Saudita ed Egitto, va a rinforzare direttamente l’Asse della resistenza”.
La Turchia ha la potenzialità di sostituire l’Iran nella leadership del Medio Oriente?
“Qui si affrontano diversi paradigmi. È la guerra tra idee. Abbiamo appena parlato del paradigma teorico alla base dell’Asse della resistenza. Su cosa è basato il paradigma del presidente Erdogan? È basato sul neo ottomanesimo, far rivivere l’Impero ottomano, e poi su una politica che trovo ipocrita, perché da una parte nel corso dell’ultimo anno ha fatto numerosi discorsi in difesa della popolazione di Gaza, dall’altra ha avuto il maggior volume di scambio commerciale ed economico con il regime di Israele. Questa è una cosa risaputa dalle popolazioni della regione e io sono molto perplessa sul fatto che con questo tipo di strategia il presidente Erdogan riesca a portare dalla sua parte e a farsi seguire da un gran numero di persone. Non basta il fatto che lui venga dichiarato il leader o uno dei leader del mondo islamico, deve avere presa la sua idea sulla popolazione. D’altro canto se esaminiamo il settore militare alcuni potrebbero dire che il principale armatore dell’Hts, che con la leadership di Jolani ora ha preso in mano la Siria, è la Turchia e che quindi, con questa mediazione di fatto, la Turchia ha preso in mano le sorti della Siria. Anche qui, è vero che la Turchia ha praticamente sostenuto questo gruppo che ora ha il potere, però c’è anche una grandissima sfida per la Turchia che è la presenza dei gruppi curdi che hanno conquistato dei territori estesi proprio al confine con il territorio turco. Quindi anche la Turchia non avrà vita facile nel futuro della Siria. Tra l’altro all’interno dello stesso gruppo dell’Hts guidato da Jolani, io credo che ci siano anime divergenti anche nei gruppi più radicali che potrebbero minacciare sia gli interessi della Turchia che quelli di Stati Uniti e Israele. Non possiamo insomma dire che abbiamo una situazione tranquilla e sotto controllo, di fatto stiamo andando dinanzi a una situazione di caos in Siria in cui anche la Turchia correrà i suoi rischi”.
Nel 2001 c’è stato il primo grande accordo strategico tra Russia e Iran poi prolungato. Ora verrà sostituito da un nuovo patto. Cosa si aspetta?
“Quando l’Iran va a negoziare con la Russia, con la Cina o persino con gli Stati Uniti, ciò che sta al centro sono gli interessi nazionali iraniani. Stiamo parlando di un accordo quadro di cooperazione strategica con la Russia e credo che non sia un qualcosa messo a punto velocemente, ma un qualcosa sul quale si è lavorato a lungo. Questo non significa che il futuro è segnato dalle cooperazioni tra Iran e Russia perché sicuramente l’Iran dopo la firma di questo accordo attenderà per vedere se i suoi interessi nazionali che perseguiva con la firma del patto saranno soddisfatti o meno. Se lo saranno chiaramente questa collaborazione potrà proseguire, non proseguirà se l’Iran non riuscirà a raggiungere quegli obiettivi che perseguiva nella cooperazione con la Russia. Prima di questo passaggio, nell’ambito dei Brics alcuni interessi comuni, sotto il profilo geopolitico, hanno avvicinato i due Paesi. Non sto dunque dicendo che andranno a firmare l’accordo avendo preconcetti negativi nella mente, ma voglio dire che l’Iran sarà comunque molto cauto anche in questa relazione, cercando di valutare bene se questo accordo di cooperazione strategica garantirà i propri interessi nazionali. La cosa di cui siamo sicuri è questa: qualora ciò non si avveri sicuramente l’ran cambierà strategia”.
Il rapporto dell’Iran con i Brics. Qual è a suo avviso il futuro di questo sistema di Paesi?
“Perché si sono formati i Brics? Perché i Paesi di questa, chiamiamola, alleanza geopolitica cercano di muoversi in questa piattaforma e non nel tradizionale sistema internazionale? Perché in questo sistema i diritti internazionali, le leggi vengono continuamente violate e i paesi forti ed egemoni approfittano della loro posizione e della loro forza per aggirare in qualche modo queste leggi. Un problema che c’è a livello mondiale è la divergenza nei concetti base. Nel senso che Iran e Cina hanno un concetto per la pace, la democrazia, ed Europa e Stati Uniti ne hanno un altro totalmente diverso. Quindi diciamo che gli attuali enti internazionali, che perlopiù vengono finanziati dalle potenze occidentali, hanno una visione particolare di certi valori, di certi concetti chiave inerenti all’umanità e questo diventa un problema. I Brics si sono formati per queste ragioni, forse anche per contrastare l’onnipotenza degli Stati Uniti, ma poi per sviluppare una serie di cooperazioni economiche importanti. Ora il dilemma di fronte a cui sono i Brics è se rimanere un sistema che connette un numero specifico e limitato di paesi o se diventare una piattaforma che può instaurare delle collaborazioni con tutti i paesi del mondo, persino con gli occidentali stessi. I Brics possiedono anche ottime risorse energetiche e quindi hanno ottime potenzialità. A mio avviso la cosa che devono temere è di entrare in una fase composta solo da slogan e retorica. Devono tenere i piedi per terra, essere realisti e nei fatti cercare di attuare quello che è nelle loro capacità e non andare a scegliere obiettivi impossibili. Faccio un esempio per farmi comprendere dai lettori. Se i Brics parlano di una valuta che vogliono lanciare, se dicono che questa valuta deve completamente sostituire il dollaro, io dico che questa è una dichiarazione spropositata. Se invece dicono che vogliono creare una moneta che costituisca un’alternativa, un qualcosa a fianco del dollaro, questo posso ritenerlo possibile”.
Alla fine della sua analisi, devo pensare che l’alternativa più valida che ha davanti l’Iran è quella di cercare di calmierare le sanzioni ed aprire il paese anche agli investimenti occidentali o immagina altre possibili strategie?
“L’Iran potrà risolvere i suoi problemi economici basandosi su un operato incentrato sulla logica. Intendo dire che l’Iran deve agire in maniera razionale in ambito militare e in ambito politico. Essere razionali in ambito politico cosa significa? Da un lato sviluppare le relazioni con i Paesi della regione, come sta facendo l’attuale Governo con Egitto e Arabia Saudita, dall’altro non lasciare nulla di intentato nel negoziato con l’Europa e gli Stati Uniti. Anche in questo caso però tentare di portare avanti un negoziato senza mai perdere il lume della ragione. In ambito militare ci sono delle pressioni interne. Dopo l’ultima volta in cui Israele ha colpito il paese, soprattutto da parte di ambienti militari si è auspicata una risposta iraniana. Si è chiesto di dar vita all’Operazione Promessa veritiera 3. Questa non è una partita di ping-pong, il punto non è rispondere con un lancio di missili su Israele. L’Iran si sta basando su una politica improntata sulla razionalità per escogitare tutta una serie di sistemi per rispondere a questa aggressività di Israele. Io resto convinta che farà progressi fino a quando agirà con questa razionalità anziché andare a effettuare azioni improvvisate o affrettate”.