UE-Unione Africana: un summit per dove?

Europa e Africa sembrano talvolta cercarsi e non trovarsi. Non che manchino i rapporti tra le due parti, che sono, al contrario, estesi e radicati quanto in costante evoluzione. Ma la distanza tra le attese e la realtà va da tempo ben oltre quello che è inevitabile.

Interessi, retoriche, cautele nel rapporto Ue-Ua

Al di là di quanto venga spesso ammesso dagli stessi leader africani, l’Africa continua a nutrire grandi aspettative nei confronti dell’Europa – un modello di sviluppo e di integrazione continentale, un partner per la sicurezza, una terra di migrazione e formazione, un mercato di sbocco, un donatore di peso, e altro ancora – ma tutto segnato da frequenti delusioni, diffidenza e resistenze diffuse. Da parte loro, Unione europea e Paesi europei si sono riscoperti interessati all’Africa che conta molto più di venti anni fa, e, pur tra tutte le sue difficoltà, lo fa in modo crescente. Periodicamente, Bruxelles, ma anche molte capitali europee che si muovono anche in modo autonomo o quantomeno parallelo, si riaffacciano e rilanciano oltre il Mediterraneo con nuove iniziative, con una retorica forte e positiva che non cela però le tradizionali cautele di fondo. Africani ed europei si rincorrono così in una sorta di “vorrei, ma non posso”.

I paesi africani sanno del resto di poter rivolgersi altrove. E lo stanno dimostrando. Criticato dai paesi occidentali per la condotta della guerra del Tigray, il governo dell’Etiopia ha reagito in modo deciso e, secondo diverse ricostruzioni, trovato appoggio per la fornitura di droni da Turchia, Iran, Cina ed Emirati Arabi, tutti desiderosi di guadagnare spazio e influenza in uno stato cruciale e dunque disponibili a non interferire con le scelte di Addis Abeba, e anzi pronti a fornire l’assistenza necessaria a prevalere nel conflitto interno.

Dall’altra parte del continente, in Mali, la recente espulsione dell’ambasciatore francese non segna solo un nuovo picco nelle tensioni con Parigi e, appena più indirettamente, un affronto alla stessa Ue [LINK HAASTRUP in DOSSIER] (la Francia ha la presidenza di turno e, per parte europea, quella del summit stesso). Va di pari passo con la graduale apertura di nuovi spazi alla Russia, seppur destinati a restare contenuti, nel Sahel centro-occidentale, una regione travagliata in cui la stessa Francia guida da tempo l’impegno europeo per la stabilizzazione, al di là di meriti e lacune di quest’ultimo.

Una nuova strategia complicata dagli eventi

Consapevole che la rapida ascesa di altri attori a sud del Sahara richiede un cambio di passo, di prospettiva e di posizionamento, due anni fa Bruxelles ha provato a delineare qualcosa di diverso: la “Nuova strategia complessiva con l’Africa”, resa pubblica a inizio 2020 per essere discussa e rifinita assieme agli africani nel summit Unione europea-Unione africana previsto di lì a breve. La proposta fu però dapprima congelata dalla fredda ricezione africana, e poi, in modo più sostanziale, dalla pandemia. È quindi con un ritardo di due anni, peraltro un tempo forse provvidenziale per revisionare i punti di partenza, che il summit di questi giorni riapre la questione della direzione da dare ai rapporti Ue-Ua.

Nel tempo, i complessi legami tra Europa e Africa hanno a lungo ruotato attorno ad accordi a termine (Convenzioni di Yaoundé e di Lomé, e poi Accordo di Cotonou) che definivano i termini dei rapporti tra donatori e beneficiari degli aiuti allo sviluppo e delle relazioni commerciali, anch’esse per lo più asimmetriche nonostante le spinte in senso contrario. Dagli anni Novanta, queste intelaiature avevano gradualmente accolto anche un dialogo su tematiche più politiche, incluse migrazioni e riforme democratiche, e dopo una lunga gestazione negoziale sono stati rinnovati proprio l’anno scorso con la stipula di un nuovo accordo ‘post-Cotonou’.

