A circa sei mesi dalle elezioni europee di giugno scorso, dopo vari passaggi parlamentari, un dibattito divisivo sulla composizione della maggioranza che avrebbe dovuto sostenere il nuovo esecutivo europeo, le audizioni in Parlamento dei nuovi commissari (che, eccezionalmente, non hanno riservato bocciature o sorprese) e un po’ di “suspense” sulla distribuzione di due vicepresidenze, la nuova Commissione europea ha finalmente ottenuto l’approvazione del Parlamento europeo.
Una maggioranza piuttosto esigua
Dal primo dicembre la Commissione è ufficialmente in carica come da programma. Tuttavia, l’esito del voto del 27 novembre (con solo 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astensioni) ha fatto registrare la maggioranza più esigua dal 1995. Una maggioranza addirittura più risicata di quella che a luglio aveva consentito a Ursula Von der Leyen di superare (con 401 voti a favore) il primo esame in Parlamento. Soprattutto, il voto del 27 novembre ha fatto emergere clamorose divisioni all’interno di vari gruppi parlamentari: si sono divisi i popolari, i socialisti e democratici, e i liberali (che insieme hanno ottenuto 308 voti, ben lontani dal totale dei 360 voti che corrispondono alla somma dei membri dei tre gruppi), ma anche i verdi e i conservatori e riformisti, confermando l’immagine di un Parlamento nel quale la disciplina dei gruppi è apparsa subordinata a logiche di politica interna.
Questo voto è in parte una conseguenza dell’esito del voto popolare del giugno scorso, che aveva fatto registrare una generale avanzata dei partiti di destra e un ridimensionamento dei partiti tradizionalmente europeisti. È anche il risultato della scelta della Presidente per tentare di allargare la maggioranza a suo sostegno oltre i tre partiti europeisti tradizionali fino a includervi almeno il gruppo dei conservatori e riformisti. Una scelta motivata dalla necessità di poter contare su un sostegno in Parlamento numericamente più solido (anche se politicamente meno omogeneo) – giacché popolari, socialisti e liberali da soli rischiavano di non essere sufficienti –, ma anche dall’esigenza di prepararsi a un confronto con un Consiglio in cui i governi di destra o centro-destra sono aumentati di numero. E dal desiderio di coinvolgere nella nuova e inedita maggioranza il partito della Presidente del Consiglio italiana, cui Von der Leyen aveva concesso una significativa apertura con l’attribuzione al Commissario italiano, Raffaele Fitto, di un ruolo di vicepresidente esecutivo, con una decisione priva in concreto di conseguenze pratiche sul funzionamento del collegio, ma che nei fatti si è rivelata controversa e divisiva, come testimoniato dall’esito del voto.
Sulla carta, questa Commissione nasce più debole e più vulnerabile, proprio perché priva di una maggioranza stabile in Parlamento. Ma questo giudizio, sicuramente corretto sul piano formale, va in parte ridimensionato. L’architettura istituzionale dell’Ue non è, infatti, assimilabile a quella delle democrazie parlamentari degli Stati nazionali, dove gli esecutivi devono poter fare affidamento su una maggioranza stabile nei rispettivi Parlamenti per la durata della legislatura, pena la crisi di governo. Nell’Ue, come ci ha insegnato la prassi, è necessaria una maggioranza per l’approvazione della Commissione all’inizio della legislatura. Ma è del tutto fisiologico che si possano formare maggioranze variabili in funzione dei singoli provvedimenti all’esame del Parlamento senza che questo costringa la Commissione a rassegnare le dimissioni.
Le priorità nel programma della Commissione
Quanto al programma della Commissione, l’intervento, volutamente ecumenico, della Presidente nell’emiciclo di Strasburgo non ha riservato particolari sorprese. Ha anticipato una strategia di rilancio della competitività che riprende in larga misura le proposte del rapporto Draghi. Il programma si dovrà articolare attorno a tre pilastri dell’innovazione, digitalizzazione e applicazioni dell’intelligenza artificiale, di una de-carbonizzazione compatibile con una politica industriale mirata al rafforzamento della competitività, e di maggiore sicurezza sia economica che politico-militare, con riduzioni delle dipendenze strategiche, e investimenti più consistenti nella difesa.
Date le circostanze e il desiderio della Presidente di essere quanto più inclusiva possibile in quest’occasione, è apparsa ovvia l’assenza di dettagli sulle singole misure o di riferimenti alle questioni più divisive. I prossimi mesi saranno quindi decisivi per verificare i margini di manovra della nuova Commissione e la capacità dei governi nazionali di decidere insieme nell’interesse comune. In sintesi, la buona notizia è che l’Ue ha finalmente una Commissione in carica. La notizia meno buona è che questa Commissione dovrà navigare a vista e cercare volta per volta il sostegno dei governi e del Parlamento sulle proprie proposte.