Manca l’ultimo passaggio, ma, a questo punto, è quasi una formalità: gli Stati Uniti non faranno default, l’economia internazionale non subirà uno scossone senza precedenti, dalle conseguenze imprevedibili. La Camera ha approvato il compromesso raggiunto nei giorni scorsi dal presidente Joe Biden e dallo speaker della Camera, e leader dell’opposizione, Kevin McCarthy, nonostante venti di fronda sia fra i repubblicani che fra i democratici.
Il provvedimento sospende il tetto posto per legge al debito federale, come chiedeva la Casa Bianca per evitare che gli Usa andassero in fallimento, e limita la spesa federale, come voleva l’opposizione. La norma deve ora passare al Senato, dove i democratici sono maggioranza, entro lunedì, quando – secondo i calcoli della segretaria al Tesoro Janet Yellen – il tetto del debito verrà raggiunto e l’Amministrazione non potrebbe più spendere, senza prendere a prestito ulteriore denaro.
Le reazioni al compromesso
La Camera, dove i repubblicani sono maggioranza, ha votato con 314 sì e 117 no (il quorum era 218). A favore 165 democratici e 149 repubblicani; contro 71 repubblicani, specie d’osservanza ‘trumpiana’, e 46 democratici, specie di sinistra, fra cui la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez.
Biden ha commentato: “La Camera ha fatto un passo avanti cruciale per prevenire il primo default in assoluto e proteggere la storica ripresa duramente guadagnata del nostro Paese… L’unica strada da percorrere era un compromesso bipartisan che potesse guadagnare il sostegno di ambo le parti”. Il presidente Usa sollecita il Senato ad approvare il compromesso “il più rapidamente possibile, così che io possa trasformarlo in legge e il nostro Paese possa continuare a costruire l’economia più forte al Mondo”
McCarthy, ha definito l’intesa raggiunta “il più grande risparmio nella storia americana”, un’affermazione subito contestata dai ‘fact checkers’: nel 2011, infatti, Barack Obama concesse tagli per 2.100 miliardi di dollari per elevare il tetto del debito, contro i 1.300 miliardi di tagli ora concordati.
Record o meno, il compromesso sventa il rischio di un fallimento degli Stati Uniti, che sarebbe stato catastrofico, in prospettiva, non solo per l’Unione, ma per tutta l’economia internazionale, e che rischiava di innescare una crisi di dimensioni globali. Tant’è vero che le borse di tutto il Mondo avevano già reagito bene all’annuncio dell’intesa, raggiunta alla fine della scorsa settimana, e avevano poi tirato un sospiro di sollievo dopo il voto favorevole, martedì sera, di una commissione della Camera cruciale per mandare avanti l’esame del provvedimento.
La Cina e il Giappone sono i maggiori investitori stranieri nel debito pubblico statunitense: insieme, essi detengono 2.000 dei 7.600 miliardi di titoli del Tesoro Usa nelle mani di Paesi stranieri, cioè oltre un quarto.
Cosa contiene l’accordo?
L’accordo sospende il limite al debito di 31,4 migliaia di miliardi fino al 1 gennaio 2025 e mette, quindi, la campagna elettorale al riparo da una spada di Damocle per il presidente uscente. L’intesa prevede che la spesa non militare resti sostanzialmente invariata nel 2024 rispetto al 2023 e aumenti dell’un per cento nel 2025: ciò riduce il margine di manovra dell’Amministrazione per realizzare, ad esempio, programmi contro la povertà e nel campo della sanità.
Il Congressional Budget Office stima che le misure ridurranno il deficit di 1.500 miliardi nell’arco di dieci anni e ridurranno le spese pubbliche di 1.300 miliardi di dollari nello stesso periodo.
I negoziati tra l’Amministrazione e l’opposizione erano durati settimane: Biden aveva anche dovuto ridimensionare la missione all’estero che, dopo il G7 in Giappone, prevedeva tappe in Oceania. Raggiunto un compromesso – dettagliato in 99 pagine -, il presidente e McCarthy, che s’è presentato a fotografi e operatori nello Studio Ovale con un paio d’improponibili calzini a righe orizzontali, s’erano impegnati a farlo passare in Congresso.
Biden aveva rivolto “un forte appello” a deputati e senatori: l’intesa “è un passo avanti ed eviterà una catastrofe”, aveva detto a molti di loro, parlando al telefono da Camp David. Pure McCarthy s’era dato da fare per convincere i repubblicani riluttanti: lo speaker pare essersi un po’ smarcato dall’osservanza ‘trumpiana’, un segno forse che l’establishment del partito guarda ad alternative all’ex presidente per la nomination a Usa 2024.
I ‘trumpiani’ sostengono che l’intesa fa poco per contenere la spesa pubblica. Alcuni democratici, specie di sinistra, criticano i limiti posti alla spesa sociale. Fronte campagna elettorale, i candidati alla nomination repubblicana, specie Donald Trump, potevano preferire tenere il rischio di default vivo. Ma deputati e senatori erano consapevoli che affossare il compromesso voleva dire assumersi la responsabilità del default e di tutti i disagi che ne possono derivare ai cittadini, con riflessi certo non positivi per ciascuno di loro nei rispettivi collegi.
L’accordo allontana dunque gli Usa dal baratro del default, una prospettiva che aveva anche aleggiato sul Vertice del G7 di Hiroshima, dove tutti i leader presenti erano consapevoli che la più grande minaccia alla crescita delle loro economie non era la guerra in Ucraina o la concorrenza cinese, ma il rischio di default della maggiore potenza mondiale.
Una vittoria per Biden?
Dopo essersi fronteggiati al tavolo della trattativa, in maratone negoziali e colloqui notturni, Biden e McCarthy sono stati alleati nel chiedere al Congresso di approvare l’intesa. Biden, che riconosce all’interlocutore di avere negoziato “in buona fede”, ammette che si tratta di un compromesso e che quindi nessuno ha ottenuto tutto quello che voleva, ma sottolinea che l’accordo permette di salvare milioni di posti di lavoro e di portare avanti l’agenda della sua Amministrazione. “Non ho fatto molte concessioni ai repubblicani”, dice, rispondendo alle critiche della sinistra democratica, delusa per i tagli sociali e timorosa per l’impatto sulla lotta al cambiamento climatico.
McCarthy, dal canto suo, sottolinea di essersi garantito che “nel budget non ci siano nuove tasse né nuovi programmi di spesa governativa” ed enfatizza “storici tagli alla spesa e riforme significative che aiuteranno le persone in difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro”.
Nel giudizio degli analisti, l’intesa è un successo per il presidente e la sua squadra, che sono riusciti a contenere le pretese repubblicane. Per la difesa, dove il presidente è stato irremovibile, soprattutto per l’assistenza all’Ucraina, è stato concordato un budget di 886 miliardi di dollari, con un aumento di circa il 3,5%, come voleva Biden.
Qualcosa, invece, l’Amministrazione ha dovuto cedere sui requisiti per l’accesso al welfare: è stata innalzata da 49 a 54 l’età fino alla quale chi vuole beneficiare di forme di assistenza tipo i buoni pasto deve trovare un lavoro. Sono, tuttavia, state esentate le categorie più vulnerabili e non sono stati inaspriti i requisiti per accedere alla copertura sanitaria di Medicaid.
Foto di copertina EPA/Yuri Gripas / POOL