Con l’inizio del nuovo secolo si era già fatta sentire l’esigenza di ammodernare e ampliare la ‘partnership’, il termine feticcio sistematicamente sventolato da Paesi occidentali o emergenti per legittimare relazioni con i Paesi africani che purtroppo mantengono sempre connaturati elementi di squilibrio. Il primo di quella che sarebbe poi diventata una serie di summit tra africani ed europei regolarmente organizzati ogni tre anni si tenne proprio nel 2000, e pochi anni dopo, nel 2007, una Joint Africa-EU Strategy delineava l’aspirazione a un rapporto rinnovato – più stretto, elevato e strategico – un disegno che non si sarebbe però realizzato se non in minima parte.

Pur essendosi rimessa decisamente in movimento, tuttavia, dell’Africa di allora non era ancora del tutto chiara la crescente rilevanza demografica, economica e geopolitica. È solo in anni successivi, a noi più vicini, che la percezione di una forte necessità di ‘riagganciare’ il continente ha portato quest’ultimo a scalare l’agenda di Bruxelles. Il frutto, tra le altre cose, di un’inattesa espansione dei mercati africani, dello sbarco di un numero crescente di sfidanti e competitors (la Cina, è noto, ma anche Russia, Paesi del Golfo, Turchia, India e molti altri), dei ‘rischi’ cresciuti non lontano dalla porta di casa (il jihadismo nel Sahel, le migrazioni verso e attraverso il Mediterraneo). È con l’incontro di Abidjan del 2017 che Unione africana e Unione europea si ripromettono, ancora una volta, qualcosa di diverso e di nuovo.

Progetti di alleanze da rivedere

Ed è con l’insediamento della Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen che tempi e pressioni sembrano essere maturi. La presidente e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza, Josep Borrell, si spendono da subito per imprimere una trasformazione al modo europeo di approcciare l’Africa. Si parla più apertamente del “potere” che l’Ue deve esercitare nell’affermarsi come attore geostrategico, in risposta a un contesto internazionale più competitivo, della conseguente priorità di una strategia per e con l’Africa, e dell’obiettivo di comporre un’“alleanza politica” che vada oltre la nozione di partnership e porti Europa e Africa a fare asse comune nell’affrontare assieme i maggiori temi e le grandi controversie dello scenario globale. Il tutto a partire da cinque filoni tematici originariamente identificati dalla bozza europea, ovvero transizione verde e accesso all’energia, trasformazione digitale, sviluppo sostenibile e occupazione, pace e governance, e migrazioni e mobilità. Tra i tanti risvolti concreti anche quello di costituire un blocco maggioritario euro-africano che si muova il più possibile di concerto nei consessi internazionali, dalle Nazioni Unite in giù, mettendo in minoranza gli altri grandi attori internazionali ogni volta che questo sia necessario e possibile.

La pandemia ha fatto saltare questo percorso. Ha sospeso e dirottato il dialogo. Ha distratto sia gli europei che gli africani. Ha ridisegnato l’ordine delle priorità di un’agenda comune, restituendo maggior centralità a povertà, salute e indebitamento. Il summit non ha quindi solo il compito di ridefinire il percorso che oggi si riprende, rielaborando obiettivi e strategie comuni, ma anche quello, ben più arduo, di resuscitare una forte spinta politica, necessaria a ricucire le parti fragili dei rapporti tra i due lati, posizionare l’Africa in modo più chiaro e stabile nei gradini alti dell’agenda europea, e fare in modo che – rispetto ai diversi temi sul tavolo, dalla sicurezza allo sviluppo inclusivo e democratico, dal green e dalla digitalizzazione alle migrazioni – al disegno facciano seguito processi di energica attuazione.

Foto di copertina EPA/LEGNAN KOULA

Ultime pubblicazioni