Dopo quasi due anni di ritardi, attese e recriminazioni, il 17 e il 18 febbraio avrà luogo il summit tra Unione europea (Ue) e Unione africana (Ua). Una tappa fondamentale nella relazione tra questi due importanti vicini, in una relazione piuttosto complicata, contrassegnata da un passato su cui aleggiano le pesanti eredità coloniali e un presente di tensioni acuite dalle recenti restrizioni imposte in Europa dopo la scoperta della variante Omicron. Non certamente le premesse ottimali per un summit di successo che rischia di fare il pieno di dichiarazioni roboanti ma senza risultati concreti.
Due Unioni in difficoltà
Il summit sarà cruciale per testare, da un lato, la capacità dell’Ue di avere una visione chiara e condivisa sul futuro delle sue relazioni con l’Africa e, dall’altro, per capire se l’Ua è davvero pronta a rappresentare la voce degli africani. Nonostante la recente strategia sull’Africa pubblicata dalla Commissione Ue, i paesi europei faticano a trovare una visione condivisa per modellare i rapporti con l’Africa, soprattutto su migrazioni, commercio e sicurezza. Dall’altro lato, a 20 anni dalla sua creazione, l’Ua fa ancora fatica a parlare a nome di tutti i suoi membri, in un continente contraddistinto ancora da una forte instabilità politica. L’Ua è rimasta sostanzialmente spettatrice di fronte alle violenze in Chad, Etiopia, Libia, Mozambico e Somalia e la decisione di non sospendere il Chad dal Peace and Security Council (Psc) dopo il golpe militare dell’aprile 2021 ha destato molti dubbi sulla sua capacità di far rispettare i suoi princìpi cardine, come quello che ripudia i colpi di stato.
Una nuova partnership commerciale e climatica
Secondo recenti indiscrezioni tra le tematiche più complicate del summit ci sarà il tentativo di trovare un accordo sulla ridistribuzione di circa 100 miliardi di dollari di Diritti Speciali di Prelievo (Special Drawing Rights) del Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, il vero nodo gordiano della discussione ruota intorno al clima e al commercio. Da una parte, le due Unioni devono garantire il loro supporto per l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) e per una rinnovata industrializzazione del continente con lo scopo di generare nuovi posti di lavoro. Come emerge da un recente studio dello European Think Tanks Group (Ettg), l’Ue continua a essere un importante partner economico che garantisce ai Paesi africani l’accesso a un mercato libero e molto vasto. Tuttavia, le industrie africane devono essere sostenute per diventare dei suppliers di alto valore aggiunto per l’Ue attraverso regole commerciali chiare, ma anche con iniziative di breve termine che rafforzino gli scambi tra i Paesi africani.
Dall’altra parte, non sarà semplice trovare una quadra sul tema del clima. Molti governi africani giudicano il Green Deal come un’arma a doppio taglio. Sebbene ci siano molte divisioni all’interno del blocco africano, in molti temono che una Carbon Border Tax europea e la ridotta domanda di combustibili fossili possano generare conseguenze economiche negative per le economie nazionali. Questa paura per ora appare solo parzialmente compensata dal probabile aumento della domanda di cobalto, nichel e altri prodotti minerali africani e dalla recente decisione europea di considerare il gas naturale e il nucleare come progetti verdi di transizione energetica sostenibile.
Quel che è certo è che manca ancora una visione condivisa del concetto di “just transition”. Per molti Paesi africani è infatti ingiusto che la transizione energetica vada a colpire quelle realtà che hanno un impatto minore in termini di gas serra e che hanno bisogno di fonti di energia fossile per rafforzare le proprie economie. Per superare questa impasse, l’Ue dovrà insistere sempre di più nel supportare investimenti importanti di transizione climatica come il Great Green Wall, un’iniziativa lanciata nel 2007 dall’Ua che mira a rigenerare 100 milioni di ettari di terra degradata nel Sahel, o la Global Green Bonds Initiative, che si propone di rafforzare la domanda di green bond africani che finanzino progetti di conversione e mitigazione climatica.
L’ombra della Cina e il Global Gateway
Sullo sfondo del summit aleggia l’ombra pesante della Cina, che da anni si è assicurata una presenza molto forte sul continente, anche grazie ad una serie di investimenti in progetti infrastrutturali. In questo scenario, nel recente Forum sulla Cooperazione Cina – Africa dello scorso ottobre Pechino ha ribadito il suo impegno a investire in nuove infrastrutture verdi e digitali, e ha promesso di consegnare un miliardo di dosi di vaccino ai Paesi africani per sostenere la campagna di immunizzazione contro il Covid-19. L’Ue non può restare a guardare e permettere che il suo vicino più strategico e naturale finisca irrimediabilmente sotto la sfera d’influenza cinese, e deve promuovere una reale “partnership tra eguali” fondata su fiducia reciproca e su ambiziosi piani di investimento nel continente. Tuttavia, almeno per ora, il Global Gateway, un piano annunciato a dicembre e che mira a mobilitare fino a 300 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati nei prossimi cinque anni, appare più come un esercizio per dirottare fondi già previsti nel budget 2021-2027, piuttosto che una vera inversione di tendenza.
È tempo di una vera partnership fra eguali
Per creare una vera partnership fra eguali, le due Unioni devono iniziare a considerarsi come due organismi alla pari. L’Africa continua ad essere dipinta come un continente da aiutare, ancora troppo povero, fragile e minato da conflitti. Si tratta di un’immagine troppo semplicistica che non tiene conto del fatto che esistono tante realtà africane moderne e prospere. Dal canto suo, l’Ua deve rafforzare la sua autonomia, ad esempio in campo finanziario e riducendo la dipendenza dai finanziatori esterni.
Una partnership forte tra Ue e Ua è essenziale per rafforzare e riformare le istituzioni multilaterali esistenti, costruendo blocchi e alleanze solide in consessi come l’Assemblea generale dell’Onu e la futura Cop27 che si terrà in Egitto. In altre parole, serve rompere una relazione tossica ancora di stampo post-coloniale, ascoltando anche le nuove idee e proposte che non arrivano dai soliti noti ma da attori emergenti in Europa e Africa, che sono interessati a investire in un nuovo modello di cooperazione interregionale.