Trump risuscita la “cupola” antimissile

Nella tempesta di ordini esecutivi emessi da Donald Trump nei primissimi giorni della sua seconda amministrazione non poteva mancare un obiettivo fortemente sostenuto nel rapporto 2025 Presidential Transition Project, che sembra guidare l’azione presidenziale: l’ordine esecutivo The Iron Dome for America del 27 gennaio 2025. L’ordine attualizza quanto promesso dallo stesso Trump alla convention del partito repubblicano: “Ripristineremo le nostre forze armate e costruiremo un sistema di difesa missilistica, una ‘cupola di ferro’ (Iron Dome) per garantire che nessun nemico possa colpire la nostra patria. Israele ha una Iron Dome. Hanno un sistema di difesa missilistica. Perché altri paesi dovrebbero averlo e noi no?” Nel discorso sullo “Stato dell’Unione” del 5 marzo il presidente americano ha poi ribattezzato il progetto “Golden Dome”.

L’ordine esecutivo si apre con la dichiarazione che “la minaccia di attacchi da parte di missili balistici, ipersonici e di crociera e altri sistemi aerei avanzati rimane la minaccia più catastrofica per gli Stati Uniti”. Dal punto di vista strettamente militare è un fatto che gli Stati Uniti, grazie alla collocazione geografica e i rapporti con i paesi confinanti, devono solo temere attacchi dal cielo, a differenza delle altre potenze nucleari; pertanto, una ‘cupola’ impenetrabile metterebbe il paese al riparo da azioni militari ostili. L’ordine esecutivo intende fare della difesa missilistica globale la componente fondamentale dell’architettura della sicurezza nazionale degli Usa. Esistono comunque altre forme cruciali di sicurezza, oltre alla dimensione militare, che Trump appare sottovalutare.

Trump ricorda come il presidente Ronald Reagan abbia cercato di costruire una difesa efficace contro gli attacchi nucleari, e afferma che “sebbene questo programma abbia portato a molti progressi tecnologici, è stato cancellato prima che il suo obiettivo potesse essere realizzato.” In realtà l”Iniziativa di Difesa Strategica‘ reaganiana del 1983 (le ‘Guerre Stellari’), nonostante fosse sostenuta da un programma da svariati miliardi di dollari all’anno, non ha portato ad alcun sistema d’arma operativo o che avesse una qualche probabilità di funzionare in un prossimo futuro. Era vera e propria fantasia (‘a pie in the  sky‘).

Anche gli attuali sistemi antimissili balistici (Anti-Ballistic Missiles, ABM) americani, infatti, sono solo pensati in veste anti-Corea del Nord e anti-Iran. Secondo la Missile Defense Agency, lo sviluppo di difese missilistiche contro potenze nucleari come Cina e Russia comporterebbe, per gli Stati Uniti, considerevoli sfide da un punto di vista tecnico, finanziario, e geopolitico.

L’Iron dome israeliano è concepito per affrontare i razzi Katyusha degli Hezbollah dal nord e i Qassam di Hamas dal sud. Le autorità israeliane sostengono che il sistema abbia un tasso di successo superiore al 90%, ma alcuni analisti mettono in dubbio questo dato, e parlano di un’efficacia operativa sul 30%; in particolare non si conosce il suo punto di saturazione a fronte di lanci multipli. L’impiego contro droni è ancora considerato inadeguato. Pertanto, nonostante il nome altisonante e (volutamente) rassicurante, le attuali 10 batterie di Iron Dome riescono a proteggere solo un migliaio di kmq di Israele unicamente da una frazione di razzi di corta gittata e soltanto obiettivi ‘importanti’; secondo analisti indipendenti, solo il tempestivo sistema di allarme e l’efficiente apparato di rifugi permette di mantenere limitato il numero di vittime a fronte dei fitti attacchi dei razzi di Hezbollah e di Hamas.

Come afferma l’ordine, la creazione di una protezione globale dagli attacchi missilistici garantisce a una potenza nucleare di imporre una propria “pace attraverso la forza”, in quanto annichila le capacità di reazione da parte degli altri paesi nucleari e le consente quindi di impiegare le proprie armi nucleari (o minacciarne l’impiego) in modo coercitivo. Si supera la strategia della reciproca deterrenza, per molti versi indigesta, e non si deve accedere a paritetiche forme di controllo degli armamenti. Il perseguimento di questa via alla ‘pace’ non è chiaramente accettabile da parte delle altre potenze, ognuna mirando alla realizzazione di una propria accezione del concetto di ‘pace’; il presidente russo lo ha chiaramente dichiarato nel suo Presidential Address to the  Federal Assembly del primo marzo 2018, annunciando lo sviluppo di nuove armi inesorabili e in grado di penetrare ogni difesa.

Dal punto di vista strategico la situazione non è cambiata dagli anni ’70 quando si è capito che un sistema ABM globale creava una grave instabilità strategica, sia inducendo una corsa all’allargamento e differenziazione degli arsenali nucleari offensivi per saturare le difese, sia creando, in situazioni di crisi, incentivi ad attaccare per primi; allora Urss e Usa giunsero al trattato ABM, pietra fondante dell’articolata architettura di accordi per il controllo degli armamenti, sviluppata fino al 2000 e messa in crisi a partire dalla denuncia del trattato ABM nel 2002 da parte di George W. Bush.

Oggi l’instabilità strategica si aggrava ulteriormente, estendendo il confronto a livello spaziale, con incentivi allo sviluppo di tecnologie per armi anti-satellite e di nuove soluzioni per penetrare la proposta cupola difensiva, anche con l’impiego di armi cibernetiche e il supporto dell’intelligenza artificiale.  Secondo gran parte degli esperti, rimangono ancora irrisolti i principali problemi tecnici che hanno costretto alla cancellazione degli ambiziosi piani di Reagan e che hanno escluso la realizzazione di una difesa efficace contro i missili nonostante intense ricerche e vasti finanziamenti per più di 60 anni:

  • la capacità del nemico di sopraffare il sistema saturandolo con missili offensivi;
  • la discutibile sopravvivenza delle strutture spaziali;
  • l’incapacità di discriminare tra testate reali e centinaia o migliaia di esche;
  • il problema di progettare una gestione della battaglia, del comando, del controllo e delle comunicazioni che possa funzionare in una reale situazione di guerra;
  • la scarsa fiducia nella capacità del sistema di funzionare perfettamente la prima – e forse l’unica – volta che viene utilizzato.

A lungo termine, nuove tecnologie, in particolare le armi a energia diretta e l’intelligenza artificiale, possono alleviare alcuni di questi problemi. A breve termine, tuttavia, non ci sono motivi per il cieco ottimismo tecnologico dei sostenitori della cupola di ferro: la fisica degli intercettori basati nello spazio non è cambiata.

Alessandro Pascolini ,studioso senior, già professoreassociatodi fisica teorica presso l’Università di Padova, dovehasvoltoanche il corso discienza per la pace ehadirettoilmaster in comunicazione delle scienze.

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