Spagna-Marocco: Sánchez sceglie la realpolitik

Lo scorso 14 marzo, in una lettera inviata dal premier spagnolo Pedro Sánchez al re del Marocco Mohamed VI, il governo di Madrid appoggiava la soluzione proposta nel 2007 da Rabat all’Onu di un’autonomia limitata al Sahara Occidentale come la “la base più seria, realista e credibile per risolvere il contenzioso” sul territorio. Si esclude pertanto un referendum di autodeterminazione del popolo saharawi, difeso da oltre tre decenni dalle Nazioni Unite. C’è chi sostiene che la posizione di Madrid sia un giro di 180 gradi rispetto al passato e chi dice, più sommessamente, che si tratti della conclusione di un cammino intrapreso da tempo.

Relazioni strette e difficili

Per capire le ragioni di questa decisione, senza dubbio storica, bisogna fare però un passo indietro. In primo luogo, si tenga presente che le relazioni tra la Spagna e il Marocco sono molto strette – Madrid non solo è il primo partner commerciale di Rabat, ma i marocchini residenti in Spagna sono quasi un milione – e sovente difficili. Pesano ragioni storiche e politiche: dalla colonizzazione spagnola del secolo scorso del nord del Marocco, all’abbandono precipitato del Sahara Occidentale da parte di Madrid nel 1975 contestualmente alla Marcia Verde lanciata da Hassan II per occupare l’ex colonia spagnola, senza contare la presenza di due enclave iberiche, Ceuta e Melilla, sulla costa africana.

In secondo luogo, nell’aprile del 2021, il ricovero del leader del Fronte Polisario, Brahim Gahli, gravemente malato di Covid, nell’ospedale di Logroño comportò un immediato peggioramento delle relazioni bilaterali tra i due paesi, riportando le lancette dell’orologio indietro di vent’anni. Nell’estate del 2002, con José María Aznar nel palazzo della Moncloa, si produsse, difatti, la maggiore crisi tra Madrid e Rabat con l’occupazione marocchina dell’isolotto disabitato di Perejil e la successiva operazione militare spagnola per ribadire la sovranità su uno scoglio a poche centinaia di metri dalla costa nordafricana.

La presenza di Ghali portò Mohamed VI a richiamare in patria la propria ambasciatrice a Madrid, Karima Benyaich. Inoltre, il mese successivo, il regno alawita utilizzò l’arma della pressione migratoria, facilitando l’ingresso a Ceuta e Melilla di circa 10.000 migranti in pochi giorni. Sánchez rispose mandando l’esercito per bloccare quella che l’estrema destra di Vox, in continua crescita nei sondaggi, tacciò di “invasione” e a luglio, in un rimodellamento dell’esecutivo provato da un anno e mezzo di gestione della pandemia, sostituì anche la ministra degli esteri Arantxa González Laya con José Manuel Albares.

I rapporti internazionali

In terzo luogo, non si perda di vista lo scacchiere internazionale. Gli accordi di Abramo hanno avuto come corollario, nel dicembre del 2020, il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale a cambio della normalizzazione dei rapporti tra Rabat e Israele. Biden non ha cambiato posizione al riguardo e anche Berlino si è accodata. Dopo le critiche di Merkel al riconoscimento statunitense che la primavera scorsa aprirono una crisi diplomatica con il regno alawita, all’inizio di gennaio di quest’anno, infatti, in una lettera a Mohamed VI, il presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha affermato che il piano di autonomia marocchino è “uno sforzo serio e credibile, ed una buona base per giungere ad un accordo in questo conflitto regionale”. Quasi le stesse identiche parole usate da Sánchez che non ha voluto essere tagliato fuori dal nuovo allineamento internazionale che si sta producendo. Non è un caso che il governo francese il successivo 21 marzo abbia fatto una dichiarazione simile al riguardo.

Si aggiunga, infine, un quarto ed ultimo elemento. La crisi energetica e la dipendenza di alcuni paesi – in primis Germania e Italia – dal gas russo hanno promosso iniziative che vedono nel nord Africa un grande produttore di energie rinnovabili. Il Marocco sta giocando questa carta, la Spagna è cosciente di essere il trait d’union per progetti di questo tipo e la guerra in Ucraina ha ovviamente accelerato il tutto.

La svolta di Sánchez

Le conseguenze della decisione di Sánchez sono molteplici. La realpolitik messa in pratica dai socialisti spagnoli ha portato a un immediato miglioramento delle relazioni con Rabat: l’ambasciatrice marocchina è infatti rientrata dopo quasi un anno a Madrid e nella seconda metà di marzo il calo degli arrivi di migranti è stato evidente, tanto a Ceuta e Melilla come nelle Canarie. Il premier spagnolo è stato inoltre ricevuto questo giovedì da Mohamed VI in un viaggio che ha confermato la rinnovata sintonia. Al termine della riunione, in una dichiarazione condivisa di 16 punti, oltre alla riapertura delle frontiere di Ceuta e Melilla e delle connessioni marittime ed aeree tra i due paesi, si ribadisce l’accordo sul Sahara Occidentale e si propone una roadmap che porterà entro la fine dell’anno a una riunione di alto livello e all’aggiornamento del Trattato di Amicizia, Buon Vicinato e Cooperazione del 1991. “È un buon accordo per la Spagna per diverse ragioni”, ha dichiarato Sánchez. “Non solo per la questione migratoria, ma anche perché dovevamo normalizzare le relazioni commerciali e di transito”.

Però, quella che in molti hanno definito una “svolta radicale e unilaterale” della politica spagnola riguardo al Sahara Occidentale ha comportato anche conseguenze negative sia nella politica interna che nella politica estera. In primo luogo, sono aumentate le tensioni all’interno del governo di coalizione con i soci di Unidas Podemos, storicamente vicini alla rivendicazione saharawi, che ha criticato duramente il presidente del governo. Per di più, questo giovedì il parlamento ha votato a grande maggioranza una mozione che ratifica l’appoggio ad un referendum di autodeterminazione nel Sahara Occidentale seguendo le risoluzioni dell’ONU: i socialisti sono stati gli unici a votare contro, rendendo evidente il loro isolamento.

I rapporti con l’Algeria

In secondo luogo, la relazione con l’Algeria, che copre il 47% del fabbisogno di gas del paese iberico, ne ha risentito. Algeri, principale alleato della causa saharawi, è ai ferri corti con Rabat al punto di aver rotto le relazioni diplomatiche con il Marocco ad agosto 2021. Il governo guidato da Tebboune, che non era stata avvisato della lettera di Sánchez a Mohamed VI, ha quindi richiamato per consultazioni il suo ambasciatore a Madrid e, pur confermando i contratti esistenti tra la compagnia statale Sonatrach e la spagnola Naturgy, sta valutando di aumentare il prezzo del gas venduto alla Spagna. Un problema non da poco tenendo conto l’inflazione – che ha sfiorato il 10% a marzo – e l’impatto della guerra in Ucraina.

Il gioco vale dunque la candela? È presto per dirlo. In ogni caso è indubbio che una buona relazione con il Marocco è una delle priorità di Madrid. E che il cambio di posizione di Stati Uniti, Germania e Francia sul Sahara Occidentale ha in certo modo obbligato la Spagna ad allinearsi per non rimanere fuori dai giochi.

Foto di copertina EPA/JALAL MORCHIDI

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