di Gaia Pelosi
Lo scorso 15 marzo ha segnato il tredicesimo anniversario dall’inizio della guerra civile siriana. Nel 2011 infatti, la rivoluzione contro il regime di Bashar al Assad, che ha coinvolto persone provenienti da diverse classi sociali ed etnie, è stata violentemente repressa dal governo. In una recente dichiarazione, il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha esortato tutte le parti coinvolte a “fare tutto il necessario per raggiungere una soluzione politica autentica e credibile”, sottolineando l’importanza di “proteggere i civili”. Guterres ha anche evidenziato che le detenzioni arbitrarie, le sparizioni forzate, la violenza sessuale e di genere, la tortura e altre violazioni dei diritti umani continuano a costituire un ostacolo significativo per il raggiungimento di una pace sostenibile in Siria.
Lo scoppio della guerra siriana nel 2011
Bashar al Assad assume la presidenza nel 2000, quando succede al padre Hafez. Già prima dell’insorgere del conflitto, numerosi cittadini siriani lamentavano l’alto tasso di disoccupazione, la diffusa corruzione e la mancanza di libertà politica nel Paese. Tuttavia, la situazione si complica quando, nel marzo 2011, manifestazioni pro-democratiche scoppiano nella città meridionale di Deraa sull’onda delle Primavere Arabe, sorte in gran parte del mondo arabo. Il governo siriano però, cerca prontamente di sopprimere con la forza il dissenso popolare: come risposta, in tutto il Paese nascono proteste per chiedere le dimissioni del presidente Assad. La violenza delle proteste si inasprisce rapidamente, conducendo la Siria, in pochi mesi, in una delle guerre civili più sanguinarie del ventunesimo secolo. Con il passare del tempo però, il conflitto si evolve da una guerra civile ad una complessa serie di guerre sovrapposte e combattute simultaneamente tra potenze regionali e internazionali. Potenze straniere iniziano infatti a prendere posizione, inviando denaro ed armi: la Russia e l’Iran emergono come principali sostenitori del governo, mentre la Turchia, le potenze occidentali e diversi stati arabi del Golfo, hanno sostenuto l’opposizione durante il corso del conflitto. La situazione si complica ulteriormente quando organizzazioni estremiste jihadiste, come il gruppo dello Stato Islamico (ISIS) e al-Qaeda, intervengono per perseguire i propri obiettivi. Questo ha fortemente allarmato la comunità internazionale che le ha immediatamente considerate la minaccia maggiore. La terza dimensione del conflitto, infine, è rappresentata dai curdi siriani che desiderano il diritto all’autogoverno e all’indipendenza e che, durante la guerra in Siria, hanno assunto un ruolo cruciale nella lotta contro l’ISIS. Â
Il controllo della Siria oggi: zone e attori coinvolti
Lo scorso 15 marzo, migliaia di persone hanno riempito le strade della zona nord-ovest della Siria, controllata da diverse fazioni ribelli ma principalmente dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS), affiliato ad al-Qaeda, che controlla la città di Idlib. I manifestanti si sono riuniti non solo per ricordare l’anniversario della guerra contro Assad, ma anche per manifestare contro il leader del gruppo HTS, Abu Mohammed al-Jolani. Più di 4,1 milioni di civili vivono in quest’area, almeno la metà dei quali è stata sfollata almeno una volta dall’inizio del conflitto. I civili in queste zone sono privi di risorse per spostarsi altrove, impossibilitati a chiedere asilo in Turchia ed oggetto di persecuzioni se tentano di trasferirsi in aree controllate dal governo. Secondo il rapporto di agosto 2023 dell’UN COI, Hayat Tahrir al-Sham continua a detenere arbitrariamente attivisti, giornalisti e civili che esprimono opinioni critiche. Nel corso del tempo, il governo siriano ha riconquistato le città più importanti, ma una vasta parte del territorio, situata a nord-est della Siria, è sotto il controllo di forze prevalentemente curde. Infatti, la coalizione Forze Democratiche Siriane (Sdf), raggruppa miliziani delle Ypg curde e formazioni composte tra tribù arabe locali che controllano la regione, spesso in lotta fra loro. Lo scorso agosto, gli scontri tra le SDF e il Consiglio Militare a guida araba di Deir-al-Zour hanno avuto gravi ripercussioni sui civili, con l’OHCHR che ha documentato l’uccisione di almeno 23 civili. Infine, la zona con maggiore attività turca è quella a nord del Paese, dove sono presenti l’Esercito siriano libero ed un numero cospicuo di forze turche.
La Siria oggi: conseguenze e prospettiveÂ
Tredici anni di guerra hanno devastato l’infrastruttura civile ed i servizi della Siria, con gravi conseguenze sull’accesso all’assistenza sanitaria, elettricità , istruzione, trasporti pubblici, acqua e igiene. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, oltre 300.000 civili sono stati uccisi tra marzo 2011 e marzo 2021 a causa del conflitto. Il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), un gruppo di monitoraggio con una vasta rete di fonti sul campo, ha documentato le morti di mezzo milione di persone entro marzo 2023. Inoltre, più di 14 milioni di persone sono dovute fuggire dalle proprie case: circa 7.2 milioni sono sfollati interni, altri 6 milioni sono rifugiati o richiedenti asilo all’estero. I paesi confinanti come Libano, Giordania e Turchia hanno faticato ad affrontare una delle più grandi esodi di rifugiati della storia recente. Nel solo anno 2023, la Turchia ha espulso migliaia di siriani verso il nord della Siria, aggiungendo ulteriore pressione ad una situazione di per sé precaria. All’inizio del 2023, l’ONU ha dichiarato che 15,3 milioni di persone all’interno della Siria avevano bisogno di qualche forma di assistenza umanitaria. Nel febbraio 2023, la già grave situazione umanitaria nel nord-ovest del Paese è stata ulteriormente aggravata dal grande terremoto che ha colpito vicino alla città turca di Gaziantep, a circa 80 km dal confine siriano. Entro la metà del 2023, oltre il 90% dei siriani viveva al di sotto della soglia di povertà , almeno 12 milioni non potevano accedere o permettersi cibo di qualità sufficiente e almeno 15 milioni necessitavano di qualche forma di aiuto umanitario per sopravvivere.
Nonostante numerosi programmi volti all’assistenza dei rifugiati e dei civili siriani siano stati implementati, una soluzione politica a lungo termine che possa portare a una pace duratura in Siria sembra ancora essere irraggiungibile. Il processo politico riguardante l’attuazione della risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2015, che richiede un cessate il fuoco e una soluzione politica in Siria, rimane in stallo. Questo documento delineava una tabella di marcia per la transizione politica in Siria, un obiettivo delineato anche nel Geneva Communiquè del 2012, che prevedeva la formazione di un organo di governo transitorio “formato sulla base del consenso reciproco”. Nonostante nove round di colloqui per la pace mediati dall’ONU, non si è registrato alcun progresso, con il presidente Assad riluttante a negoziare con i gruppi di opposizione politica. Parallelamente, nel 2017, Russia, Iran e Turchia hanno avviato negoziati politici noti come processo di Astana, anch’essi senza successo. Mentre il Consiglio di Sicurezza ha di recente sottolineato la necessità che Damasco riprenda il dialogo con il Comitato Costituzionale verso una soluzione duratura, la crisi umanitaria siriana continua a peggiorare.