Le sfide del summit Ue-Africa su pace e sicurezza

Con due anni di ritardo, il 17 e il 18 febbraio l’Unione europea (Ue) e l’Unione africana (Ua) si incontreranno, a Bruxelles per il 6° summit tra i due blocchi. Tra le otto tavole rotonde previste, una di queste sarà dedicata al tema “pace, sicurezza e governance”. E ciò sarà fatto in un contesto non solo post-pandemico, ma di instabilità per l’Africa. Nel Sahel, nonostante la proliferazione di missioni internazionali, la crisi ha assunto una dimensione preoccupante e multidimensionale. Negli ultimi 15 mesi, l’Africa ha subito otto colpi di Stato di cui sei attuati dai militari e andati a buon fine. Il Corno d’Africa, già scosso dall’instabilità della Somalia, è maggiormente destabilizzato dalla guerra del Tigray scoppiata nel novembre 2020. In Mozambico, l’insurrezione islamista, iniziata nel 2017, continua a minacciare vaste aree di territorio nella provincia di Capo Delgado diffondendosi anche nella provincia di Niassa e in Tanzania.

I programmi di Pace e Sicurezza Ue-Ua

La pace e sicurezza sono da sempre un settore chiave nel partenariato Ue-Ua che risale ai primi anni 2000, quando venne lanciata l’Architettura africana di pace e sicurezza (Apsa). Tra il 2004 e il 2019, l’Ue ha fornito infatti circa 2,9 miliardi di euro in assistenza finanziaria all’Apsa diventando, dopo le Nazioni Unite, il secondo partner finanziario per la pace e la sicurezza dell’Ua. Questo finanziamento è stato destinato all’African Peace Facility (Apf) che ha utilizzato la maggior parte dei fondi (93%) per operazioni a sostegno della pace (l’Ue ha sostenuto 14 operazioni di pace in 18 paesi africani), il 6% per il rafforzamento della capacità istituzionale della Commissione dell’Ua, e l’1% al meccanismo per la risposta rapida ai conflitti.

Sebbene nell’ambito della pace e della sicurezza, la cooperazione Ue-Ua non sia stata priva di tensioni (soprattutto per quel che riguarda la questione dei finanziamenti), gli obiettivi strategici delle due organizzazioni sono stati spesso allineati, come lo dimostrano il documento Ue “Verso una strategia globale per l’Africa” e l’iniziativa Ua “Silencing the Guns”. Tuttavia, negli ultimi due anni sono emerse due questioni che potrebbero incrinare il rapporto tra le due organizzazioni e che dovranno sicuramente essere discusse nel prossimo summit: quella relativa ai finanziamenti e quella, ancora più spinosa, relativa alla presenza sempre più competitiva di attori esterni – vedi la Russia – sul continente africano.

Un rapporto impari

Nel 2021, l’Ue ha introdotto un nuovo modo per finanziare il settore della pace e della sicurezza in Africa. Con il budget 2021-2027, l’Ue ha incorporato l’Apf in due fondi globali che hanno una gamma più ampia di beneficiari e meno restrizioni. Attraverso questo nuovo assetto, non ci sarà più un fondo dedicato esclusivamente all’Africa (anche se probabilmente rimarrà tra le priorità europee) e, soprattutto, l’Ue non dovrà più passare dall’Unione africana per finanziare operazioni militari nazionali e sub-regionali. Ciò rischia di indebolire non solo le relazioni Ue-Ua, ma anche l’Unione africana stessa nella sua capacità di guidare le misure di pace e sicurezza sul continente.

Ciò accade in un momento in cui le organizzazioni regionali del continente africano sono state già profondamente indebolite sia di fronte agli stessi governi nazionali (e i diversi colpi di Stato che si sono succeduti nell’ultimo anno ne sono una prova) sia agli occhi dei cittadini. Ancora più problematico è il fatto che il nuovo strumento europeo per la pace, l’European Peace Facility (Epf) – strumento fuori bilancio volto a consolidare la capacità dell’Unione di prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale – permetterà all’Ue di fornire, per la prima volta, materiale militare letale (per un totale di 300 milioni l’anno) agli eserciti africani (e altri), senza la supervisione dell’Ua. Infine, il partenariato o l’alleanza alla pari tra le due istituzioni, che si vorrebbe costruire, è ancora più problematico se si considera che non è previsto nessun meccanismo istituzionale che permetta all’Ua di manifestare i propri scetticismi circa l’utilizzo dei fondi provenienti dall’Epf.

