Putin e lo spettro della ‘bomba sporca’

Il 23 ottobre scorso, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha comunicato ai colleghi francese, turco e inglese di essere “preoccupato per le possibili provocazioni di Kyiv che prevedono l’uso di una bomba sporca“.

Con ‘bomba sporca‘ ci si riferisce a un’arma radiologica, ossia un ordigno progettato per disperdere materiale altamente radioattivo sull’obiettivo, mediante un’esplosione di adeguata potenza.

Radioattività e il caso Goiânia

Come ben noto, la radioattività è un agente patogeno che, a seconda della dose assorbita, può provocare la morte in tempi più o meno rapidi, generare necrosi e causare l’insorgere di malattie tumorali di varia gravità, oltre ad aumentare la morbilità nelle persone esposte a piccole dosi.

Un’idea delle possibili conseguenze di un attacco radiologico si può dedurre dal tragico incidente occorso a Goiânia (Brasile) nel 1987 quando in un centro di radioterapia abbandonato venne recuperata una capsula sorgente di 15,8 grammi di cesio-137 (un sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio). L’oggetto passò di mano in mano e la polvere luminosa bluastra venne pure usata come decorazione del viso e dei vestiti, e in parte finì ingerita e inspirata, producendo intossicazioni radioattive. Alla fine fu necessario controllare 112 mila persone: 249 risultarono contaminate, 28 presentarono gravi ustioni da radiazione e si ebbero 5 morti; 85 edifici risultarono contaminati e furono isolati 3500 metri cubi di rifiuti radioattivi. La zona rimase isolata per mesi.

I possibili impieghi militari

Le armi radiologiche sono considerate dall’Onu come armi di distruzione di massa, assieme a quelle nucleari, chimiche e biologiche. È difficile pensare che un paese possa usare tali armi sul proprio territorio, contaminandolo; nel caso ucraino, poi, una dispersione di materiale radioattivo susciterebbe di nuovo il terrore, ancora acutamente presente nella coscienza collettiva delle conseguenze del disastro di Chernobyl.

Già all’inizio della seconda guerra mondiale armi radiologiche vennero considerate sia dai tedeschi che dagli anglo-americani, per due principali applicazioni militari: come materiale di contaminazione del terreno per impedirvi l’accesso per settimane o mesi, e come strumento bellico unitamente ai gas, una volta macinato in microscopiche particelle per formare “polvere e fumo”.

Tali applicazioni furono anche alla base degli intensi programmi di sviluppo e sperimentazione di tali armi da parte sia degli statunitensi che dei sovietici nella prima metà degli anni ’50: furono individuati e prodotti specifici isotopi e testati vari sistemi di dispersione e vettori (proiettili d’artiglieria, bombe a gravità, diffusione come aerosol).

Le prospettive delle armi radiologiche come innovazione nel campo degli armamenti non si sono però mai concretizzate né negli Stati Uniti né nell’Unione Sovietica e di fatto non sono state incluse negli arsenali di nessuno dei due paesi. Tra i principali fattori che ne hanno determinato la scomparsa: le difficoltà tecniche associate alla produzione e alla manutenzione delle armi, la diminuita percezione della loro utilità militare rispetto ai sistemi nucleari e di guerra chimica, e la bassa percezione dei rischi posti dai programmi avversari.

Limiti allo sviluppo delle armi radiologiche

Il principale problema tecnico delle armi radiologiche è l’individuazione e produzione di isotopi radioattivi di qualità militari ottimali; sebbene i reattori nucleari producano una moltitudine di isotopi radioattivi, pochi possiedono le caratteristiche necessarie per un’arma efficace: servono emettitori gamma con un tempo di dimezzamento non inferiore a qualche settimana e non superiore a un anno o poco più.

In pratica, americani e sovietici hanno identificato un solo prodotto di fissione utile per armi radiologiche: lo zirconio-niobio, estraibile dalle scorie nucleari mediante impianti di riprocessamento. In alternativa al costoso e pericoloso processo di riprocessamento, per ottenere materiale per un’arma radiologica si può irradiare un metallo inerte all’interno di un reattore nucleare mediante cattura di neutroni; in questo caso la scelta si restringe al tantalio per produrre il suo isotopo radioattivo, il tantalio-182.

Un’arma controproducente per l’Ucraina

Poiché l’Ucraina non possiede impianti di riprocessamento e i suoi reattori sono sotto il costante controllo dell’Agenzia atomica di Vienna, è difficile che sia stata in grado di produrre una quantità adeguata di materiale radioattivo per una vera arma radiologica.

Rimane lo scenario di gruppi terroristici che potrebbero cercare di fabbricare armi radiologiche: la confezione in laboratorio di un recipiente con una certa quantità di sostanze di alta radioattività beta e gamma prelevate da depositi di combustibile nucleare esausto o impiegate nell’industria, in agricoltura e in medicina (cobalto-60, cesio-137, stronzio-90). Il recipiente va trasportato in qualche modo sull’obiettivo e si deve infine far esplodere una carica per disperdere il materiale e contaminare la zona.

Tuttavia, una tale ‘arma’ non è per nulla affidabile e difficilmente controllabile in tutte le fasi della preparazione; soprattutto è difficile prevederne una qualsiasi efficacia in termini militari operativi, mentre esporrebbe l’Ucraina alla condanna internazionale.

Che cosa sono gli ordigni ‘salted’

Esiste un’ulteriore accezione del termine ‘bomba sporca’, riferita alle così dette “salted nuclear weapons“, ossia armi termonucleari progettate per funzionare anche come armi radiologiche, in cui si rinuncia a parte della potenza disponibile per creare e disperdere sostanze radioattive estremamente intense, in grado di rendere inabitabile una vasta area.

La possibilità tecnologica di tali armi è stata considerata già negli anni Cinquanta, ma non sono entrate a far parte degli arsenali nucleari anche se si è suggerito che il nuovo drone sottomarino a propulsione nucleare russo Poseidon possa essere un prototipo “salted” capace di un’enorme produzione di contaminanti radioattivi.

In ogni caso, l’Ucraina, dopo la dissoluzione dell’Urss, ha consegnato alla Federazione russa, con il Memorandum di Budapest (1994), le circa 5 mila testate nucleari – fra strategiche e tattiche – installate sul suo territorio. Kyiv non possiede quindi alcuna arma nucleare che possa trasformare in un ordigno “salted”. Le dichiarazioni allarmistiche di Shoigu non sembra pertanto avere grande fondamento.

Foto di copertina ANSA/RUSSIAN EMERGENCIES MINISTRY

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