Il Mali e la Repubblica Centrafricana: una cooperazione sempre più difficile

Oltre alla questione finanziaria, tra il 2017 e il 2022 la competizione tra attori esterni sul continente africano è diventata molto più accesa e ha già avuto importanti ripercussioni sulle relazioni non solo tra gli Stati membri delle due istituzioni ma anche tra la stessa Unione europea e alcuni governi africani. Per quel che riguarda le frizioni tra paesi europei e africani, il caso del Mali insegna: subito dopo il colpo di Stato avvenuto a giugno 2020, la Francia ha annunciato una sospensione di Barkhane, ovvero l’operazione militare francese contro i gruppi jihadisti. Ma a settembre, l’agenzia di stampa Reuters ha scritto che la società privata russa Wagner – considerata come l’esercito ombra del Cremlino – avrebbe firmato un contratto con il governo del Mali. Ciò ha scatenato le ire della Francia, che attraverso il ministro degli esteri francese Le Drian, ha dichiarato che “questa mossa è incompatibile con la presenza francese sul territorio”. Dichiarazione e minaccia che non ha assolutamente portato il governo maliano a cambiare idea sul chiedere sostegno ai russi, anzi. Difatti, oltre ad avere innescato una crisi diplomatica tra i due paesi (a fine gennaio l’espulsione dell’ambasciatore di Francia a Bamako), il Mali ha dichiarato di essere legittimato a “esplorare modi e mezzi per garantire meglio la sicurezza in modo autonomo con altri partner” portando Parigi a pensare a un ritiro definitivo non solo di Barkhane, ma anche della missione europea Takuba. Secondo Africa Intelligence, ciò potrebbe essere dichiarato dal presidente francese Macron il 16 febbraio, durante un incontro pre-summit tra i leader europei e africani dedicato al Sahel.

Il Mali non è un caso isolato nel continente. Nell’ultimo anno e mezzo, si è assistito a una lenta e graduale conflittualità anche tra la Repubblica Centrafricana e l’Ue, sfociata nella sospensione “temporanea” della missione EUTM-RCA nel Paese. Lo scorso 15 dicembre, il comandante della missione EUTM-RCA Jacques de Montgros ha annunciato la sospensione temporanea delle attività di formazione e di esercitazione dell’esercito di Bangui a causa del controllo esercitato dai mercenari Wagner (compagnia privata e paramilitare russa) sulle forze armate centrafricane. L’addestramento, ha continuato l’Ue, riprenderà solo quando ci saranno le garanzie che le unità dell’esercito centrafricano addestrato dall’Ue non siano utilizzate in maniera diretta o indiretta dai mercenari di Wagner al fine di evitare qualsiasi tipo di collusione tra la missione europea e il personale della società privata russa. Oltre ad essere presenti in Repubblica Centrafricana, oggi i mercenari della Wagner sarebbero presenti in Mali – cosa che ha irritato profondamente la Francia – e in Sudan. E potrebbero presto esserlo in Burkina Faso, come ha dimostrato il commento di Eugeni Prigojine, l’uomo d’affari russo che sembrerebbe esser legato alla Wagner, che subito dopo il colpo di stato del 25 gennaio lo ha definito l’espressione di “una nuova era di decolonizzazione”.

Da questo punto di vista, l’ultimo summit dell’Ua, che si è tenuto il 5 febbraio, dovrebbe aver rassicurato l’Unione europea. Durante il suo discorso, Bankole Adeoye, Commissario agli affari politici, alla pace e alla sicurezza dell’Ua, ha condannato l’emergenza dei mercenari in Africa e ha chiesto ai partecipanti uno sforzo comune per “escluderli completamente” dal continente e un sostegno dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e dall’Ue. Ma al di là della buona volontà di Adeoye, bisogna anche capire quanto l’Ua possa fare leva sui suoi Stati membri che, da una parte, come nel caso della Repubblica Centrafricana, sembrano far orecchie da mercanti e, dall’altra, sono stati sospesi dalla stessa organizzazione come il Mali.

Foto di copertina EPA/STR

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